-VIII-

1.7K 28 2
                                    

"Allora ci vediamo venerdì davanti all'entrata del campus...per le otto e mezza?" mi dice.
"Va bene" rispondo poco convinta.
"È meglio se ci scambiamo i numeri nel caso in cui..." viene interrotto dallo squillo del mio telefono. È Russell.
"Scusa ma devo proprio rispondere"
Lo ringrazio mentalmente per avermi salvata da quella situazione senza nemmeno saperlo: "Sì?"
"Ciao piccola, come stai? Hai finito al lavoro?"
È come una boccata d'aria fresca in una soffocante giornata estiva. Ma Jacob mi sta ancora guardando come se stesse aspettando qualcosa: "Ciao Russ, sì sono appena uscita" dico fulminandolo con lo sguardo. Non capisco perché non se ne vada invece di stare lì a fissarmi. Magari sta cercando di capire con chi sto parlando: "Aspetta un attimo, Russ"
Mi rivolgo a Jacob coprendo il telefono con la mano: "Ciao, ci vediamo allora" non aspetto che mi risponda e mi incammino lungo la strada senza sapere bene dove andare.
"Eccomi. Sei libero per pranzare insieme?"
Mi guardo alle spalle cercando di dare poco nell'occhio. Non so perché ma mi aspettavo di trovarlo ancora fermo là impalato o addirittura dietro di me. E invece Jacob si è incamminato dall'altra parte.
"Certo. Il tempo di darmi una pulita e passo a prenderti" capisco a malapena cosa dice per via del baccano dell'officina in sottofondo.
"Ma no, vengo io lì da te. Sono già per strada" dico ad alta voce.
"Ok ma non" allontano di colpo il telefono dall'orecchio, assordata dal rumore acuto di non so quale maledetto macchinario.
"...va bene? Devo andare adesso"
"No aspetta, cosa...!?" ma lui riattacca.
Chissà che stava per dirmi prima che mi scoppiasse un timpano.

Quando arrivo davanti all'officina, di Russell non c'è neanche l'ombra.
Una gigantesca insegna metallica gialla e rossa sormonta quasi per intero la facciata dov'è situata l'entrata per le macchine: Big Joe's. È il nome del posto. Uno stanzone immenso che può ospitare fino a sette macchine allo stesso tempo, brulicante di uomini (e pure un paio di donne) in occhiali e tute da lavoro perennemente sporche di grasso nero. Sul retro c'è perfino uno sfasciacarrozze, e file di macchine distrutte impilate l'una sull'altra a comporre alte colonne di rottami e lamiere contorte.
Rimango ad aspettare sull'altro lato della strada, lontana dal frenetico andirivieni. Aspetto. E aspetto. Aspetto dieci minuti. Poi quindici. Decido quindi di andare a chiamare Russell, sicura che sia rimasto bloccato a chiacchierare con qualcuno dei ragazzi. Ne abbiamo parlato un paio di volte, a lui sembra piacere davvero questo posto. I motori sono sempre stati una sua passione. Purtroppo con la vista che si ritrova non può svolgere tutti i lavori che vorrebbe, ma il capo, il "big Joe" dell'insegna, è un tipo stranamente comprensivo. O forse, con la marea di clienti che si ritrova, un aiuto in più non può che andargli bene.
Questa è la prima volta che ci metto piede; do un'occhiata veloce all'interno del garage ma non mi pare di vedere Russell in mezzo a quella squadra di gente vestita tutta uguale. Allora entro dall'entrata riservata alle persone e mi ritrovo in una specie reception improvvisata, ricavata da un angolino del garage tramite sottili pannelli semi trasparenti. C'è qualche poltrona sudicia e il bancone. Dietro al bancone c'è un tizio sulla settantina che immagino essere Joe. Sta sfogliando una rivista di auto e non sembra essersi accorto della mia presenza.
"Buongiorno" richiamo la sua attenzione a voce alta per coprire il rumore che viene da al di là dei pannelli.
Il vecchio sembra aver preso uno spavento. Cerca di darsi un contegno: "Buongiorno signorina, scusi ma non l'avevo sentita. Sa, sono un po' sordo" chiude la rivista e la mette da parte, "come la posso aiutare? È qui per ritirare la macchina?"
"Uhm..." mi chiedo se non stia mettendo Russ nei guai, "veramente sto cercando Russell. Reed. Io sono..."
"Ah! Ma tu devi essere Margaret!" esclama cogliendomi totalmente alla sprovvista.
"Sì" sorriso un po' imbarazzata, "lo stavo aspettando qua fuori per la pausa pranzo ma non si è ancora visto"
"Ora te lo mando a chiamare subito"
Scorrendo con la sedia sedia si avvicina alla porta aperta alle sue spalle che dà direttamente sul garage: "Frank! Frank!!" sbraita sporgendosi. Frank arriva correndo, un ragazzino che avrà sì e no sedici anni. L'apprendista sfruttato da tutti probabilmente.
"Ehi Frank vai a cercare Reed e digli che c'è sua figlia lo sta aspetta in centrata"
Cos..?
Strabuzzo gli occhi e mi sento la faccia andare a fuoco.
Prima che il vecchio si volti di nuovo dalla mia parte, mi costringo ad assumere un espressione neutrale nonostante il colpo.
"Mi scusi..." biascico, la gola improvvisamente di sabbia, "come fa a sapere...? Chi le ha detto?"
Quello mi guarda confuso: "Che cosa?"
Oh per dio, non farmelo ripetere vecchio rincoglionito!
"Che sono...la figlia di Russell" riesco a dire in un tono talmente casuale da stupirmi da sola.
"Oh...beh è stato lui ovviamente, è chi sennò?" risponde semplicemente.
"Ma certo. Ovvio" sorrido un po' istericamente. Deve essere davvero rincoglionito per non accorgersi del mio immenso imbarazzo. Ho l'intenzione di uscire e aspettare fuori per evitare una situazione ancora peggiore, ma non faccio in tempo perché Russell è già arrivato. Il ragazzino deve averlo intercettato a metà strada.
"Hey Maggie"
Agli occhi di Joe, agli occhi di chiunque, deve sembrare tutto perfettamente normale. Ma niente è normale. Riesco a percepire l'ansia palpitare in Russell anche da qua, a qualche metro di distanza. Quasi sento i suoi muscoli in tensione stridere l'uno sull'altro in una reazione combatti o fuggi.
"Ci vediamo più tardi boss" dice lui con un tono pacato ma che alle mie orecchie tradisce tutta la fretta di andarsene. Fa il giro del bancone senza staccarmi gli occhi di dosso.
"Sì, a dopo" risponde distrattamente Joe che nel frattempo è tornato alla sua rivista.
Per una frazione di secondo mi balena in mente un pensiero così folle da farmi trattenere il fiato.

"Maggie lascia che ti spieghi" balbetta lui una volta raggiunto l'altro lato della strada.
"Sai cosa mi era saltato in mente, proprio due secondi fa" lo interrompo ignorandolo, "di prenderti e baciarti davanti al vecchio. Gli sarebbe venuto un infarto" dico in un soffio.
Mi sento allucinata.
Russell mi guarda, i suoi occhi sembrano terrorizzati. Ma poi si fanno diabolici.
Non ci siamo allontanati troppo dall'officina ma la sua mano scorre dal mio fianco verso il basso. Mi dà una strizzata al culo.
Gli do una spinta allontanandolo: "Ma sei fuori?!"
Mi volto a guardare nella direzione del garage. Non c'è nessuno, sono tutti all'interno per fortuna. Sta solo entrando una persona dalla porta della reception.
Tiro un sospiro di sollievo.
"Non era quello che volevi?" mi chiede in tono provocatorio riavvolgendomi il fianco con il braccio.
"Stavo solo scherzando"
Il cuore ha preso a battermi forte nel petto: "Si può sapere dove hai parcheggiato?" dico nel tentativo di distrarlo.
"Qua dietro l'angolo" sembra essersi calmato, ma non ci giurerei troppo.
Appena entro in macchina mi sento già più al sicuro. Evidentemente anche per Russell è così perché si allunga per baciarmi il collo, pizzicandomi leggermente con la barbetta incolta.
"Dai! Mi fai il solletico" ridacchio spingendolo via. Anche se a dire la verità vorrei tutt'altro.
Ma lui torna composto e accende la macchina: "Avresti dovuto vedere la tua faccia là dentro" mi canzona.
"Ah la mia faccia? La tua no vero?"
Si immette nella carreggiata: "Ti avevo detto di non entrare, al telefono" dice.
"Ah ecco cos'era. Non si sentiva un cazzo, Russ. Tu non te ne accorgi ma ti giuro che quando chiami dall'officina non si sente mai niente"
"Beh io te l'avevo detto proprio per evitare quello che è successo"
Sospiro: "Ma perché gli hai detto così a quelli?"
"Per semplicità"
Non capisco: "Cosa vuol dire?"
Si ferma al semaforo mettendo la freccia a sinistra e capisco che siamo diretti al KFC: "Che avrei dovuto dire? Sono venuto qui con la mia ragazza di quasi trent'anni più giovane di me? Ah ed è la figlia del mio ex migliore amico che per questo mi odia a morte" il suo tono suona quasi divertito.
"Beh se la metti così..." in effetti sarebbe stato a dir poco complicato da spiegare. "Non potevi semplicemente non dir niente?"
"Mi hanno domandato, cosa dovevo fare? Fingere di essere sordo oltre che mezzo cieco?" sghignazza.
"E che hai detto di quella?" gli chiedo, riferendomi alla cicatrice sul suo volto. Tutte le volte in cui mi rendo effettivamente conto della sua presenza, devo dire che mi sento un po' strana, non tanto perché mi faccia impressione, ma perché è un vero miracolo chirurgico. E poi mi ricorda sempre che Russell è stato miracolato in generale.
"Una rissa da bar"
Scatta il verde e svoltiamo a sinistra.
"Dici sul serio?" dico ridendo, immaginando la faccia di chi ha ascoltato la storia, "ti sei fatto una fama allora" lo prendo in giro.
Lui sorride sardonico senza rispondere.

Mentre mangiamo tranquilli, non riesco a togliermi dalla testa quel maledetto pensiero perverso. E al di là della quiete del momento, so che anche in Russell sta ribollendo la stessa malsana idea.

Living DangerousDove le storie prendono vita. Scoprilo ora