Goodbye [angst]

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Ciao, io sono... a chi importa chi sono, quando tra pochi giorni non ci sarò più.
Ho iniziato questo diario non perché mi è stato regalato, non perché ho qualcosa di bello raccontare, ma perché voglio esprimermi su queste pagine prima di lasciare tutto.
Voglio lasciare tutto su dei pezzi di carta, a penna, a matita; come capita.
Ma non voglio che nessuno legga ciò, penso che sarebbe veramente cinico.
Sono sempre stato tranquillo nella mia vita, non sono mai risaltato più di tanto e non lo farò nemmeno prima di morire.
Voglio suicidarmi.
Voglio farlo da un bel po', in realtà.
Mi ha fermato l'assenza di coraggio, come succede la maggior parte delle volte. Non è che ho paura di suicidarmi, è che ho paura di fare soffrire gli altri.
Capito? Io posso farmi del male, ma non voglio che gli altri stiano male per me.
Non sono mai stato egoista, ma presto lo sarò.
Mentre do inizio a questo suicidio momentaneamente mentale, i miei occhi sono asciutti e il mio sguardo apatico guarda le lettere che si trascrivo sulla pagina – senza pensare, senza scegliere le parole – con tanta indifferenza, come se fosse una cosa qualunque.
Magari è una cosa qualunque.
Magari anche questo, di me, passerà inosservato.
Penso sia meglio così, ho sempre provato disgusto verso le persone che iniziano a tenere a uno solo quando muore, perché lo fanno tutti gli altri "buonisti".
E io credo sia proprio questa la causa del mio suicidio, la gente. La gente mi ha sempre disgustato, mi ha sempre fatto rabbia, mi ha sempre calpestato – o aveva tentato di farlo.
In questi ultimi tempi però ho deciso di calpestarmi da solo, visto che dalla mia parte ormai non c'era nessuno, visto che tutti quelli a cui volevo bene erano spariti, puff, andati.
Ero triste, ma non volevo ammetterlo a me stesso.
Parlo al passato, ma ciò che scrivo lo provo tutt'ora; forse lo faccio pensando di essere già morto e ciò mi dà conforto.
Mi guardo in giro... è tutto così normale. Troppo normale. Tutto noioso, come sempre; non vola nemmeno una mosca.
Di solito amo il silenzio, soprattutto per ascoltare la musica.
La musica è quella cosa che mi ha accompagnato fino ad ora e continuerà a farlo per sempre, probabilmente morirò con le cuffie nelle orecchie.
Non so dire perché aspetto ancora a fare quello che devo fare, in realtà non ho fretta di suicidarmi, è che spero ancora che qualcosa possa fare così tanto rumore nella mia vita da farmi risvegliare da questo stato di trance, che prevede solo la fine, che non è più lontana ormai.
Voglio suicidarmi dopodomani, perchè è il giorno in cui mi sveglio, vado fuori con il mio caffè e raggiungo a piedi uno dei posti più affascinanti che io abbia mai visto, circondato dalla natura.
Era una casa, una casa bruciata, nera quindi, e parte del tetto mancava pure. Ma fuori era la cosa più bella del mondo, forse.
Non avevo visto tanto del mondo, in ventitrè anni.
Ma di quel posto mi accontentavo.
Sarei morto lì, perciò.
In quel bel prato, dove avevo smesso di domandarmi perché fosse così vivo e bello fuori da una casa così morta.
Sospiro, lascio uscire l'aria dalla mia bocca e subito noto una nuvoletta. Fa freddo; in pieno inverno la mia casa è gelida, visto che manca il riscaldamento.
Non stavo così a terra con i soldi, visto che lavoravo e dovevo campare solo me stesso, ma appunto per questo non mi prendevo molto cura della mia casa, di me.
Non m'importava.
La mia vita era come un purgatorio. Aspettavo di morire in un luogo così noioso, brutto, spoglio, senza niente, una ragione per rimanere o una ragione per lasciare.
La mia vita era triste, soltanto.
È così brutto, ho iniziato il diario per parlare di una cosa precisa eppure dopo anni ancora non riesco a farlo. Sono patetico, o sono patetico a scrivere qui.
I miei occhi pizzicano, adesso.
Non avrei dovuto pensarci, ma avrei dovuto eccome, avrei dovuto farlo da tempo.
Questa sarà la cosa che mi spingerà a porre fine a tutto.
Chissà cosa c'è, se c'è qualcosa, dopo.
Una parte di me spera in qualcosa, l'altra vuole il vuoto totale.
È la sua mancanza, che proprio mi fa stare male, ed è la mia finta indifferenza, il mio mentire a me stesso dicendomi di aver superato la cosa, che mi rende apatico, mi spegne dentro, mi strappa gli unici sentimenti che posso provare ancora.
Lui se n'è andato, anche lui così giovane, come me, e come me lui era solo, ma lui non si accorgeva di avere me. Forse non dava troppa importanza alla cosa.
Forse era egoista, non come me.
Anzi, era egoista.
Scusami, non avevo intenzione di darti contro su queste stupide pagine.
Ho un groppo in gola, ma non ho intenzione di piangere.
Posso non essere egoista ma sono orgoglioso e determinato.
Non devo piangere, devo farlo per me stesso.
Se piango, è la fine.
Piangerò tra due giorni, piangerò fino alla fine.
Mi svuoterò, e lo farò una volta per tutte, mi sfogherò per la prima volta da quando è successo.
Prima e ultima pagina, ciao, da uno che non conoscerai mai.

Ero in quel luogo che avevo "descritto".
Seduto sul tronco di un albero caduto da chissà quanto, e muovevo i piedi nudi nell'erba.
Faceva freddo, freddissimo, ma a chi fregava?
A me no di certo, pensai, con un sorriso sarcastico.
Era terrificante pensare a come mi sarei ucciso, ma era un sollievo allo stesso tempo, perciò sembravo un ragazzo spensierato a cui piaceva la natura e forse un po' solo; eccome se mi piaceva la natura, eccome se ero solo.
Quel giorno l'avrei dedicato a lui.

Ehi, tu.
Lo sai, presto ti raggiungo, avrei voluto farlo tempo prima, ma tanto tu mi stai aspettando. Lo so.
Ti sei accorto della cazzata che hai fatto, e mi stai aspettando, sentendoti in colpa.
Come faccio a sentirmi in colpa anche io per te?
A sentirmi di averti rubato la vita? Di vivere al posto tuo?
Eppure non c'entravo niente, nella tua vita.
Vero, che non c'entravo niente?
Eppure c'entravo, e tu lo sapevi. Ma non aveva fatto differenza, tu non avevi fatto differenza.
Soffrivo perché ti amavo, ma sentivo dolore come se mi fossi ucciso io, come se con te avessi lacerato anche me.
Ed è stato proprio così, perché eravamo così uniti noi due e le nostre anime probabilmente si erano fuse, perché tanto a noi due importava solo di noi due.
Eppure a te non importava abbastanza da rimanere, io non ero nessuno per chiederti di stare con me e basta, non potevo bastarti. E sì, meritavi di più, era vero.
Però avrei solo voluto che tu rimanessi qui al mio fianco, e adesso posso sentirti solo tra il rumore del vento, che forse è la tua voce che mi vuole dire qualcosa.
Forse mi stai dicendo di non farlo, forse non lo vuoi perché non vuoi vedermi soffrire, forse non vuoi perché non vuoi sentirti in colpa un'altra volta.
Ma lo capisci che io mi sento in colpa a vivere, senza di te?
Non lo capisci, e non lo hai capito quando te ne sei andato.
Ho di nuovo quel groppo in gola, e dio è così fastidioso, ma mi sto trattenendo ancora. I miei occhi però presto mi tradiranno, sono lucidi e devo sbatterli più volte per vedere meglio.

Deglutii e un po' il male in gola se ne andò, ma giusto per qualche secondo.
Guardai in aria. Il vento mi tirava violenti schiaffi, e faceva così freddo, però guardavo in aria e cercavo di vedere qualcosa di diverso che non fossero le nuvole e quel colore limpido e monotono, che ormai odiavo soltanto.
Sembrava una giornata che traspirava felicità ed energia, e io mi sarei suicidato.
Scossi la testa, per non pensare a quello, e due foglie caddero dai miei capelli. Ne presi una e la guardai, dopo spostai lo sguardo in basso e feci uscire dalla manica della mia felpa un coltello.
Con quello mi sarei ucciso, e avrei provato molto dolore.
Forse perché volevo appurare di essere vivo, proprio andandomene.
Mi stesi tra le foglie, appoggiai la testa sul terreno – completamente verde di erba, umido, folto e bello – e guardai in alto di nuovo.
Mi vedevi?
Mi vedevi in quella situazione imbarazzante, angosciante?
Mi vedevi, sul punto di porre fine alla mia vita?
Potevi vedere quanto desideravo raggiungerti?
Lo desideravo follemente. Perché una parte di me credeva che forse dopo la morte non c'era un bel niente.
In quel momento le prime lacrime abbandonarono i miei occhi, e dopo di quelle non ci fu una fine. Non ci sarebbe stata finché non me ne sarei andato.
Io non avevo intenzione di fermarle.
Portai il coltello all'altezza del mio petto e lo guardai.
Mi faceva paura.
Mi faceva dannatamente paura.
Però avrei dovuto usarlo senza pensarci, e senza guardarlo soprattutto. Sperando di morire alla prima...
Lo portai al mio collo.
Lentamente feci scorrere la punta affilata sulla mia gola, fino al punto in cui avrei affondato la lama.
Sto arrivando. Lo senti il mio cuore come batte?
Ho paura di morire, è vero, ma ho più paura di non poterti vedere. Ho paura di morire e non poter fare più nulla, nemmeno pensarti.
E a quel punto avrei capito di aver sbagliato, che dovevo rimanere per poterti almeno pensare o per vedere le tue foto, ricordarmi di te, immaginarmi quei tuoi occhi.
I miei nel mentre erano inondati di lacrime, e non vedevo più niente. Solo bianco.
Ti amo.
Ti amo da morire.
E così me ne andai. Triste, ma felice di averti potuto amare, anche se per poco.

𝑭𝒓𝒆𝒓𝒂𝒓𝒅 | 𝘴𝘩𝘰𝘳𝘵 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘦𝘴Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora