Buco nero [angst]

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Rimase a guardare Frank addormentarsi, si era poi girato a pancia in giù mentre veniva inondato dai pensieri, che aveva lasciato volontariamente entrare nella sua mente. All'inizio aveva provato solo un pizzico di malinconia, teneva gli occhi chiusi e il viso incastrato in mezzo alle braccia. Ma dopo, insieme alla malinconia iniziò a mischiarsi l'angoscia, e quella era la parte peggiore. L'angoscia lo tormentava, e non sapeva quasi mai come respingerla, una volta preso possesso della situazione non se ne andava più. Raprì gli occhi, erano asciutti, sbattè le palpebre più volte per far andare via quella sensazione, secca.
Per gli altri quegli occhi potevano sembrare apatici, ma in realtà erano solo velati, la sofferenza che si portava dietro... lui non la mostrava mai. Lui sperava sempre di essere impassibile, e così risultava, e così a lui andava bene, più che bene.
Pensò a tutto.
Alla sua vita, dagli inizi, a tutto ciò che lo aveva fatto soffrire. Dalle botte che aveva preso a scuola, a come si era vendicato. Dalla cotta del liceo, a quando i suoi genitori gli comunicarono del suo trasferimento, lasciandogli poco più di due giorni per prepararsi psicologicamente. Ma lui non fu mai pronto, ne soffrì molto, come un qualsiasi adolescente che viene a sapere di dover lasciare amici e fidanzata da un momento all'altro.
Dalla separazione dei suoi genitori, al suo secondo trasferimento con la madre. Dalla morte della madre, al vivere da un amico perché, venne a sapere poco dopo, il padre si era trasferito in Italia. E per lui era praticamente irraggiungibile, non aveva i soldi nè la voglia di tornare da lui. Per cosa? Per cosa sarebbe dovuto tornare? Suo padre era uno stronzo, stava bene dove stava.
Dalla lettera di accettazione all'università, che tardò ad arrivare, e che, quando finalmente arrivò, fu completamente ignorata. Il suo amico lo aveva buttato fuori, non poteva camparlo lui, gli aveva detto. Si ritrovò da solo, con le mani in mano, le sue dita tremolanti che scorrevano tra i numeri in rubrica, poi scorse un nome: Lindsey.
La sua ex ragazza. Diamine, era messo così male, che altro poteva fare? La chiamò senza pensarci due volte, sapeva che se avrebbe aspettato, e rimuginato su, non avrebbe più fatto quella dannata chiamata.
Durò esattamente due minuti, lo scambio di saluti iniziali, quello della ragazza molto sorpreso, ma decise, per fortuna, di non inondarlo di domande, solo perché lo avrebbe fatto più tardi.
Si trasferì da lei, inutile dire che dopo non molte settimane si trovarono ad essere di nuovo l'uno legato all'altro.
Lei legata a lui quasi maniacalmente, lui legata a lei perché non aveva nessun altro.
E da lì, col passare degli anni, le cose cambiarono. Era lei ad aver perso tutto, ma Gerard aveva messo abbastanza soldi da parte con i lavori, e dopo aver finito l'università comprò una piccola casetta in paese dove abitare con lei. Le aveva chiesto di sposarlo, quasi come se sentisse di doverlo fare, ormai la presenza di lei era fondamentale per lui e non immaginava altri al suo posto, e pensava che quello significasse voler passare la vita al fianco di questa persona. Lei accettò subito, con le lacrime agli occhi.
Due anni dopo, lei rimase incinta. Sarebbe diventato padre, era a dir poco emozionato.
Sei anni dopo ancora capì di non aver capito proprio nulla.
Credeva di amare sua moglie, lo credeva davvero, fino a che la realtà non gli si schiantò in pieno viso. Sbattuta in faccia. Lei lo aveva usato per i suoi scopi, per crearsi qualcosa attorno, e lui, lui aveva capito di non amarla. Per lei provava solo quello che si prova per una migliore amica, solo che non aveva avuto nessuno accanto, così fraintese i suoi stessi sentimenti, però non gli importava più di tanto. Ma lei cambiò, era diventata piuttosto brusca, quasi fredda, i rapporti tra loro ormai erano cambiati.
La sua vita era badare alla figlia, aspettare il ritorno della moglie e poi dedicarsi al lavoro. Non aveva neanche più tempo per i suoi hobby.
Cadde in depressione, non se ne accorse agli inizi, e quando lo fece era troppo tardi. E, di nuovo, era venuto a conoscenza di qualcosa di troppo grande da sopportare, così, all'improvviso. Iniziò a chiudersi in se stesso, a starsene sempre nel suo studio, a mancare al lavoro, a lasciare tutto nelle mani di Lindsey.
E lei si stancò, doveva aspettarselo, ma non gli importava più di essere egoista, si disse che lo era stato fin troppo con se stesso.
Scosse la testa, spostò le braccia e premette il viso contro il cuscino. Gli venne quasi spontaneo, trattenne il respiro. Chiuse gli occhi, il naso anch'esso premuto contro il cuscino, in mente aveva solo un vortice di emozioni che lo stavano attanagliando. Mentre teneva gli occhi chiusi vedeva come un buco nero, come si può vedere un buco nero se è già tutto completamente buio? Non lo sapeva, lo stava vedendo e basta. E questo girava, girava e sentiva di starci cadendo proprio in mezzo. Lo stava risucchiando, portandolo a fondo con sè. Aveva un fondo? Non sapeva neanche questo, decise di non pensare nemmeno a quello che stava immaginando, anche perché il suo cuore iniziò a battere all'impazzata e prese a stringere la federa del cuscino con entrambe le mani mentre strizzava gli occhi, resistendo alla tentazione di riprendere fiato. Pochi secondi dopo, però, in preda alle fitte al petto, sentì di starsi abbandonando, e pensò che, no, forse non lo voleva, non era pronto. Cercò di riprendere a respirare ma all'inizio fu come pugnalarsi da solo, ciò non fece che provocargli solo altro dolore. Spalancò gli occhi, poi, tremante, emise un gemito soffocato e riuscì a prendere dei respiri, affannati, smorzati poi dalla sua mano che premeva contro la bocca. Cazzo.
Frank si girò quasi di scatto sentendo il suo lamento, mettendosi subito a sedere.
<<G-Gee, stai bene?>> chiese, cercando di scorgere il viso del ragazzo nel buio, e lo vide annuire. Si rilassò un po', passandosi una mano fra i capelli.
<<Cosa hai fatto?>>
<<Io... io->> la voce gli si spezzò e un singhiozzo uscì dalla sua gola, inevitabilmente.
<<Gerard>> ripetè il suo nome, in ansia, accendendo la lampada sul comodino, poi restò a guardarlo <<Gerard...>> lo abbracciò con delicatezza, quasi avesse paura di ferirlo in qualche modo, e gli accarezzò lentamente la schiena.
<<Frank>> rispose lui stringendo leggermente la sua felpa, cercando di controllare il tono della voce.
<<Va tutto bene>> si spostò di poco, soltanto per guardarlo meglio in viso <<Mh?>> passò un pollice sulla sua guancia. Gerard annuì, sospirando lentamente.
<<Scusami>>
Frank scosse la testa, mordendosi il labbro. Conosceva bene Gerard, sapeva che il suo passato non era rimasto al suo posto, che se lo era portato dietro. Capiva ciò che aveva provato a fare, anche se avrebbe preferito che non ci fosse il bisogno di farlo.
<<Rimani>> lo strinse più forte a sè <<Rimani con me>> ripetè trattenendo le lacrime solo per non farlo stare peggio. Doveva essere forte per lui.
Gerard invece, si lasciò andare a un pianto silenzioso, restando con il viso nascosto dalla sua spalla, e annuì.
<<Promettimelo, Gerard>>
<<Te lo.. prometto>> si strinse a lui chiudendo gli occhi, appoggiando totalmente la testa sulla sua spalla.
<<Ti renderò felice, questo lo prometto io>> gli sussurrò in un tono dolce all'orecchio prima di lasciarci un bacio, mentre gli accarezzava i capelli.

𝑭𝒓𝒆𝒓𝒂𝒓𝒅 | 𝘴𝘩𝘰𝘳𝘵 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘦𝘴Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora