-XII-

1.4K 23 3
                                    

Quando ci siamo sollevati ho iniziato a singhiozzare senza motivo. Non mi sentivo triste né altro, anzi. Ma le lacrime hanno iniziato a scorrere senza quasi che me ne accorgessi. Russell non ha detto niente, mi ha solo stretta tra le braccia finché non mi sono calmata. Siamo rimasti lì sul divano disastrato, abbracciati, sudati e nudi come vermi per un quarto d'ora.

La prima volta che è successo è stata la prima volta che Russ mi ha quasi fatto svenire senza rendersene conto; spesso mi aveva stretto il collo e io l'avevo sempre lasciato fare, ma quella volta aveva stretto così forte che quando sono venuta è stato sconvolgente. Talmente sconvolgente che dopo sono scoppiata a piangere. Ci ho messo un bel po' a fargli capire che non era colpa sua, anzi che il merito era suo, ma che non era un pianto di dolore o tristezza. Non sapevo neanch'io cosa fosse, sentivo solo di stare meglio, che tutta l'eccitazione accumulata e poi rilasciata con l'orgasmo era stata così travolgente che il mio corpo e la mia mente avevano reagito in quel modo. Russ si è preoccupato così tanto che a ricordarlo ora fa sorridere, ha detto che l'aveva fatto senza pensarci e che non l'avrebbe mai più rifatto. Io invece l'ho implorato di farlo ancora, non sempre magari, solo qualche volta, quando sarebbe stato il momento giusto. Ormai si è abituato a questo mio pianto liberatorio. Semplicemente mi abbraccia e aspetta che mi passi. Con queste lacrime è come se lasciassi andare tutto, non solo la tensione del momento ma tutta la tensione della giornata, della settimana, del mese. Alcuni vanno in terapia, io mi faccio strangolare. Che ci posso fare.

"Dobbiamo smetterla di scopare sul divano" dice mentre mi insapona la schiena. Mi viene da ridere ma lui non ride.
"Ogni volta è un macello" continua massaggiandomi le spalle, "almeno con il letto cambi le lenzuola e via. È più semplice"
Sembra dannatamente serio ma io lo trovo comunque esilarante.
"Cosa ridi?" mi dà un buffetto sulla nuca bagnata. Io mi volto sguazzando e gli schizzo l'acqua in faccia sghignazzando.
"Maggie allaghi il bagno così!" tenta di usare un tono austero ma non può trattenersi dal ridere.
Appoggio la schiena dall'altra parte della minuscola vasca; le mie gambe ci stanno a malapena, Russell deve tenere le sue piegate. Questa vasca è chiaramente troppo piccola per tutti e due ma sono più le volte che la usiamo insieme che separatamente. Se è da solo di solito lui preferisce farsi una doccia veloce.
"Senti, perché secondo te facciamo così?" gli domando di punto in bianco.
"Così come? Che intendi?" mi chiede senza malizia, passandosi il sapone sulle braccia.
Faccio vagare lo sguardo, raccolgo una nuvola di schiuma e la soffio via. Un po' mi vergogno, lo ammetto. È stupido ma è così.
"Nel senso... Voglio dire, non ti sembra un po' strano il modo in cui facciamo sesso?" mi sento come una ragazzina idiota. Sono ben consapevole di cosa sia il BDSM, insomma non proprio, però so che esiste. Ma non mi è mai interessato approfondire.
"Perché? Non ti piace?"
Non capisco se faccia apposta o se davvero non afferri il mio punto.
"Ma che, scherzi?" gli domando incredula. Lui mi sorride in quel suo modo sornione e capisco che vuole provocarmi. Forse.
"No" continuo, "non è quello. È che... Non so, ti sembra normale strangolare la persona che stai scopando?" mi sento il volto caldo. Probabilmente sono arrossita. È così bizzarro, mi lascio fare delle cose che la gente nemmeno si sogna e in questo momento siamo nudi nella stessa vasca, eppure mi sento in imbarazzo a parlarne.
Lui sembra pensarci davvero prima di dire: "Il punto è: ti piace?"
Ma che vuol dire?! Non è una vera risposta. E questo mi fa innervosire un po'.
"Se ti piace fare qualcosa, per quanto strana, e non fai male a nessuno... È così importante sapere se sia normale o no? Che cosa vuol dire poi normale?" sembra quasi disgustato nel pronunciare quell'ultima parola.
Per qualche ragione non ho mai visto la cosa da quel punto di vista, non che in effetti mi abbia mai interessato veramente. Suppongo di aver sempre vissuto il concetto senza mai afferrarlo davvero, dopotutto durante la nostra prima volta Russell mi ha ammanettata. E quella sera poi sono stata tormentata dai sensi di colpa ma non dalla vergogna dettata dalla stranezza. Rabbrividisco pensandoci. E pensando a quanto mi manchino le sue manette. E la sua divisa.
"Hai ragione, Russ. Hai davvero ragione"

Dopo aver sfoderato il divano, non senza una certa fatica, e buttato tutto a lavare tra i borbottii di Russell e le mie risatine, ordiniamo due pizze d'asporto perché nessuno dei due ha la minima voglia di mettersi ai fornelli. I bicchieri di qualche ora fa sono ancora sul tavolino dove li abbiamo lasciati; li risciacquo e li rimetto sul tavolo. Prendo due birre fredde dal frigo, le stappo e appoggio anche quelle sul tavolo. Mi accascio poi sulla sedia appoggiando la testa sulle braccia, stanchissima. Guardo Russell mentre si rolla una sigaretta, mischiando al tabacco un po' di erba, rimanendo di stucco come sempre davanti alla sua abilità. Osservo le sue grandi mani lavorare veloci e delicate: arrotola il filtro con un pezzo staccato dal vecchio biglietto dell'autobus che sta sempre sul tavolo proprio per quel motivo, biglietto ormai quasi del tutto consumato, e se lo mette tra le labbra. Stende il preparato nella cartina in una sottile linea marrone e verde, appoggia al filtro ad un'estremità, arrotola, lecca il bordo, arrotola ancora e voilà. Un ex poliziotto si è rollato una canna in meno di un minuto. Ha iniziato a usare la cannabis dopo l'incidente, su consiglio del medico. E poi ha continuato anche dopo che le ricette sono scadute, soprattutto alla sera.
"Non capirò mai come fai a prepararle così in fretta" gli dico mentre se la accende tossendo in po'.
"Un dono di natura" dice con voce strozzata, trattenendo il fumo nel polmoni. Poi me la passa con un sorriso storto; non sono una che fuma, tantomeno marijuana, ma con Russell sì. Ogni tanto mi piace prendere un po' della sua medicina. È l'unico con cui abbia mai fumato erba, l'unico di cui mi fidi abbastanza per farlo senza poi andare in paranoia. Ma quanto cazzo brucia ogni volta! Bevo un sorso di birra per rinfrescare la mia povera gola che stasera è destinata a soffrire. Mi bastano pochi tiri per sentirmi la testa leggera e lo stomaco in fiamme, il resto lo lascio tutto a lui.
"Vai tu ad aspettare di sotto" biascico, "io non riesco manco ad alzare la testa ora"
"Prima o poi dovranno far sistemare quel maledetto campanello" dice lui ma non c'è traccia di nervosismo nella sua voce, il suo tono è piatto e monotòno.
"Noi saremo già lontani per allora" la frase mi esce senza che me ne renda conto, come se un pensiero di passaggio avesse preso vita e sviluppato una volontà propria.
"Che vuoi dire?" i suoi occhi sono socchiusi e lucidi.
"Non lo so" non lo so davvero.
"Vorrei mollare tutto anch'io e andarmene lontano" mormora come se in realtà avesse capito i miei pensieri meglio di me. Probabilmente è così.
"E dove andremmo?" ormai nel mio cervello annebbiato si tratta di una certezza, come se dovessimo partire domani.
"Non so" dice facendo l'ultimo tiro e spegnendo la sigaretta nel posacenere improvvisato. Un bicchiere con dell'acqua dentro.
"A ovest, verso l'Oceano Pacifico" aggiunge sbuffando fuori una nuvola bianca. Per qualche ragione, quell'affermazione sembra averlo intristito. Mi chiedo cosa gli passi per la testa in questo momento... Ma capisco a malapena cosa stia passando per la mia.
"Mi piacerebbe vedere il Pacifico" dico incespicando un po' sulle parole, "tu l'hai mai visto?"
Si volta verso di me e mi guarda. I suoi occhi però sembrano trapassarmi, alla ricerca di un ricordo lontano.
La sua voce è roca e ruvida per il fumo: "Sì, una volta da bambino. Almeno credo"

Living DangerousDove le storie prendono vita. Scoprilo ora