-III-

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Quando apro gli occhi una tenue luce illumina la stanza, nonostante le tapparelle siano abbassate. Oggi è il black friday e... Io dovrei essere al lavoro! Mi alzo di scatto cercando il telefono sul comodino: le otto e quaranta.
"Cazzo!!"
Ho venti minuti per prepararmi. Anzi dieci, visto che solo per arrivare alla tavola calda ne servono altrettanti.
"Maggie... Cosa..?" mugugna Russell sollevandosi dal cuscino.
"Oggi dovevo andare al lavoro!" dico alla frenetica ricerca della divisa.
La cosa divertente è che mi sono offerta personalmente di andarci, nonostante oggi si apra più tardi e solo per l'orario della colazione. Ma perché l'ho fatto?!
"Ti accompagno" dice girandosi a pancia in su, pronto ad alzarsi.
"Ma no, lascia stare"
"Tanto ormai sono sveglio"

Mentre ci prepariamo una veloce colazione Russell mi sembra pensieroso.
"Qualcosa non va?" gli chiedo addentando una fetta di pane e marmellata.
Lui sospira, evidentemente turbato da quello che sta pensando: "Tu lo sai che adoro averti qua..." oh no, ancora quel discorso, "ma devi andare alle lezioni Maggie, e devi stare al campus almeno per quattro giorni alla settimana"
Non dico niente, già lo sa che non mi importa del college e men che meno di vivere al campus. Ma non lo dico ad alta voce, non per l'ennesima volta.
"Hai capito?"
"Mm-hm" annuisco.
Lascia la sua tazza sulla credenza per avvicinarsi a me, che sono seduta al tavolino con la schiena appoggiata al muro invece che allo scomodo schienale della vecchia sedia.
"Non rispondermi così" dice piazzandomisi davanti, a pochi centimetri dalla mia faccia. I miei occhi sono giusto all'altezza della patta dei suoi pantaloni. Mi afferra il mento costringendomi a guardarlo dal basso, facendomi quasi cadere la fetta di pane dalle mani: "Ehi!"
"Tu non mi rispondi così" ripete con un tono inflessibile che mi manda un brivido lungo la schiena.
Io sostengo il suo sguardo, sfidandolo con il mio silenzio. Vedo la sua mandibola contrarsi e rilassarsi subito dopo: "Lunedì vai a lezione e ti porti via tutta la roba che hai sparso per la casa" mi dice a voce bassa ma in un modo tale che non ammette repliche, "intesi?"
In questo momento è troppo tardi per protestare, non voglio arrivare tardi a lavoro: "Sì" rispondo semplicemente senza però distogliere lo sguardo. La sua mano si abbassa sul mio collo, stringendolo leggermente. Si china su di me e mi bacia: "Bene"

Mentre scendiamo le scale ho ancora il cuore che mi martella il petto e le gambe che tremano; ormai non nego più la parte di me che gode nel farsi sottomettere da Russell.
Lo ammetto di adorare quando mi dà degli ordini, quando si preoccupa per me a tal punto da costringermi a fare quello che non voglio ma che dovrei fare. È il nostro gioco quotidiano. Lui soddisfa il suo desiderio di controllare una vita ormai quasi del tutto incontrollabile, e io soddisfo il mio bisogno di non sentirmi totalmente perduta in un mondo che sento non più appartenermi per davvero.
Ci salviamo a vicenda.

"Grazie per avermi accompagnata" gli dico quando arriviamo davanti al diner, dall'altra parte della strada.
"Nessun problema"
Si allunga verso di me cercando le mie labbra. Rispondo più che volentieri assaporando le sue al gusto di caffè, e istintivamente la mia mano corre verso la sua coscia...ma viene intercettata prima che possa fare danni: "No no, non fare la furba" mormora sulla mia bocca. Io sorrido liberandomi dalla presa. Gli sfioro la cicatrice sul volto: "A dopo, Russ" esco dalla macchina ma prima di allontanarmi gli dico di pensare a qualcosa da fare nel pomeriggio.
"Ai suoi ordini, signora" mi fa un mezzo saluto militare.
Quando riparte guardo l'orologio che segna le nove e cinque minuti, non male se penso che poco più di venti minuti fa stavo ancora dormendo.

Charlie e Andrea sono già arrivati visto che toccava a loro aprire e preparare per la colazione. Almeno questo sono stata abbastanza furba da risparmiarmelo. Del capo neanche l'ombra ovviamente. Il capo: Anthony Wayne, un grasso e basso ultrasessantenne coi capelli finti e le dita macchiate di nicotina, uno dei più grandi e viscidi bastardi nella storia dell'umanità. Un taccagno di prima categoria e un maniaco seriale. Probabilmente è un criminale o quanto meno ha le mani dentro affari poco leciti. Credo corrompa poliziotti, sicuramente lo fa con l'ufficio d'igiene, visto lo stato di questo posto. E nonostante ciò ha il locale sempre pieno, forse perché è in una posizione strategica e fa dei prezzi stracciati a portata anche dello studente più pezzente. O forse perché non è altro che un ritrovo per malavitosi o roba del genere. Ho raccomandato a tutti i miei amici di starne alla larga se non vogliono beccarsi la salmonella. Ma è una cosa risaputa, i maggiori introiti infatti derivano dal servizio bar più che da quello di ristorante.
"Ciao ragazzi" li saluto entrando. Andrea è occupata a preparare gli ultimi tavoli, Charlie è sparito dietro alla porta che dà sul corto corridoio, aperto solo allo staff. Ne riemerge con degli scatoloni in braccio.
"Ehi Maggie. Come va?" mi saluta la ragazza.
"Non c'è male, potrebbe sempre andare peggio" proprio mentre pronuncio questa frase l'auto del capo si ferma davanti alla porta d'entrata. Idiota.
"Parli del diavolo" mormora Charlie sparendo di nuovo dietro la porta di servizio.
"Buongiorno Tony" lo saluta Andrea, con finta cordialità.
"Vedete di non rompere i coglioni oggi eh" mugugna dirigendosi verso il corridoio. Una delle stanze sul retro è la sottospecie di magazzino del diner, l'altra è il suo ufficio. Lui entra lì, sbattendosi la porta dietro.
Andrea mi guarda con lo sconforto negli occhi: "Iniziamo bene"

Ricordo ancora la prima volta che provò a fare il viscido con me. Fu durante la mia seconda settimana di lavoro lì anche se era già da un po' che mi ronzava attorno. Dal primissimo giorno in effetti, quando mi chiese se indossassi il reggiseno perché da sotto la camicia bianca non si vedeva, e l'obbligo di indossarlo faceva parte della politica dell'azienda nonché della divisa. Che schifo.
Quella volta il locale era stranamente semivuoto e il bastardo ne approfittò per mettermi una mano sul culo. Ovviamente feci per tirargli uno schiaffo ma non so come riuscì a bloccarmi il polso e a strattonarmi. Per mia fortuna, e sua immensa sfortuna, quello era il giorno libero di Russell che era passato a trovarmi, sedendosi ad uno dei tavoli. Assistette alla scena e ci mise mezzo secondo a balzargli contro.
"Ma che cazzo vuoi tu?"
"Se le metti ancora le mani addosso giuro che te le spezzo un dito alla volta!" tuonò a pochi centimetri di distanza da lui.
"Tu non sai chi sono io!" provò ad intimorirlo Tony, ma il suo metro e sessantacinque sparì nell'ombra del furioso metro e ottantotto di Russell. Nel frattempo gli altri due clienti osservavano morbosamente la scena. Charlie ed Andrea erano invece attoniti: "Anzi" aggiunse Russ, "te le spezzo se le metti addosso a uno qualsiasi dei tuoi dipendenti"
Davanti alla sua espressione risoluta e incazzata resa addirittura più agghiacciante dalla cicatrice che gli attraversa il viso, Tony si fece ancora più piccolo e borbottò delle parole incomprensibili tentando di sgusciare via da quella scomoda posizione. Io ero altrettanto attonita ma anche piuttosto imbarazzata: "Russ calmati" mi frapposi tra i due spintonando via Russell, allontanandolo da quel viscido insetto codardo di Tony. Lui capì che quello non era un tizio qualunque quando mi vide baciarlo, un bacio veloce ma che di sicuro tradiva l'intimità fra noi due.
Russ rimase tutto il tempo seduto a quel tavolo ordinando un caffè ogni ora, osservando Tony da distante come un lupo osserva un vecchio cinghiale, aspettando una sua mossa sbagliata per squarciargli la gola. Più tardi quella sera, mentre stavamo tornando a casa, mi disse che Andrea gli aveva sussurrato un grazie quando era andata a riempirgli la tazza di caffè.
In effetti da quel giorno in poi i comportamenti molesti di Tony si sono ridotti drasticamente, anche con Andrea. E perfino Charlie e il cuoco Marcus vengono trattati un po' meglio. Evidentemente Anthony Wayne non è un individuo così pericoloso come ama far credere a tutti.

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