-XIV-

1.7K 25 9
                                    

"Scusa ancora per quello schifo che ho combinato" dico a Titus mentre aspetta con me il taxi che ha insistito per chiamare personalmente.
"Scherzi? Non ti devi assolutamente preoccupare!" mi rassicura mettendomi una mano sulla spalla. Avrà sulla cinquantina d'anni, magrolino e poco più alto di me. "Sei sicura di stare bene?" mi chiede ancora, forse per la ventesima volta. Jacob avrebbe potuto facilmente ammazzarlo se avesse voluto.
"Sì... Ho solo sbattuto la testa, qua dietro" dico massaggiandomi il bozzo che si è creato, "ma non è niente di grave"
Finalmente il taxi arriva e si ferma dall'altra parte della strada.
"Grazie ancora Titus, davvero. Mi hai letteralmente salvato la vita... Troverò il modo di sdebitarmi"
"Non preoccuparti, Margaret. Davvero. E ricorda che se denunci quel pezzo di merda io ti faccio da testimone!"
Non so che rispondergli. Gli sorrido debolmente e mi incammino verso il taxi, salutandolo con la mano.
Una volta a bordo dico all'autista la via dell'appartamento di Russell. Non posso tornare al campus adesso, non con il rischio di incontrare Jacob.
Denunciarlo... Quasi mi viene da ridere se penso alla follia di quell'idea. A che servirebbe? Quel figlio di puttana è uno dei rampolli della città e io sono poco più di una scappatadicasa. Per di più tutti hanno assistito alla nostra serata e di come io effettivamente mi sia comportata da una che ci sarebbe stata. Nessuno mi crederebbe. Credere a cosa tra l'altro? Non è successo niente! Se non ci fosse stato Titus... Le lacrime mi innondano gli occhi e la gola mi si chiude nel tentativo di non fare rumore. Titus che mi farebbe da testimone! Ancora più terribilmente esilarante! Un afroamericano, un inserviente poveraccio, che accusa Jacob Phelps. Sicuro. Tutte le giurie dello Stato gli darebbero certamente credito!
Quando arriviamo all'appartamento la mia faccia è un disastro impiastricciato, sgancio all'autista più del dovuto ma per non fermarmi a parlarci lascio stare e scappo verso la porta d'ingresso del palazzo.

Mi fiondo sotto la doccia. Ho l'impellente bisogno di lavarmi e non solo per togliermi di dosso l'odore del vomito che sento incollato nelle narici. Mi sembra di essere intrisa dell'odore di Jabob, come se in qualche modo mi fosse penetrato sotto la pelle.
Ma non serve a niente l'acqua così bollente da scottarmi, non serve che mi sfreghi le braccia fino quasi a scorticarmele, quello schifoso odore rimane li. Mi sembra di trasudarlo dai pori. E l'improvviso ricordo della sua lingua nella mia bocca mi fa piegare in due con lo stomaco sconvolto da forti conati. Vomito ancora, altra birra forse o forse sono solo succhi gastrici che mi bruciano la gola. Mi devo sedere sul fondo della vasca perché sento che le gambe non riescono più a reggermi e se scivolassi potrei anche restarci secca. Mi balena in testa che forse non sarebbe così male a questo punto. Un pensiero che dura meno di un secondo ma che mi sconvolge l'anima.
"Stupida! Stupida stupida STUPIDA!"
Grido. Sbatto il pugno sul muro, due tre cinque volte. Non so cosa ribolle dentro di me. Tristezza. Rabbia. Senso di colpa? Ma perché poi? Davvero non è successo praticamente nulla. Forse, anzi sicuramente sarebbe successo qualcosa, ma non è andata così.
Allora smettila di fare la vittima!
Non avresti dovuto accettare di uscire con lui! Non avresti dovuto bere come una sconsiderata! Né dargli troppa corda... Sei stata una deficiente totale!!!
Rimango lì seduta immobile, lascio che l'acqua bollente mi scorra addosso nel vano tentativo di sciogliere tutto lo schifo che sento appiccicato alla pelle come uno spesso strato oleoso e malsano. Ma il tempo passa e l'acqua diventa sempre più fredda finché dentro di me non rimane che un vuoto doloroso.

Mi stendo sul divano e mi avvolgo in una spessa coperta. Accendo la tv ma non me ne frega niente di guardarla, voglio solo non rimanere immersa nel silenzio della notte.
Dovrei chiamare Russell ma non posso; mi sentirei ancora peggio se dovesse lasciare l'incontro con Benjamin a causa mia. Sono sicura che non ci metterebbe un attimo a mollare tutto e venire qua, ma a quale prezzo? Verrebbe consumato dal bisogno di stare in entrambi i posti e dal doverne scegliere per forza uno. No.
E poi... Non so. Pensare a lui ora mi fa male ma non so il perché. Vorrei che fosse qua a stringermi e a dirmi che sono al sicuro ma allo stesso tempo non voglio vederlo. Non voglio vedere nessuno, voglio solo starmene in pace in questa mia piccola nicchia immobile. La presenza di chiunque ora sarebbe troppo difficile da sopportare. Mi sento una merda a pensare così anche di Russell.
Sono così stanca...

Spalanco gli occhi.
Il mio telefono sta suonando ma non so dove sia. Non so che ore siano e a malapena ricordo che giorno è. Sabato mattina? Beh non proprio; guardando il vecchio e ingombrante orologio di legno attraccato alla parete vedo che è quasi mezzogiorno.
"Porca troia..."
Oggi ho il turno del pranzo al diner. E il telefono che continua a suonare quasi ininterrottamente deve avere a che fare con questo.
L'impulso di mandare a fanculo tutto e di tornare a dormire è così forte e trascinante che gli occhi quasi mi si richiudono nonostante la forte luce in soggiorno. Mi sarei addormentata ancora se il telefono non avesse ricominciato a suonare dopo neanche un minuto e mezzo di silenzio. Mi sento come in un dopo sbornia, nonostante abbia buttato fuori tutto l'alcol. Trovo il telefono sul tavolo della cucina con dieci chiamate perse, tutte di Andrea. Molto bene.
Sto per richiamarla suona ancora: "Margaret sei viva allora"
Non saprei dire se il suo tono sia ironico, incazzato o preoccupato. Cerco di fare mente locale; alla fine le o detto o no dell'uscita con Jacob? Jacob...
Mi sento barcollare, travolta dal suo improvviso ricordo che mi è calato addosso come una valanga. Mi devo aggrappare al tavolo per non cadere.
Quando a fatica riavvicino il telefono all'orecchio, Andrea sta parlando in maniera agitata: "....successo? Maggie sei ancora lì?"
"Sì scusa... Mi era caduto il telefono" mento debolmente. Non posso andare al lavoro, non ne ho la forza fisica e mentale. Devo inventarmi qualcosa subito ma anche questo mi richiede uno sforzo sovraumano: "Io... Non sto molto bene. Mi sono svegliata con la febbre"
"Si chiama dopo sbornia Maggie!" ribatte lei sghignazzando.
Allora lo sa.
"Sì, no... Non sono nelle condizioni di venire. Mi dispiace tirare pacco così e lasciarti da sola" sto sudando freddo.
"Vabbè dai, ti copro io col vecchio bastardo. Basta che poi mi racconti tutto eh!"
Non posso più sopportare la sua voce stridula: "Grazie Andrea ciao"
Riattacco ancor prima che mi saluti.
Sto tremando così forte che mi devo sedere. Inizio a respirare profondamente cercando di calmarmi.
"Non è successo niente non è successo niente..." me lo ripeto ancora e ancora e ancora finché il mio cuore rallenta i battiti.
"Stai bene, non è successo niente..."
So che non è vero, ma per il momento ci credo.

Verso sera mi arriva un messaggio di Andrea in cui mi dice che domani devo andare su per la colazione, visto che oggi ho saltato il pranzo. Non lo visualizzo nemmeno. Così come non ho aperto tutti gli altri messaggi che mi sono arrivati.

Living DangerousDove le storie prendono vita. Scoprilo ora