-VII-

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Fortunatamente c'è molto da fare e la mia mente può distrarsi occupandosi di prendere ordinazioni e portare vassoi.
"Benvenuti al Southern diner and cafe, sapete già cosa ordinare?" dico con gentilezza robotica al gruppetto di ragazzi che si sono appena seduti.
"Che ne dici del tuo numero di telefono?"
È troppo tardi quando mi accorgo con orrore che uno dei tre, quello che ha parlato, è Jacob Phelps.
Vorrei sparire, evaporare nell'aria ed uscire dal reame dell'esistenza. E invece rimango qui impalata, incastrata nella dura e solida realtà. Una realtà fastidiosa che ha trovato il modo di scovarmi nonostante i miei sforzi per evitarlo.
"Jacob" dico con un debole sorriso che riesce a coprire abbastanza bene la voglia che ho di vomitare, "che...sorpresa"
"Proprio una sorpresa sì. Non sapevo lavorassi per il vecchio Tony" dice lui squadrandomi in maniera non troppo velata. Perché non sono per niente stupita che conosca il mio capo?
"A dire la verità l'ho sentito dire" continua, "ed ero curioso di vedere se fosse vero"
"Oh..." Ma sentito dove? Da chi?!
Penso immediatamente a Jolene. Tra quelli che sanno del mio lavoro, è l'unica a non sapere della mia intenzione di evitare Jacob. Deve avere chiesto qualcosa a lei.
"Allora... Cosa posso portarvi?" chiedo sperando in una risposta sensata.
I quattro farfugliano tra loro e si mettono d'accordo: "Vanno bene solo quattro birre. Nessuno di noi vuole passare la giornata al cesso" mi risponde Jacob ridendo e facendo ridere i suoi tirapiedi. È chiaramente lui il capo del branco.
Faccio portare la loro ordinazione ad Andrea, dandole il cambio dietro al bancone. Se potessi fare a cambio con Charlie mi rintanerei in cucina a lavare i piatti e ad ascoltare la stupida musica rap di Marcus. Ma Charlie ne viene fuori troppo tardi, quando Jacob si è già spostato al banco con la sua birra in mano, lasciando al tavolo i suoi amici.
"Non sei uno che si arrende facilmente tu" non lo dico come una cosa positiva, è solo un eufemismo per rompicoglioni.
Ma lui lo prende assolutamente come un complimento: "L'hai detto. Non a caso sono il capitano della squadra di football del college" ovviamente. Uno stereotipo vivente.
"Ah sì? Manco sapevo avessimo una squadra" il mio tono è leggermente sprezzante.
"Dovresti venire a vederci. Potrei farti avere degli ottimi posti"
"Grazie. Ma non me ne frega molto dello sport"
Non capisco proprio che diavolo voglia da me. O meglio, so cosa vuole ma non capisco perché tutta questa insistenza. Suppongo non sia abituato ad essere rifiutato, anzi immagino non gli sia mai capitato. Di fatto è oggettivamente un bel ragazzo, con i lineamenti regolari, i suoi occhi grigi e i capelli dorati. Dalla parte totalmente opposta della tavolozza rispetto a Russell.
"Ok, basta giochini, sarò completamente sincero con te: mi piaci e vorrei uscire con te. Almeno un volta"
Ha cambiato tattica, ora gioca a fare quello che implora.
"Dammi solo una possibilità" rincara la dose davanti alla mia espressione poco impressionata.
"Ti ho già detto, mi pare, che non sono libera"
"Non puoi uscire con un amico? Cos'è, il tuo ragazzo ti tiene al guinzaglio?"
Beh se la metti così...
Dentro di me sto rotolando dalle risate. Che bamboccio ingenuo.
Vorrei potergli ridere in faccia ma poi dovrei rispondere a molte domande. Non so grazie a quale divino intervento riesco a mantenere un'espressione vacua neutra.
"Senti, il locale è pieno e io ho da fare. Se quando finisco il turno sarai ancora qua, ti darò la tua possibilità. Come amico ovviamente" dico prima di allontanarmi senza nemmeno aspettare la sua risposta.

Quando iniziamo a sistemare per la chiusura pomeridiana, alle due meno un quarto, lui è ancora lì, dannazione!, seduto dov'era seduto sta mattina con il suo branco, solo che ora è da solo. Avrei dovuto intuire che non avrebbe ceduto per qualche ora di attesa.
"Sei ancora qui" gli dico mentre pulisco il tavolo davanti a lui.
"Certo" è così fastidiosamente sicuro di sé.
"Beh tra poco chiudiamo il locale e a meno che tu non voglia star qua fino a sta sera è meglio che ti alzi e te ne vai" spruzzo il disinfettante molto vicino a lui e il getto vaporizzato investe parzialmente anche il suo braccio. Lui si alza con un mezzo sorriso; a quanto pare tutti questi segnali non li prende come uno stizzito invito a smetterla ma come una divertente provocazione.
"E il nostro patto?"
"Quando esco di qui ne parliamo. Ora per favore vai fuori"
Se ne va, ma dalle vetrate vedo che attraversa la strada per andare ad appoggiarsi al muro dell'edificio di fronte. In questo momento la voglia di dirlo a Russell è alle stelle, l'unica cosa a fermarmi adesso è il suo impegno nel fine settimana. E anche, lo devo ammettere, una punta di orgoglio personale. O forse è la sottile paura di passare per quella che non sa mai cavarsela da sola.
"Magari ce l'avessi io uno così figo che mi stalkera" dice Andrea lanciando un'occhiata fuori e distogliendomi dai miei pensieri.
"Se potessi te lo cederei volentieri all'istante"
Abbasso le tapparelle e Jacob sparisce dalla nostra vista.
Continuiamo a pulire i tavoli in silenzio, si sente solo Charlie che fischietta dalla cucina aperta mentre prepara le cose per il turno serale.
"Dimmi...se non stessi con Russell, ci faresti un pensierino su di lui?" mi chiede Andrea di punto in bianco con finta noncuranza. È una delle poche persone della mia nuova vita a non starmi sulle scatole ma è una ficcanaso incorreggibile. E non se ne rende minimamente conto. Per innumerevoli occasioni ha cercato di farmi sputare qualcosa da quella volta in cui Russell stava per menare Tony. Uno straccio di informazione, di spiegazione sul perché di quella strana relazione. Parole sue. Ma senza offesa eh.
Comunque non mi ha nemmeno sfiorato quel pensiero come se non fosse possibile secondo nessuna legge fisica esistente.
Forse, in un universo completamente separato dal nostro, ci sarebbe una minima infinitesimale possibilità per la "me" di quel luogo di pensare, pensare, di stare con uno come Jacob Phelps.
"No"
"Dai non ci credo!"
Ci credo, che non ci creda. Non sa quello che abbiamo passato io e Russell. Non sa nulla.
"Nah... Non è il mio tipo, sul serio"
Non è per niente convinta, lo so: "Mah, sarà. Che gli dirai allora?"
"Gli darò una possibilità di dimostrarsi diverso da quello che immagino che sia. Come amico ovviamente"
Tanto sarà solo una perdita di tempo.

Quando esco dal locale, gli vado incontro e nemmeno lo saluto: "Se vuoi possiamo fare venerdì sera. È l'unico giorno in cui posso. Prendere o lasciare"
"Perfetto" dice senza nemmeno pensarci un secondo come se sapesse già cosa gli volevo dire.
Venerdì pomeriggio Russell partirà per il week end, fino alla domenica mattina. Non mi sento in colpa, non ho nessuna sensazione di tradirlo perché non è ciò che sto facendo. È una cosa che non farei mai in un milione di anni.
"Ci tengo a sottolineare che non si tratta di un appuntamento. Non andremo in nessun luogo romantico, non faremo niente di...equivoco. Niente scherzi"
"Ma certo, Margaret. Se è questo che vuoi io lo rispetto"
Il suo tono sembra sincero per davvero. Forse non è il viscido che immagino.
Forse.

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