—Dai amore, vieni, sono già le sette, è ora di mangiare, non vorrai mica farci aspettare? —
Disse Miriam.
—Arrivo, dammi cinque minuti e sono da voi...— Dissi io—
Erano le sette e cinque in punto ed in quel momento mi resi conto di essere veramente, veramente molto stanco in quel periodo. Eravamo al primo anno di università, non credevo che giunti a dicembre, fosse già cosi stancante ed estenuante tutto quello studio, ma sapevo di potercela fare, finire tutti e quattro gli anni successivi, dopotutto non sono uno stupido, sapevo quali sono le mie effettive capacità, era solo che non le sfruttavo mai.
Per essere solamente a Dicembre non era poi così caldo come tutti noi immaginavamo, o meglio, nel luogo nel quale ci trovavamo sarebbe dovuto essere decisamente più caldo, ma quell'inverno le cose non andarono cosi.
I miei decisero di regalarmi la villa nella quale ci trovavamo poche settimane prima, in vista delle future ed ormai attuali vacanze, soprattutto grazie al mio eccellente risultato conseguito agli esami di stato per il diploma. Non avevo capito però il motivo effettivo della scelta di quel luogo isolato letteralmente dal mondo.
Una villa su di una scogliera, ad una quarantina, forse anche ad una cinquanta metri sul mare, con il paese più vicino a circa mezz'ora di macchina qualora si percorresse la strada in auto a circa centoquaranta chilometri orari per quelle devastate strade in mezzo ai boschi, altrimenti ci sarebbero volute circa due ore per raggiungere il centro abitato.
La villa non era certo piccola, ma al contempo non era nemmeno un castello, anzi. Era una modesta villa rinascimentale a tutti gli effetti, edificata su tre piani di circa trecentosessanta metri quadrati ciascuno. Al piano terra c'erano il salotto e la cucina, davvero grandi per essere confinati in uno spazio cosi ristretto, mentre il secondo piano comprendeva un totale di sei camere, due dalle dimensioni gigantesche e due più piccole mentre in fondo al corridoio che separava le camere, una scala a chiocciola portava al terzo piano dove era situato l'attico, totalmente inutilizzato ma con un piano bar, qualche libreria antichissima alle pareti e un pavimento simile a quello presente nelle discoteche degli anni settanta. Mancava solamente la palla luminosa ed avremmo potuto fare una festa dalle proporzioni di un matrimonio reale in quella villetta. In fin dei conti la mia era un villa veramente grande, ma non come alcune altre ville che intravidi passando nelle strade per giungere qua e ripensandoci mi era parso di averne vista una, almeno cinque volte più grande di questa, ovviamente abbandonata ed in vendita, ma chi mai avrebbe comprato un tale colosso? Supposi nessuno, o meglio, nessuna persona comune, solo gente con tanti soldi da non avere minimamente questo pensiero da me avuto.
Dopo aver pensato a tutto questo mentre ero ancora davanti allo specchio del bagno in camera mia, mi sciacquai la faccia e decisi di scendere di sotto dagli altri.
Era sabato 23 Dicembre ed al piano inferiore c'era ancora un'immensità di valige da sistemare, dopotutto eravamo arrivati da circa otto ore e non avevamo avuto il tempo di disfarle, poiché eravamo troppo impegnati a visitare tutti quanti per la prima volta la casa. Miriam era ancora vestita con quel giubbotto pesante dal cappuccio imbottito di pelo, lo stesso giubbotto che le avevo regalato l'anno prima ma che avevo sempre odiato tanto. Non capii mai perché glielo regalai. Marco invece era seduto sul divano ad inviare messaggi con il suo cellulare con una delle sue molte ragazze extraconiugali mentre Sara gli era lì accanto che stava leggendo un libro come era solito fare nei momenti più calmi, e, come al solito, Miriam ancora ermeticamente sigillata nel suo orrendo giubbotto, era accanto a lei che la tartassava di domande sul libro.
Marco era all'incirca alto come me, sul metro e settanta, capelli corti dal colore nero pece e occhi verde petrolio, fisico abbastanza robusto, il classico aspetto con cui si immagina il classico ragazzo palestrato mordi e fuggi, all'apparenza un duro, circondato da ragazze in numero tale che non entrerebbero nemmeno in questa villa enorme, ma in fin dei conto è uno come tanti altri. Nel suo caso però la frase corretta è un'altra. "Dietro alla scorza da coglione si nasconde un tenerone".
Quanto a Sara, è una ragazza un po' strana. Si potrebbe definire leggermente asociale. Non siamo mai andati molto d'accordo tra di noi, al contrario lei e mio cugino tra sguardi fugaci e trascorsi velati in malo modo, sarebbero una coppia perfetta. È una ragazza non molto alta, sul metro e sessantacinque, capelli ricci dal colore biondo scuro e due occhi verdi nei quali come proferito da mio cugino, riesce a vederci un mondo intero, mentre io invece riesco a malapena ad intravederci riflessa la mia immagine quando incrocio lo sguardo con lei alcune rarissime volte. È strana, ed introversa, e se non si entra nelle sue grazie non si saprà mai nulla da lei, e difficilmente parlerà. Personalmente non ero per farla venire alla villa con noi, ma Miriam insistette ed infine eccola con noi. È anche vero che era l'attuale ragazza di Marco, e quindi portandosi lui, ci siam dovuti portare anche lei per non fare torto a nessuno.
Quanto a Miriam c'è poco da dire. Ai miei occhi è la ragazza più bella del mondo. È una sorta di piccola fata adorabile. Alta sul metro e mezzo, esile, capelli nero corvino, lunghi e ricci, e due occhi castano scuro intriganti e misteriosi. Il suo carattere è quello di una piccola chiwawa. Piccola, testarda quando si mette in testa un'idea, ma soprattutto decisa. Una parte che io adoro. Ma dietro a tutto questo si nasconde anche una parte conosciuta a pochi, ovvero sensibile e fragile, parte che non da molto spesso a vedere. È capitato raramente e solo in brutte situazioni, soprattutto con la morte di qualcuno: che sia amico o parente, va letteralmente in crisi.
—Fabio ti ce n'è voluto di tempo, noi abbiamo mangiato già, la cena è sul tavolo, non abbiamo voluto svegliarti, dopotutto hai guidato per otto ore di fila senza mai riposarti. — disse Miriam dolcemente
—Si dai muoviti che dobbiamo far partire la TV che stasera c'è un bel film— disse senza staccarsi dallo schermo del telefono Marco.
—Che film? Un'altra volta un horror no ti prego! — ribattei io annoiato.
—Ehm...si, però dai, questa sera sarà bello me lo sento, non sarà la solita cazzatella del sabato sera, dai mangia e aiutami a far partire la tv— continuò lui.
—Mh, d'accordo, ma che sia l'ultima volta che di sabato guardiamo un horror ok? —dissi infine.
—Vedremo fratello, vedremo. — Disse lui in tono di sfida.
Andai quindi in cucina. Sul tavolo c'era quello che credevo essere il mio pasto, consistente in qualcosa di non meglio identificato. Credetti che fosse carne di maiale cotta male, molto male, al punto che probabilmente il maiale doveva essere ancora vivo perché avrei giurato che quel pezzo di carne si fosso mosso da solo nel piatto. Miriam non era mai stata una grande cuoca, e avevo buoni motivi per supporre che quello l'avesse cucinato lei per me. Apprezzavo il pensiero fatto con amore nei miei confronti ma avevo sempre avuto paura quando cucinava lei.
Mi misi quindi a sedere a capotavola di quell'immenso tavolo, che occhio e croce era lungo sui quattro o cinque metri. Un tavolo veramente sconfinato. Mentre mangiavo sospettoso quel pezzo di maiale che credetti di aver sentito grugnire nella mia pancia, iniziai a pensare al prezzo che i miei avevano pagato per quell'immobile. Teoricamente era impossibile che avessero speso solo centocinquantamila euro per la villa. No, era assolutamente impossibile. Un appezzamento di terreno di circa cinquecento metri quadrati, di cui trecentosessanta destinati ad abitazione su tre piani con ciascun piano della medesima estensione.
No, non poteva essere. O i miei mi stavano nascondendo qualcosa oppure davvero quella villa costava così poco. I miei genitori avevano visto quell'enorme casa a poco prezzo e devono aver colto l'occasione comprandola, magari senza nemmeno informarsi molto sul perché del prezzo assurdamente basso per un'immobile delle proporzioni della villa.
Decisi quindi di informarmi un po' di più riguardo a quel luogo in cui avremmo passato quella vacanza e le successive, ma prima decisi di finire la mia "modesta" cena killer.
Ero totalmente assorto nei miei pensieri, quando Marco sbraitò di colpo dal salone.
—Allora lumaca ti muovi? Che c'è la cena ti ha ucciso per caso? Sai che ore sono? Le nove e un quarto. Le nove e un quarto! Se non ti muovi vi perdiamo l'inizio del film che inizia alle nove e venti. Adesso alza il culo e porta le chiappette qua, ok? —
Nel frattempo ero già entrato in sala e notai subito Miriam che era ancora a giocherellare con i capelli di Sara mentre lei era evidentemente infastidita dal comportamento della mia ragazza. Marco invece, davanti al televisore, stava cercando di spostarlo dalla parete per riuscire a riattaccare i cavi dietro. Lo aiutai quasi subito, vedendolo in difficoltà, e una volta fatto mi guardò sconsolato e parlò.
—Senti Fab, qui sta roba non funziona, devi andare ad attaccare l'antenna su di sopra, prima nell'attico al terzo piano ho visto un quadro generale, credo che sia lì il cavo, puoi fare a tutti noi questo favore?—
—Ok vado e torno, ci vorrà poco , spero— dissi io accettando l'incarico.
—Ah Fabio— disse Sara distogliendo lo sguardo dal libro—Non svegliare la piccola, ok?—continuò.
— Già è vero! Mi ero quasi dimenticato che c'era anche lei. Ok starò attento a non svegliare Anna. In che camera è? Perché non so dove sia andata dato che ero a letto, quindi non l'ho vista...—Dissi io.
— Seconda camera sulla sinistra, quella grande come la tua dal lato opposto alla tua. Ha detto che voleva sentirsi come una principessa per cui ha voluto la camera grande, adesso occhio a non svegliarla— disse Sara in tono autorevole.
—Ok... ok... a tra poco, intanto vado— continuai, ed iniziai a salire le scale.
Anna era la sorella di Sara, aveva nove anni, era una bambina adorabile, capelli biondi come sua sorella, e due occhi azzurri come il mare. Era molto bassa per la sua alla sua età e questo la rendeva come una piccola bambola in miniatura. Quanto al suo carattere, era molto sveglia, troppo per la sua età. Riusciva a capire cose intuibili solo da una certa età in poi, e ciò rendeva le conversazioni in sua presenza, molto difficili da nascondere quando si cadeva casualmente su certi argomenti. Insomma era il classico angioletto che nasconde all'interno un demonio.
Ero all'interno del corridoio quando d'un tratto mi balenò in mentel'idea di controllare se Anna stesse ancora dormendo oppure stava giocando come al solito quando era sola. Da quel che diceva sua sorella, di solito faceva così. Mi soffermai prima a chiudere la porta di camera mia, che ero sicuro di aver chiuso, ma che a quanto pare era più che spalancata. Fatto ciò, con un inquietante scricchiolio, procedetti ad avvicinarmi alla porta di camera della bambina. Dapprima provai a sbirciare tramite la serratura, ma all'interno era troppo buio e non si vedeva nulla, anche se avevo notato una piccola luce fioca provenire da un angolo del letto. Forse Anna era sveglia.
Poggiai l'orecchio alla porta, ma non sentii alcun rumore, stava forse dormendo? Decisi di aprire la porta, provando a fare meno rumore possibile. Ci riuscii. La sua era la stanza decorata più anticamente di tutte, forse era per quello che l'aveva scelta. Ci volse un po' per far abituare gli occhi alla penombra, e quando finalmente si adattarono, iniziai a distinguere la sagoma dell'enorme letto circondato dalle tende viola del baldacchino regale. Erano tutte chiuse e la lampada sul comodino accanto faceva riflettere quel viola di una luce totalmente innaturale su tutta la stanza, la cosa era alquanto inquietante. Mi spostai lentamente, in punta di piedi verso il letto e quando fui a distanza accettabile, trattenni il respiro e aprii le tende del letto.
Anna era lì, sdraiata sul letto di fianco, con il volto rivolto verso l'altra parte. Indossava un abito bianco di pizzo che le dava fino ai piedi. Il vestito era finissimo, e lasciava intravedere tutte le sagome di quel corpo ancora di una esile bambina, cosi piccolo e innocente che quasi pareva veramente quello di un angelo. Le accarezzai i capelli, e lei si girò all'improvviso verso di me, afferrandomi il braccio e portandoselo al suo petto. Sentii il calore del suo corpo. Fu una sensazione stranissima quella che provai, ma dopo due secondi, tornai in me. Cosa stavo facendo? Era una bambina quella, come potevano venirmi anche solo per pochi secondi in mente quelle cose? Poi qualcosa attirò nuovamente la mia attenzione. Anna si strinse il mio braccio ancor più forte verso il suo petto. Poi iniziò a parlare.
—Sorellina...fa freddo...abbracciami...sorellina...sorellina...—
Aveva una voce delicata e totalmente assonnata. Feci mente locale e cercai di capire. Ora che ci pensavo Sara mi aveva detto in una delle poche volte in cui parlammo, che sua sorella dormiva con lei standole abbracciata. Evidentemente, aveva scambiato il mio braccio per quello di sua sorella, cosa difficile se si considerava che era grande circa tre volte quello di Sara. Cercai di scansare Anna delicatamente senza svegliarla, anche se non fu un'impresa semplice, ma dopo alcuni minuti, Anna stava già abbracciata a sé stessa. Compresi che doveva farle freddo, anche se in camera era davvero molto caldo. L'impianto di riscaldamento era forse la cosa più efficiente di tutte in quella villa. Cosi andai in fondo al letto e tirai su un'altra coperta, finché questa non aveva avvolto completamente il piccolo corpo di Anna. Le carezzai i capelli un'ultima volta, e le baciai la fronte. Poi, me ne andai sempre in silenzio dalla camera. Notai però nella penombra, all'interno del riflesso dello specchio, un piccolo sorriso stampato sul volto della bambina, mi girai verso di lei, ma quel sorriso era scomparso, mi rigirai verso la porta e nel rigirarmi, mi sembro di vedere qualcosa nello specchio. Non era di nuovo il sorriso di Anna, era una specie di ombra seduta accanto a lei. Sobbalzai, mi voltai di scatto verso il letto ma compresi subito la natura dell'ombra. Era una piccola bambola di pezza, messa sul comodino accanto al letto. Sinceramente non mi ero accorto di quella bambola, ma non mi importò molto al momento. Ormai avevo compreso la natura del mio spavento.
Chiusi dietro di me la porta e proseguii verso l'attico. La scala a chiocciola interamente coperta di polvere, dava un che di inquietante, specie per il fatto che si trovava in fondo al corridoio ed isolata da qualsiasi altra cosa, per di più anche scarsamente illuminata. Salii quindi velocemente gli scalini tentando di tenere l'equilibrio sulla polvere.
Arrivai nell'attico poco dopo. Un luogo alquanto inquietante, buio e misterioso.
Andai a tentoni nel buio, cercando l'interruttore della luce, che ricordai di aver visto vicino alla scala, e cosi dopo alcuni tentativi accesi la luce.
Quello che mi si presentò davanti fu una stanza enorme. Tutti i quasi quattrocento metri quadrati di quel piano erano liberi da pareti o stanze e con mobili, librerie e piano bar su di un lato, il resto della stanza era completamente vuoto. Il pavimento era qualcosa di veramente sconfinato e psichedelico. Era interamente fatto in parquet nero e bianco lucente. Non avevo mai visto una cosa del genere. Dall'altro lato della stanza invece c'era un vecchio lettore di dischi, uno di quelli da saloon dove si doveva mettere la moneta per ascoltare quei giganteschi dischi in vinile.
—La tecnologia ha fatto passi da gigante...— dissi a bassa voce, estraendo dalla tasca il mio fidato Samsung S2 dalla tasca, e facendolo ruotare acrobaticamente un paio di volte nella mano, lo sbloccai, diedi un'occhiata all'ora e notai con mio stupore che erano già le ventuno e trentaquattro rendendomi conto di aver perso un sacco di tempo. Andai a cercare subito il quadro generale, che trovai sopra al jukebox. Lo aprii e collegai il cavo dell'antenna che vidi giustamente scollegato. Lo attaccai e urlai in modo da farmi sentire ben due piani al di sotto di me.
— Ehi Marco, si vede la TV?—
Dopo pochi secondi ebbi la risposta, anch'essa urlata.
—Si, si vede, si vede! Dai vieni giù che inizia il film, anzi, è già iniziato!— Disse la voce di Marco—
—Arrivo subito...— dissi a bassa voce.
La mia attenzione era stata colta da altro in quel momento.
Ero incuriosito da altro. Non avevo mai provato ad ascoltare un jukebox dal vivo, cosi apri il piccolo cassetto sottostante al lettore dischi e tirai fuori un vecchio disco in vinile, senza fare distinzione di genere.
Aprii lo sportello in vetro del jukebox e inserii il disco. Richiusi lo sportello e inserii un gettone che era nel piatto argentato e polveroso proprio li accanto.
Il disco iniziò a girare ma il suono che produsse, era una musica straziante. Il disco era sicuramente rovinato per produrre una musica così terribile. Annoiato quindi ed anche un po' intimorito da quel suono che però pareva a tutti gli effetti una musica composta appositamente così, cercai di aprire lo sportello di vetro, ma dopo pochi secondi quest'ultimo si aprì di scatto, e il disco che ancora girava vorticosamente schizzò fuori dalla sua sede di colpo, colpendomi con violenza l'avambraccio destro nella parte superiore e ferendolo profondamente con un taglio netto.
Urlai dal dolore, mentre il disco insanguinato cadde a terra lasciando alcune macchie su una parte bianca del parquet.
Non passò molto che accorsero gli altri sentendomi gridare. Erano tutti all'entrata dell'attico che mi stavano fissando con stupore misto a sgomento mentre mi tenevo il braccio per evitare di perdere altro sangue. Miriam accorse in mio aiuto togliendosi una sciarpa che prima non avevo notato e legandomela attorno al braccio.
La vacanza non era iniziata nel migliore dei modi.
Stavano tutti quanti li a fissarmi che mi tenevo il braccio dal quale uscivano piccoli fiotti di sangue, nonostante la sciarpa di Miriam lo tenesse assolutamente stretto come un laccio emostatico
—Cazzo Fabio dobbiamo portarti a un ospedale e di corsa!— disse precipitosamente Marco.
—Marco non ti devi preoccupare... — presi a dire ma mi bloccai —Cazzo... che male... davvero non devi preoccuparti, vedrai passerà, è solo un taglietto e...— proseguii io ma venni interrotto improvvisamente da una fuoriuscita ancora più densa e corposa di sangue dal braccio, che cadendomi addosso fece diventare i pantaloni neri, completamente rossi.
Sara intervenne. Lei era l'unica tra di noi che stava studiando per medicina, così venne verso di me e mi afferrò con decisione il braccio, strinse ancora più forte la sciarpa e mi fece gridare da dolore, poi la tirò più verso il gomito e osservò la ferita da vicino.
—Cazzo Fabio sei proprio un coglione— disse lei guardandomi — ragazzi dobbiamo portarlo all'ospedale se non volete un cadavere sulla coscienza— concluse lei con freddezza.
La guardai impietrito negli occhi. Quegli occhi che tanto odiavo, adesso mi sembrarono compassionevoli verso di me e quasi paurosi per la mia salute. Stringendo i denti per il dolore che adesso era più forte, posi una domanda alla mia improvvisata dottoressa.
— Sara...cosa ho fatto?—
—Nulla di che Fabio, tranquillo, il disco ti ha solamente reciso l'arteria radiale, solo tu sai come sia successo— disse lei con apparente cinismo.
— Ora, ripeto, se non volete un cadavere sulla coscienza, Marco, prendi la tua bellissima Audi, sulla quale hai sputtanato i soldi guadagnati in una vita, ne sono sicura, metti il piede sull'acceleratore e lo porti dritto all'ospedale del paese. Non ci sono autovelox o polizia, qua, per cui infrangi pure il limite di velocità. Ora, o fate cosi, oppure avremo da fare un bel funerale entro domani— Concluse in fine Sara, guardandoci uno per uno dritto negli occhi.
Miriam era inviperita da quelle parole, ma sapeva che si stava comportando così solamente per far capire la gravità della situazione, quindi si fece in disparte. Marco invece venne da me e mi aiuto a scendere le scale a chiocciola piene di polvere, onde evitare la mia imminente caduta, data la mia impossibilità a reggermi ai corrimani. Scendemmo, rapidamente e percorremmo tutto il corridoio per arrivare alle scale che portavano al primo. Mentre percorrevamo il corridoio, notai la porta della stanza di Anna che si apriva e vedevo dietro la porta lei, che se ne stava in piedi a sbirciare ciò che succedeva. Mi voltai per due secondi, per vedere quello che stava facendo, ma vidi solamente la porta che si richiudeva quasi impercettibilmente davanti ai miei occhi. Anna non voleva farsi notare evidentemente.
Così dopo poco eravamo fuori dalla villa di fronte all'Audi TT di Marco. Entrammo velocemente e appoggiai il braccio allo sportello in pelle bianca, macchiandolo leggermente di rosso.
—Ma cosa cazzo fai?! Ti ha dato di volta la testa?? Ma dai, cioè guarda, mi ha imbrattato di rosso tutta la tappezzeria, hai anche solo, la benché minima idea di quanto costa dover far lavare tutta sta roba? No, se tu...— inizio a sbraitare Marco mentre si metteva al volente, e inseriva le chiavi nel quadro.
—Marco accendi sta roba e muoviti a portarmi all'ospedale, senno le spese funebri le intesto a te, ok?— dissi io leggermente innervosito.
— E va bene, va bene— disse Marco con aria indispettita e pensierosa. Cosi accese la macchina e partimmo per l'ospedale del paese.
Erano le ventuno e trentacinque.
Questo era ciò che diceva il mio cellulare. Ed erano le ventuno e trentacinque anche per l'orologio della macchina. Bloccai quindi il cellulare e lo rinfilai in tasca.Fissavo gli alberi oscuri al bordo strada da quasi cinque minuti. Quei boschi scorrevano veloci a bordo di quella macchina all'attuale velocità. Nel mentre i miei occhi si stavano lentamente chiudendo sia a causa del sonno che a causa della grande quantità di sangue che stavo perdendo dal braccio. Notai dallo specchietto retrovisore che il mio colorito si era fatto decisamente più pallido rispetto al solito, il che non era certo un buon segno. Di colpo però nell'apparente tranquillità del momento, sbraitai a squarciagola ripensando ad un dettaglio a cui non avevo dato importanza pochi minuti prima.
— Porca troia Marco!—
Marco inchiodò sul momento facendoci catapultare in avanti entrambi e scollandoci dai seggiolini. Dopo alcuni secondi che ci eravamo ripresi dalla frenata, Marco mio guardò con espressione sbigottita.
— Dio santo, Fabio! Ma cosa stai facendo!? Hai rischiato di farmi fare un incidente! Si può sapere che ti prende? È il braccio che ti fa male?!—
—No cazzo! Ma che braccio! A quello mi ci sono quasi abituato adesso, è un altro il problema...— dissi con voce quasi tremante — A che ore siete saliti di sopra quando mi sono ferito?—continuai.
—Cosa cazzo stai dicendo Fabio? Sei partito di testa per caso?—disse Marco guardandomi male.
—Avanti cazzo Marco, non dirmi che non te ne sei accorto... — dissi.
—Di cosa Fabio? Di cosa? Siamo corsi su di sopra che erano le ventuno e trentaquattro credo, e allora? Che ha?— disse lui sospettoso.
—E allora cosa Fabio? Saranno passati almeno dieci minuti da che siete venuti su a quando siamo saliti in macchina!— dissi io quasi impaurito.
— Fabio cazzo, non ti seguo— ribatté Marco perplesso.
—Marco, siamo saliti in macchina che sia il mio cellulare che l'orologio della macchina segnavano le ventuno e trentacinque!! Marco... le ventuno e... trentacinque! Mi spieghi come cazzo sia possibile? Dovremo esser stati di sopra solo un minuto... solo un cazzo di minuto!! Non è possibile dai!— dissi io con voce tremante e lo sguardo perso nel vuoto.
—Amico, mi stai spaventando, e non poco, aver perso tutto quel sangue deve averti dato alla testa...—disse lui guardando da un'altra parte e poi guardandomi per brevi attimi negli occhi. Poteva anche negarlo, ma ciò che avevo visto nel suo sguardo era approvazione su quello che avevo detto io. Lui abbassò lo sguardo per brevi attimi e si rimise a guidare. Io rientrassi nuovamente il telefono. Le ventuno e cinquantasette.
—Marco... guarda l'orologio della macchina, per favore...— dissi io nevrotico e con una voce quasi nasale.
Marco guidando abbassò rapidamente lo sguardo. Le ventuno e cinquantasette.
—No...no...no...no...— iniziò a dire lui.
—Ok manteniamo la calma. Andiamo all'ospedale...a tutto questo ci penseremo dopo.
Detto questo, Marco quasi con le lacrime agli occhi continuò a guidare verso il paese. Saremmo arrivati entro quaranta minuti a quella velocità, se tutto fosse andato per il meglio.
Fissai fuori dal finestrino. Stava calando una fitta nebbia, e nel contempo, stava iniziando a piovere, scacciando via un po' di quella nebbia. Avevamo appena girato una curva, quando intravidi la vecchia immensa villa abbandonata che notai quella mattina, con l'enorme cartello di vendita inserito in mezzo alla vegetazione, e quasi impossibile da notare. Io stesso non avevo capito quella mattina come avevo fatto a notarlo. Ma la mia mente si soffermò poco su quel pensiero, la mia mente era altrove, in un altro mondo, in un altro tempo, in un'altra situazione.
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Onde Bianche - Il Marchio dei Dannati
Fantasy"Vedi Fabio, seicento anni sono davvero tanti, ma spesso, per trovare ciò che più si desidera, non basta un'eternità. Noi Dannati l'abbiamo a nostra disposizione, ma siamo così ciechi di fronte all'evidenza, da tralasciare ciò che conta davvero. Sp...