-XV-

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Nel pomeriggio dovrebbe tornare Russell. Ma non ci penso, non voglio farlo. Così come non penso al fatto che ora dovei essere al lavoro e invece sono qua in pigiama a cucinarmi dei noodles precotti nel microonde. Ho messo il telefono in silenzioso e a faccia in giù per non vedere la lucetta di notifica lampeggiare.
Torno a sedermi sul divano con il mio insipido pranzo fumante e cambio canale alla TV finché non ne trovo uno in cui stanno dando una maratona natalizia dei Simpsons. Il televisore è rimasto acceso quasi senza sosta per un giorno e mezzo, spegnendosi automaticamente solo alla notte mentre dormivo. Io d'altro canto non mi sono mai mossa da qua, gli unici momenti in cui mi sono staccata dal divano sono stati per andare in bagno e per prendere da mangiare in cucina; rimanere qui mi dà una strana sensazione di sicurezza, come se al di fuori di questa zona ci fosse un luogo pieno di mostri invisibili. Lo so benissimo che è pura idiozia ma appena mi allontano un attimo mi sale l'ansia.
Pensare all'altra sera adesso non mi provoca più alcun effetto, quasi non fosse successo a me. Ho come l'impressione di averlo visto accadere in un film, uno di quelli particolarmente impressionanti che ti rimangono in testa per un po'. Ma alla fine il ricordo sbiadisce e ti rendi conto che era solo un film.
Arrivo alla conclusione che posso anche fare a meno di dirlo a Russell. Adesso sto bene.

Sono solo le due e un quarto quando sento la porta di casa si aprirsi. Mi sollevo dal divano cercando di darmi un contegno prima che Russell entri ma mi cade l'occhio sul tavolino ingombro di roba, piatti sporchi, pacchetti di biscotti mezzi aperti, il posacenere pieno di mozziconi.
"Ciao Russell, sei tornato presto"
il mio tono sembra quello di un alieno che cerca di imitare un essere umano.
Lui si ferma un attimo sulla porta guardandomi come se fossi effettivamente un alieno: "Maggie... Ciao. Sei qui eh? Non me lo sarei mai aspettato" mi saluta ironicamente.
Ha un'aria stanchissima, si trascina dietro la valigia come se fosse un masso. Non so se dovrei alzarmi e andargli incontro o aspettare che si avvicini. Non so dove tenere le mani o dove guardare, all'improvviso è come se il mio corpo non sapesse più come comportarsi. Sto addirittura trattenendo il fiato.
"Cavolo che casino su sto tavolo"
Si è avvicinato e si china per abbracciarmi. Sobbalzo leggermente, vorrei che non lo facesse ma poi ricambio dandomi della stupida.
Ma lui si accorge subito che c'è qualcosa di strano, e come non potrebbe.
"Maggie stai bene?" mi chiede mentre si leva la giacca. L'appoggia al manico alzato della sua valigia.
"Certo"
Mi guarda un attimo prima di volgere lo sguardo al tavolino. Si vede benissimo che è il disordine accumulato in più giorni. Ma non dice niente, invece inizia a raccogliere un po' di cose, ad impilare i piatti l'uno sull'altro.
"Come è andata allora?" gli chiedo sforzandomi di mantenere una parvenza di normalità.
"Bene" risponde sfuggente, avviandosi verso la cucina con in mano parecchia roba. Ho come l'impressione che non si stia comportando come al solito, ma è difficile capire dove finisca davvero il mio essere diversa dal solito e dove, forse, inizi il suo. È difficile dire quali siano i veri colori del mondo quando lo guardi attraverso delle lenti nere. Raccolgo anch'io qualche cartaccia e il bicchiere, e lo seguo fermandomi però sulla porta: "E Benjamin come sta?" chiedo un po' titubante.
"Lui...sta bene. Era felice di vedermi"
La sua voce sembra essersi incrinata. Percepisco che è meglio non dire più niente. Mi dirà lui quello che vorrà quando vorrà. O forse sono io che ancora fatico a parlare di Ben e preferisco fingere che non esista e che non sia mai esistito nient'altro al di fuori di noi due.
"Tu come hai passato questi giorni?"
La sua domanda mi prende alla sprovvista. Sono ancora impalata sulla porta della cucina mentre lui si è seduto al tavolo con un bicchiere e la bottiglia mezza vuota del succo d'arancia.
Mi muovo verso il lavandino con la sensazione di camminare lentamente, troppo lentamente, come se per ogni passo dovessi staccare i piedi dal fango.
"Come al solito, niente di speciale" rispondo senza guardarlo. Se incrociassi i suoi occhi adesso, morirei. Per fortuna c'è qualche piatto da lavare così ho una buona scusa per non voltarmi.
"Hai lavorato?"
"No, non avevo turni. Lunedì probabilmente"
Mi viene in mente che sicuramente lunedì dovrò affrontare Tony. E soprattutto le domande di Andrea. È buffo come tema di più il suo ficcanasare che la collera del mio capo.

Un piatto mi scivola dalle mani e sbatte sul fondo del lavandino, per fortuna senza rompersi, quando sento le braccia di Russell attorcigliarsi alla mia vita: "Mi sei mancata" mormora mentre il suo naso mi sfiora i capelli, il collo.
"Dai Russ... Stavo per rompere un piatto! Lasciami finire" tento di farlo smettere con lo stomaco sottosopra.
"Non credo di profumare, non mi lavo i capelli da qualche giorno"
"E secondo te è un problema?"
No. Non lo è mai stato. Non so neanche perché abbia detto così, illudendomi che sarebbe servito a qualcosa.
Russell continua a toccarmi, le sue mani si infilano sotto la mia maglia, cercano la mia pelle. Io sono rigida come una tavola, non voglio che mi tocchi, non voglio che mi stia così vicino. Voglio solo tornare sul divano e coprirmi fin sopra la testa.
Ma non dico niente né mi muovo, non deve pensare che ci sia qualcosa di strano. Perché non è così.
Solo quando si fa strada nei miei pantaloni riesco a parlare: "Russell basta..." dico in un sussulto sofferente.
Lui si ferma. Per un attimo tutto si ferma, lui rimane immobile, le mani immobili, bollenti sulla mia carne tremante. E poi si ritirano come le acque prima di un'onda di maremoto.
Mi prende per le spalle e mi fa voltare delicatamente, le mie mani bagnate e piene di schiuma sgocciolano per terra e sui nostri piedi.
Sgrana gli occhi e si ammutolisce quando vede il mio viso rigato dalle lacrime. Sento che sto per crollare, in tutti i sensi.
"Maggie cosa..."
Ecco le gambe mi cedono e Russell fatica per non farmi cadere a terra come una bambola di pezza. Mi accompagna dolcemente al suolo e il suo corpo si abbassa con me.
Scoppio in un pianto a dirotto.

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