-XIII-

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Questa settimana ho frequentato le lezioni praticamente ogni giorno. Un vero record per me. Ora purtroppo è venerdì e Russell è già partito per andare da Annalise. Anzi, per andare da Benjamin. Sta mattina era comprensibilmente nervoso, avrebbe voluto non partire mai e allo stesso tempo essere già là.
Magari passo a fare un saluto a Steve, ha detto mentre metteva nel borsone qualche vestito. Per un attimo ho creduto che fosse serio e mi si è raggelato il sangue nelle vene.
Ma dai ho detto per dire! Ci mancherebbe solo quello, mi ha rassicurato vedendomi sbiancare. Non mi dispiacerebbe se ci provasse davvero a riallacciare con mio padre, ma l'idea è comunque spaventosa.
Non gli ho detto di stasera; ci ho pensato in questi giorni, sono stata sul punto di dirglielo diverse volte ma la paura di dargli un ulteriore grattacapo mi ha sempre bloccata. Non è niente di importante però avendo già la situazione Annalise in mente, chissà dove sarebbe potuto andare a finire a ragionare. Ma in fondo la verità che non voglio troppo ricordare a me stessa è che stasera dovrò uscire con uno che mi ha detto chiaramente di piacergli e che cerca di convincermi ad uscire con lui da settimane. È ovvio che non significa nulla per me ma non credo Russell potrebbe vederla così. Dubito the sarebbe arrivato a vietarmi di andarci ma dubito anche che ne sarebbe stato felice.
Mi ha accompagnato al campus (stanotte sono stata da lui, come potevo lasciarlo solo?) e ci siamo salutati con un lungo abbraccio.

Adesso sono circa le otto e mezza e sono davanti ai cancelli del campus, al freddo, ad aspettare Jacob Phelps. Decido di aspettare al massimo fino alle trentacinque, se non arriva per quell'ora me ne andrò. Cosa che spero con tutto il cuore. Mi sto pentendo abbastanza di avere ceduto solo per sfinimento. Forse avrei dovuto davvero presentargli Russell, avrebbe smesso di sicuro. Credo che semplicemente non ci creda che gli abbia detto la verità, dopotutto non mi ha mai vista con nessuno in giro per il campus, se non con Alex. Neanch'io ci crederei se fossi in lui in effetti, penserei che si è trattata di una balla per tenermi lontano.
"Ciao Maggie"
All'improvviso Jacob si trova davanti a me. Non l'ho nemmeno sentito arrivare.
"Ciao" gli rispondo poco convinta.
"Allora, hai pensato a un posto dove andare?" mi dice con un sorriso sulle labbra.
"A dire la verità no" avrei dovuto pensarci miseriaccia!
"Hai già cenato?"
"Mm-hm" almeno su questo sono stata abbastanza furba, col cavolo che sarei andata a cena fuori con questo.
"Ah, io no... Ma non è un problema. Che ne dici se andiamo al bowling? Posso sempre mangiare qualcosa là"
Al bowling? Non ci ho mai giocato in vita mia, non so nemmeno come sia fatto un posto così. Ma mi sembra abbastanza tranquilla come proposta, niente di speciale. O di equivocabile.
"Uhm... Ok, va bene. Non ho mai giocato a bowling ma non credo sia così difficile" rispondo stringendomi nel cappotto.
"Vieni ho parcheggiato dietro l'angolo" si incammina sulla strada da dove è venuto. Io lo seguo un po' da distante.
Sembra diverso rispetto a com'è insieme ai suoi amici, più tranquillo e meno pallone gonfiato. Ma non ne sono poi così sicura, insomma una persona non può cambiare completamente in situazioni diverse, o no?

"Tu ci vieni spesso qua?" gli domando mentre scendiamo dalla macchina. L'edificio è un grosso fabbricato grigio che potrebbe sembrare benissimo un qualunque deposito o magazzino, se non fosse per l'enorme scritta al neon Galactic Bowl! contornata da altrettante brillanti decorazioni dalla forma strana. Sembrano fiori o roba del genere.
"Ogni tanto coi ragazzi della squadra. Di solito quando perdiamo una partita" risponde, "quindi non troppo spesso" aggiunge alla fine con un tono da spaccone.
"Siete davvero così bravi allora?" non mi va troppo di gettare benzina al suo ego ma è sempre meglio di quel fastidioso silenzio imbarazzante.
"Direi di sì. Per questa stagione non abbiamo ancora perso una partita"
Non so che dirgli. Non ci capisco nulla di football e nemmeno mi interessa. Ho come la sensazione di non avere assolutamente nulla in comune con lui, nulla di cui poter discutere, neanche una semplice banalità.
Il locale all'interno è enorme ma poco affollato, infatti delle dieci piste solo tre sono occupate. A noi viene data la numero nove.
"Dobbiamo cambiarci le scarpe vero?"
"Sì esatto. Che numero porti?"
Dio che schifo! Sapevo di questa cosa ma non lo avevo ancora realizzato fino ad ora. Faccio finta di niente mentre un annoiatissimo adolescente brufoloso ci consegna i numeri chiesti senza una parola. Prima di passarcele ci spruzza dentro un'abbondante dose di deodorante spray. Reprimo un conato.

"Yesss!"
La palla lanciata da Jacob ha colpito i birilli in modo impeccabile, facendoli schizzare qua e là. Un altro strike.
"Mi stai stracciando di brutto! Un'altra volta!" gli dico sghignazzando mentre segno i suoi punti come mi ha insegnato.
Lo ammetto: sono un po' alticcia. Ho bevuto un paio di birre per allentare la tensione. E ha funzionato! Adesso tutto sembra più colorato e divertente, perfino Jacob è diventato simpatico. Anche lui si è scolato qualche birra, ben più di me, ma sembrano avere avuto meno effetto su di lui.
"Te l'ho detto dove sbagli" si dirige verso di me massaggiandosi la mano con cui ha lanciato, "carichi il colpo in modo sbagliato. Devi usare tutto il corpo"
Non riesco a capire cosa intenda. Mi alzo e afferro la mia boccia verde pisello: "Avanti palla, aiutami a non fare una brutta figura" le mormoro avvicinandomi al punto di lancio.
"Aspetta, ti faccio vedere un'altra volta" dice mettendosi al mio fianco.
Mi afferra il polso: "Vedi? Il braccio va così"
Lascio cadere la palla e quella rotola pigramente verso il suo bersaglio. Le sto dando delle istruzioni, un po' a destra!, no no più al centro!, gesticolando come una matta, come se potesse davvero cambiare il suo lento ma inesorabile percorso.
Trattengo il respiro quando la palla è sul punto di colpire i birilli...
"Sì, cazzo, sì!"
Ho fatto strike! Sono così stupidamente contenta che abbraccio Jacob, esultando. Mi rendo conto troppo tardi che forse era meglio non farlo, ma l'euforia (e la birra!) è troppa perché riesca a contenermi. A lui chiaramente non dispiace, però non sembra neanche approfittarne. Però ha ordinato un altro giro, per festeggiare!

Si è fatto abbastanza tardi. Mi sto dirigendo verso il bagno e barcollo un po'. L'anticamera comune è al buio e l'unica luce filtra dall'oblò sulla porta, ma la luce nel bagno delle donne per fortuna si accende appena entro.
Sono un'idiota! Non avrei dovuto bere tutta quella birra ma tra una partita e l'altra quasi non me ne sono accorta.
Quando esco dal bagno mi sciacquo il viso e mi sento un po' meglio. Sono quasi le undici. Non avrei mai creduto che la serata sarebbe trascorsa così velocemente tutto sommato.
Uscendo nell'anticamera comune, nella penombra intravedo Jacob davanti alla porta del bagno degli uomini. Immagino ci sia andato anche lui. Si avvicina, sembra volermi dire qualcosa.
Rimango immobile completamente sbigottita quando mi si avventa contro costringendomi a baciarlo. Appena il mio cervello riesce a connettere lo spingo via: "Ma che cazzo fai?!"
"Eddai lo so che lo vuoi! Hai fatto la civetta tutta la sera" dice afferrandomi per le spalle.
"Ma che stai dicendo? Lasciami Jacob!" cerco di divincolarmi ma la sua presa è fottutamente salda. Un'ondata ghiacciata di terrore mi sommerge quando mi spinge contro il muro e le sue labbra premono ancora sulle mie mentre le sue mani mi toccano ovunque. Mugugno disgustata sentendo la sua lingua nella mia bocca e mi dimeno senza alcun risultato. Ma istintivamente i miei denti si serrano e a quel punto fa un balzo indietro, lasciandomi libera e portandosi una mano sulla bocca.
Sbatto la testa contro il muro dietro di me, tale è la forza con cui mi colpisce il suo schiaffo: "Ti pice violento eh?" dice con la mano ancora sulle labbra.
Tra il colpo che mi è arrivato in faccia e la botta che ho preso sulla nuca, davanti ai miei occhi ci sono tutte macchioline colorate. Scivolo con la schiena lungo il muro, le mie gambe si rifiutano di sostenere il mio peso.
"Mi hai dato un gran bel morso, maledetta zoccola" lo sento dire. Ma non rispondo, me ne sto solo qua per terra su questo pavimento schifoso a tenermi la testa e a sbattere gli occhi cercando di reagire. Ma la mia mente si non vuole collaborare, è come paralizzata, non riesce a pensare a nulla da dire o da fare. Perché non riesco nemmeno a fiatare? Apro la bocca ma la mia voce è sparita e rimango a boccheggiare come se stessi annegando.
Non mi sento più qui. Adesso sto osservando il tutto da dietro lo specchio dei miei occhi, da una stanzetta lontana e al sicuro. Lo vedo mentre si abbassa la cerniera dei pantaloni e si avvicina lentamente.
Alzati porca puttana! Alzati in piedi!
La sensazione è quella di tentare di parlare ad un personaggio in tv che per quanto tu ti possa agitare e urlargli di fare qualcosa, quello continuerà a restare lì per terra imbambolato attendendo il suo ineluttabile destino.
"Che sta succedendo qua?!"
Una voce che non riconosco riesce a filtrare attraverso i muri impenetrabili della mia stanzetta. La mia testa si volta verso la fonte luminosa: la porta dell'anticamera è spancata e c'è qualcuno davanti.
"E tu che vuoi, negro?" sento la voce di Jacob.
"Che stai facendo a quella ragazza?!"
Sbatto gli occhi diverse volte, accecata dalla luce che proviene dalla sala; sembra essere un piccolo ometto afroamericano con uno spazzolone in mano.
"Se non te ne vai all'istante chiamo la polizia!" dice con una voce assurdamente stridula. Impugna quello spazzolone come se fosse pronto a spaccarlo in testa a Jacob.
Per un attimo lui sembra indeciso sul da farsi. Mi guarda, guarda l'uomo sulla porta. E decide di andarsene, non prima di avere sputato per terra.
L'uomo mi si avvicina con un balzo e so china su di me: "Ragazzina, va tutto bene? Che ti ha fatto quel pezzo di merda?! Ora chiamo un'ambulanza"
"NO!"
Il suono della mia voce mi riporta nel qui ed ora alla velocità della luce. Mi volto dall'altra parte e vomito i due litri di birra che mi sono scolata.

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