Epilogo

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Quattro mesi dopo

Era una luminosa e allegra giornata estiva di metà luglio, quieta come il mare che luccicava a moltissimi chilometri di distanza e serena come il cielo azzurro che si intravvedeva dalle alte e ampie finestre dell’atrio del Ministero, abilmente incantate per dare l’illusione che quel luogo si elevasse davvero al di sopra della terra, piuttosto che parecchi metri sotto. C’era un delicato e brioso via vai persino a quell’ora, nonostante fosse mattina inoltrata, e un delicato vociare, fragrante e gioioso, riempiva l’aria del luogo.

Theodore camminava tra la folla con aria annoiata, le mani in tasca e l’andatura ciondolante. Nonostante l’espressione denunciasse una certa calma, dentro di lui stava infuriando una tempesta. Le nuove norme del Ministero, infatti, imponevano che chiunque volesse fare visita a un detenuto di Azkaban dovesse ottenere un regolare permesso scritto, controfirmato dal Ministro della Magia in persona, all’Ufficio Applicazione della legge Magica. Per qualche assurda ragione, però, l’iter legislativo era più lungo di quanto pensasse e, nonostante lui attendesse da due mesi quel famoso permesso, questo tardava a giungere.

Emise un leggero sbuffo mentre passava davanti la nuova fontana, ricostruita poco dopo la sconfitta del Signore Oscuro. Il suo sguardo si posò casualmente sulla folla, e lui fu sorpreso di incontrare sulla sua traiettoria un viso noto. O meglio, due.

A pochi metri da lui, la chioma dorata baciata dai raggi del sole e il viso di porcellana spruzzato da un lieve, delizioso rossore, Daphne Greengrass stava parlando con Harry Potter.

Theodore si fermò all’improvviso al centro dell’atrio, incuriosito, ma prima che avesse il tempo di domandarsi cosa quei due avessero da dirsi, il Ragazzo Sopravvissuto si era allontanato e l’ex Serpeverde si era girata e aveva incrociato accidentalmente il suo sguardo. A quel punto sarebbe stato inutile ignorarla o far finta di non averla vista, e comunque il giovane era certo che lei non avrebbe gradito, perciò le si avvicinò con un’espressione neutra sul volto.

«Greengrass» Un cenno del capo educato e distaccato, che lei ricambiò con altrettanto slancio.

«Nott» Daphne incrociò le braccia sul petto e posò gli occhi chiari e penetranti su di lui.

«Che ci fai qui?» Lo sguardo del giovane saettò per un istante su Harry Potter, che si era fermato a parlare con un ometto basso e tarchiato a pochi metri da loro.

«Potrei farti la stessa domanda» replicò la ragazza con tono annoiato. Theo sospirò e fece spallucce.

«Non è difficile da intuire» ammise con voce asciutta e stranamente atterrita. Lei sembrò addolcirsi a quell’affermazione: il nodo delle sue braccia, eretto poco prima come un muro di difesa, si sciolse, e lei lasciò ricadere le mani ben curate lungo gli esili fianchi, guardandolo negli occhi senza più armature.

«E così alla fine, ad Azkaban, ci è finito davvero» considerò con un tono stranamente partecipe. Nonostante tutto, Draco era stato per anni un suo compagno di scuola, e benché non avesse mai avuto con lui rapporti troppo stretti, l’idea che uno di loro – compagno di scuola, ragazzo della stessa età, Serpeverde (e in quanto tale colpevole per il resto del mondo) – potesse concludere la sua vita in una prigione le dispiaceva.

Sul volto di Theodore comparve un sorriso sghembo e storto.

«Dovevamo finirci tutti» affermò con una risata amara.

«Non lui. Non lo meritava» Daphne scosse il capo biondo e chinò la testa, distogliendo lo sguardo dal volto del ragazzo, che sospirò. Non era del tutto d’accordo con quell’affermazione, perché Draco aveva le sue colpe; ma erano le stesse che portava anche lui sulle spalle, per cui non poteva nemmeno dirsi contrario.

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