Alex guida e non dice niente. Lo sa che l'unica cosa che potrebbe consolarmi adesso è la presenza di Russell.
"Dovresti chiamarlo" dice a un certo punto.
Ci ho pensato: "No, non voglio che stia in pensiero"
Tanto appena mi vedrà lo saprà che è qualcosa non va.Arriviamo davanti all'appartamento di Russell che sono quasi le undici e mezza; la strada è male illuminata e Alex si preoccupa sempre di lasciarmi giù qua quando è buio.
"Devo solo suonare il campanello, perché ti preoccupi tanto?"
"Perché è un posto di merda ed è pieno di drogati"
In effetti è la zona peggiore della città, l'unica che Russell può permettersi con quello che gli rimane tra le bollette e l'assegno di mantenimento.
Ci abbracciamo: "Ci vediamo a lezione lunedì?" mi chiede mentre scendo dalla macchina.
"Sì...forse"
Lui scuote la testa con un sorriso amaro e si avvia verso il campus dove vive. Dove dovrei vivere anch'io.
Salgo i tre scalini all'entrata e do una spinta alla porta rotta che si apre con facilità. Questo Alex non lo sa, ho evitato di dirglielo per non agitarlo ulteriormente. Russell sta al terzo piano, ovviamente senza ascensore, ovviamente scassato anche quello. Le scale semibuie odorano di umido e di piscio. Spesso da dietro le porte si sentono persone urlare, litigare, scopare. Mi sono sempre chiesta se chi passa davanti alla nostra porta possa sentire anche noi. Probabilmente sì.
Quando arrivo al piano giusto non faccio quasi tempo a bussare che Russell apre la porta: "Ciao piccola"
Lascio cadere la borsa per terra e gli salto al collo. Finalmente sono a casa.Ho ancora gli occhi rossi, me li sento gonfi e caldi. E infatti Russell ci mette un secondo ad accorgersene. Ci siamo seduti al piccolo tavolo della minuscola cucina.
"Cosa è successo?" mi chiede piantando l'occhio buono nei miei. Io lo guardo, guardo nella penombra il suo volto martoriato che ogni volta mi fa stare male al ricordo di ciò che quella cicatrice porta con sé.
"Mia madre sa" dico semplicemente. Lui non si scompone: come me aveva già intuito la cosa, forse anche prima di me, conoscendo mia madre da oltre vent'anni.
"E... Steve?" mormora quasi con timore.
Mi stringo nelle spalle e scuoto la testa mentre sento gli occhi pizzicare.
"Vieni qua"
Mi fa sedere sulle sue gambe e mi abbraccia stretto mentre le mie lacrime gli bagnano il collo.
"Andrà tutto bene. Non preoccuparti" mi accarezza i capelli mentre mi sussurra all'orecchio, "ci sono io qua e non ti lascerò mai"
"Lo so..."
Il totale rifiuto dalla mia famiglia mi ha fatto più male di quanto non voglia ammettere e, se sono tutto quello che è rimasto a Russell, è vero che lui è tutto quello che è rimasto a me.
Rimaniamo così per un po' finché non mi sono calmata del tutto.Il periodo che stiamo passando adesso è il primo attimo di calma dopo i folli eventi dell'ultimo anno e mezzo; ho iniziato il college da qualche mese ed è da quel momento che viviamo in questa bolla di pace. Incerta e fragile ma comunque pace.
Dopo quella tremenda notte e la conseguente venuta a galla della nostra relazione, il mio mondo si è dissolto nel caos così come quello di Russell.
Non appena fu in grado di rimettersi in piedi Annalise gli fece trovare le carte del divorzio. Lui non provò nemmeno a opporre resistenza né a contrattare, firmò e basta. Forse per senso di colpa o forse perché era troppo stanco per affrontare una tale fatica. Non vedo Benjamin da non so quanto tempo e non ho idea di come l'abbia presa, non so cosa gli abbia detto la madre, cosa sappia e cosa non sappia. E sinceramente non voglio nemmeno saperlo, non credo che sarei in grado di reggerlo. Russell non me ne ha mai parlato, probabilmente per non farmi soffrire.
I miei genitori erano così shockati che non mi hanno parlato per giorni se non per le comunicazioni di base. Anzi mio padre nemmeno quello. Poi un giorno sono tornata da scuola (che nel frattempo avevo lasciato andare alla deriva) e li ho trovati seduti in cucina ad aspettarmi. Non ci siamo detti molto in realtà, hanno voluto accertarsi con mio sommo orrore che Russell non mi avesse stuprata o cose del genere. Io ho pianto ho urlato, mi sono incazzata parecchio. Ho detto loro che lo amavo. Mio padre si è incazzato ancora più di me e ha spaccato un bicchiere lanciandolo contro il muro, terrorizzandomi. Non l'avevo mai visto così livido. Non abbiamo parlato per un altro mese, trenta giorni che mi hanno consumato l'anima, trenta giorni in cui, se non avessi avuto Russell, mi sarei ammazzata. Lui nel frattempo si stava rimettendo, facendo fisioterapia e riabilitazione. E intanto si era trovato un buco in cui stare perché Annalise lo aveva cacciato di casa. Per fortuna tra la pensione di invalidità e quella concessagli dal Corpo di Polizia riusciva a cavarsela abbastanza decentemente. In quei giorni di mutismo totale a volte non tornavo nemmeno a casa, andavo direttamente da lui. Era molto strano all'inizio, difficile e doloroso doverlo aiutare per certe cose, vederlo soffrire per quelle orribili ferite. Hanno dovuto asportargli la milza e sottoporlo a diversi interventi per potergli salvare in parte l'occhio destro e per non lasciarlo del tutto sfigurato. Ma per fortuna il suo fisico era forte, temprato da anni di allenamento e per sua fortuna costruito su una buona genetica, come avevano detto i medici. Così in relativamente poco tempo si era ripreso quasi del tutto, giusto giusto per vedermi prendere il diploma. Quel giorno... Cazzo, quel giorno! Lo scongiurai di non venire, non volevo che scoppiasse il finimondo. E invece volle venire e nonostante si fosse messo in disparte, in ultima fila, il finimondo scoppiò lo stesso. Di fatto quella fu l'ultima volta in cui lui e mio padre si parlarono. O meglio si insultarono. O meglio ancora, che mio padre lo insultò. E prese a pugni. Russell non si difese, se le fece suonare da mio padre in mezzo alla gente atterrita, manco fosse il fight club. L'unica cosa che gli disse fu che mi amava e che si sarebbe preso cura lui di me. Dovettero chiamare l'ambulanza perché gli si erano aperte diverse ferite.
Di fatto decisi di entrare al college solo per potermene andare lontano dai miei genitori e anche perché, lo devo ammettere, sentivo di non volerli deludere ulteriormente, nonostante in quel momento li odiassi. Così entrai a sociologia giusto perché mi sembrava la cosa meno impegnativa in assoluto. Ma non me n'è mai importato veramente, infatti almeno la metà del tempo la passo lavorando come cameriera in una squallido diner vicino al campus, il Southern diner and cafe.
Russell si trasferì a Macon con me quasi il giorno stesso, in un buco ancora più buco di quello che aveva nella nostra ex città. E decise di sottoporsi ad una vasectomia. Non voglio mettere al mondo un altro figlio in questo mondo di merda, disse. Io provai un misto di sollievo e tristezza quel giorno. Non avevo mai pensato a quell'eventualità, di avere un figlio da Russell, ma forse è stato meglio così; non saremmo stati in grado, come non lo siamo tutt'ora, di accollarci un tale fardello. Non credo lo saremo mai in effetti, la nostra relazione è troppo assurda e fuori dagli schemi per una cosa del genere, e personalmente non vorrei mai crescere un figlio senza poterlo fare al meglio. Ma per ora l'unica cosa che mi interessa veramente è poter stare con lui.Russell mi passa le mani sulle guance, asciugandomi le lacrime: "Andiamo a letto su" dice facendomi scendere e alzandosi in piedi, "che domani è un altro giorno"
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Living Dangerous
Romance~ Sequel di Playing dangerous La vicenda riprende esattamente da dove si era interrotta: la relazione tra Margaret e Russell è venuta allo scoperto sconquassando la vita delle due famiglie. Margaret ora frequenta (con poca convinzione) il college...