Capitolo 14. Il ritorno di Draco

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Il freddo dell’inverno era stato parzialmente stemperato dai timidi raggi di un sole che era riuscito a perforare le nubi che, ultimi stralci del gelo e delle tempeste, ancora oscuravano il cielo. Quella notte, perciò, l’aria era fresca, ma piacevolmente profumata. Questo, però, non impediva a Hermione di sentire freddo dentro.

Freddo, perché Draco non la stringeva tra le braccia. Freddo, perché forse Draco non l’avrebbe stretta mai più tra le braccia. Freddo, perché aveva paura. Perché non sapeva quali sarebbero stati gli effetti e le conseguenze del suo gesto, a livello personale e a livello mondiale. Si sentiva colpevole, sciocca, egoista, confusa. Aveva dentro un caleidoscopio di sensazioni ed emozioni tanto potenti da non riuscire più a controllarne nemmeno una. Si accavallavano, esplodevano, ritornavano indietro, vagavano per il suo corpo avvelenando ogni organo, corrodendo ogni sensazione che non fosse quella, angosciante e annichilente, della fine.

Il litigio con Harry era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Nemmeno lei sapeva il motivo per cui aveva agito in quel modo. Perché gli aveva urlato contro? Perché se si stava parlando del Mondo Magico, lei aveva fatto in modo di riportare il discorso su di sé, impastando le parole, manipolando il discorso?

Perché sapeva che aveva ragione. E perché era diventata come Draco, aveva imparato ad essere egoista, manipolatrice, un po’ meschina.

Perdere Harry in quel momento era l’ultima cosa che voleva, l’ultima che le serviva, ma non poteva fare a meno di pensare che le sue azioni le erano costate quell’amicizia tanto preziosa che per anni era stata il suo punto fermo.

Le lacrime le scorrevano sulle guance senza che lei facesse nulla per fermarle. Riparata dalle fronde di una quercia che non era abituata a vederla sola, Hermione lasciava che i suoi singhiozzi si mischiassero agli scricchiolii sinistri provenienti dalla Foresta Proibita e ai bubbolii dei gufi che, di tanto in tanto, attraversano il cielo come proiettili.

Un fruscio più forte dei precedenti la fece sussultare, quando ormai la sua testa era così piena di pensieri o preoccupazioni che lei pensava che sarebbe scoppiata.

Harry le si sedette accanto, senza guardarla e senza parlare. Rimase immobile e zitto per molti minuti, e lo stesso fece Hermione, che però cercava, adesso, di trattenere le lacrime e i singhiozzi.

«Non avevo considerato la cosa dal tuo punto di vista» esordì Harry con tono basso, la voce un sussurro caldo e sottile. «Hai ragione tu, Hermione: se io rischiassi di perdere Ginny… farei pazzie, per lei, qualsiasi cosa» Un lieve sorriso gli arcuò le labbra «Forse è per questo che ho reagito tanto male quando mi hai detto che era tutto una finzione. Voldemort mi ha portato via tante, troppe cose, fin da quando non ero che un neonato» Fece una pausa, durante la quale respirò a pieni polmoni l’aria della notte. «Il pensiero che potesse essere tornato, dopo tutto il male che ha fatto, dopo quello che ha sempre significato per me la sua presenza in questo mondo… mi ha fatto impazzire» ammise, chinando il capo come se quell’affermazione fosse una resa, un segno di debolezza imperdonabile.

Hermione, che fino a quel momento era rimasta immobile, con lo sguardo fisso davanti a sé, si voltò verso l’amico e lo guardò con espressione incerta, la fronte corrugata in un’espressione mesta.

«Mi dispiace, Harry. Dico davvero, mi dispiace tanto» disse, e poi poggiò la testa ricciuta sulla sua spalla, e scoppiò a piangere, perché non sapeva che altro fare. Harry sorrise, e le cinse la vita, stringendola a sé con dolcezza, un po’ impacciato.

«Lo so» rispose piano, dandole delle piccole e brevi carezze sul braccio.

«È qui che mi vedo con lui, di solito» sussurrò pianissimo Hermione dopo qualche minuto di silenzio. La sua voce era roca, spezzata dal pianto e irrigata dalle lacrime, tanto sottile e bassa che era quasi impossibile udirla.

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