Capitolo 19. Avada Kedavra

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Theodore Nott pensava di potersi finalmente godere quella nuova e insperata pace che, come un timido raggio di sole dopo un lunghissimo temporale, aveva riscaldato le sue giornate. Forse Astoria non sarebbe mai stata sua moglie, e magari con Daphne era finita prima ancora di cominciare, ma almeno era riuscito a riconquistare un equilibrio tutto sommato stabile grazie all’amicizia di Draco.

«Senti, stavo pensando…»

Un equilibrio che, a quanto pareva, non era destinato a durare.

«dato che Astoria è così innamorata di me, potrei anche farla felice, no?»

La bestia che riposava quietamente in fondo allo stomaco di Theo si risvegliò con un ruggito di rabbia talmente potente da far tremare le pareti dell’organo in cui dormiva fino a poco tempo prima.

«E a te non è mai importato di Astoria» sibilò con tono caustico il ragazzo, scoccando un’occhiata minacciosa e ostile a Draco che, contrariamente all’amico, continuava a ostentare la massima calma.

«No, certo che no. Ma è solo sesso» replicò con tono indifferente, ignaro del fastidio dell’altro e noncurante del suo tono o della sua espressione furiosa.

Theo lo fissò a lungo, gli occhi stretti a una punta di spillo luminosa nella semi-oscurità del dormitorio. La bacchetta stretta nel pugno, cercava di combattere tra il desiderio di ucciderlo, facendogli quanto più male possibile, e il bisogno che aveva di pace e amicizia.

Se solo Draco avesse ricordato. Se solo Astoria non gli avesse mai dato quella pozione, la sua vita sarebbe stata bellissima, assolutamente perfetta, e la sua pace, conquistata con fatica e ardore, molto più dolce.

Astoria era sempre stata la causa di tutti i suoi mali, di tutti i suoi problemi, di tutti i suoi dolori. Ed ora, era anche l’unica persona in grado di restituirgli la felicità, perché la sola a conoscenza dell’antidoto.

La presa sulla bacchetta si sciolse all’improvviso, prima ancora che Theo desse alle sue dita il comando, e lui, colto da un’improvvisa fulminazione, spalancò gli occhi, dandosi dello stupido per non aver pensato prima a quella soluzione, la più semplice, così ovvia che era sfuggita a tutti.

Se Draco voleva Astoria, Draco l’avrebbe avuta.

***

Ginny si torceva nervosamente le mani, tremando a causa del vento freddo che soffiava sugli spalti del campo di Quidditch. O forse, il gelo che provava era molto più profondo, insito nelle ossa e ancora più dentro il cuore.

«Non vieni a cambiarti?» La voce di Armànd era esitante almeno quanto la sua espressione. Il Capitano la guardava dal basso, in piedi sull’ultimo gradino, lo sguardo incerto e le labbra arcuate in un sorriso sghembo ma insicuro.

Ginny alzò lo sguardo su di lui e lo fissò con occhi mortificati. Le sue mani si rilassarono appena ma il suo corpo rimase teso e nervoso, come un giunco flessuoso in balia di un vento inclemente. Si tirò su lentamente, ma con la sicurezza e la decisione nel cuore, e si avvicinò al ragazzo con un lieve sorriso sul volto.

«Armànd, devo parlarti» disse una volta giunta di fronte a lui, dopo aver emesso un profondo respiro. Nonostante il suo cuore tremasse, la sua voce era ferma e la sua espressione risoluta.

Il Capitano sospirò, ma il sorriso non scemò dal suo volto.

«Non è necessario» replicò, scuotendo lievemente il capo.

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