Capitolo 20 - Tempo

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La mia paura stava lentamente aumentando nonostante la mia natura da Dannato. Se tutto ciò che stava accadendo fosse stato vero e non una sorta di qualche illusione, mi sarei trovato senza dubbio in una situazione dalla quale non sarei uscito tanto facilmente. Mi voltai su me stesso volte e volte, osservando con sguardo esterrefatto ogni singolo centimetro della cripta. Non era possibile. Era tutto estremamente nuovo, e prefetto, come se fosse stato creato solo da pochi giorni. Nulla fuori posto. Non un grammo di polvere, né muschio, né acqua, ne ghiaccio, nulla. Assolutamente nulla. Pareva quasi che il posto fosse stato davvero appena costruito. Mentre mi guardavo attorno, mi ricordai della strana sfera che mi aveva obbligato a prendere tra le mani Giselle poco prima di cadere, la stessa sfera che aveva emesso quella strana luce poco prima, la stessa che mi aveva avvolto subito dopo nelle tenebre. Afferrai l'oggetto da terra dove si trovava e lo fissai per alcuni istanti. Dopodiché, aprii la mia borsa e lo inserii lentamente dentro con cautela per paura di romperlo, dato che mi pareva fosse fatto in vetro, od un materiale molto simile ad esso. Pensai quindi a come comportarmi in quella situazione irreale. Per prima cosa dovevo uscire dalla cripta e tornare al piano di sopra, nella speranza di trovare gli altri così da confutare che quella in cui mi trovavo fosse a tutti gli effetti un'illusione generata da Giselle per tenermi fuori gioco per un po' mentre lei architettava i suoi piani dalla dubbia entità etica. Così mi avviai lentamente verso l'entrata ma la mia strada venne improvvisamente bloccata da qualcosa che non mi sarei mai aspettato. Due alte figure mi si posero davanti proprio mentre stavo mettendo piede sulla riga dell'entrata della cripta.
—Tu, cosa ci fai, qui? Come hai fatto ad entrare? Non sai che è severamente vietato a chiunque l'accesso a questo luogo sacro?— disse la prima figura. Non riuscivo a distinguerli bene, la penombra mi impediva di vederli, ma ciononostante presi parola.
— Ehm, signori, ci deve essere un errore, io sono qui solo perché... — ma non feci in tempo a finire la frase che mi arrivò di colpo un tonfo secco sulla nuca che mi fece crollare a terra come se fossi stato un castello di carte, facendomi perdere i sensi.

Mi risvegliai improvvisamente urlando e subito mi accorsi che c'era qualcosa che non andava. Avevo le mani, i piedi e il collo incatenati ad un muro. Non riuscivo a vedere bene cosa mi stesse circondando ma la prima cosa che notai fu davanti a me una serie di case, non molto grandi, ma abbastanza vecchie, fatte forse in legno e mattoni. Davanti a me non appena mi ripresi interamente notai una folla non indifferente di persone che bisbigliavano tra loro indicandomi e portando le mani alla bocca oppure prendendo in mano dei grossi crocifissi in legno o in ferro. Erano tutti vestiti con lunghe tonache in stoffa sgualcita e rovinata e molte tra le donne donne avevano uno strano cappello bianco che raccoglieva tutti i capelli all'interno, lasciando intravedere solo il volto. Passai dopo questi dettagli a cercare di capire dove effettivamente mi trovassi. Mi sembrava che dietro le case si ergessero delle montagne ricche di vegetazione, ma non molto alte, mentre invece io mi trovavo su una specie di palchetto in legno al quale ero rigorosamente incatenato. Cercai di muovere il collo, ma anche quello era bloccato. Così sospirai e presi fiato per parlare.
—Signori, scusate per il disturbo che vi sto recando per avervi fatto venire qua ad ammirarmi, ma, sapreste dirmi dove mi trovo?— Chiesi in tutta tranquillità. Tutti con sgomento generale preso ad urlare indicandomi, o meglio, indicando il mio occhio.
— Oh, beh, potete stare calmi, è solo una lente a contatto nulla di che — cercai di improvvisare, ma non feci che peggiorare la situazione.
— Demonio! Morirai bruciato dal Signore! — Sentivo dire, oppure — Sei uno di loro, morirete tutti! Morirete tutti! — Certamente se avessi continuato a rimanere impassibile e bloccato in quella sorta di giogo mentre venivo accusato di essere una creatura del male, cosa effettivamente reale, certamente non avrei risolto nulla. D'improvviso notai un bambino che mi fissava tra il divertito e l'impaurito.
—Ei tu, piccoletto — chiesi fissandolo —Sai se... c'è qualcun altro come me nei dintorni? Mmh? Intendo qualcuno con qualcosa tipo questo — continuai strizzandogli l'occhio Dannato. Il piccolo esitò alcuni momenti poi corse a nascondersi dietro a quella che supponevo essere sua madre, e da quel posto per lui al sicuro da me sollevò il braccio ed indicò alla mia destra per poi sparire di nuovo dietro la madre.
— Ok, grazie mille... — dissi tra me con la certezza che il bambino non mi stesse più ascoltando.
—Molto bene signori e signore, vorrei davvero restare qua a discutere con voi della mia condizione inumana ma avrei altre cose da sbrigare, quindi se non vi dispiace, io toglierei il disturbo — e così dicendo mi alzai in piedi con il minimo sforzo, stroncando di netto le catene e il giogo di legno che mi imprigionavano mentre tutti mi fissavano con sguardo sbigottito ed in silenzio.
—Molto bene gente, beh che dire, è stato un piacere ascoltare le vostre ben riposte offese verso di me. Adesso, devo annunciarvi con dispiacere che devo proprio andare, ho cose più importanti a cui pensare — proferii io e scesi dal palchetto dove mi trovavo, seguito dal bisbiglio della gente che mi stava attorno. Camminavo a passo svelto nella direzione indicatami dal bambino poco prima ed al mio passaggio in quell'assurdo ed inquietante villaggio sulle rive del mare, i paesani si mettevano ai bordi della strada fissandomi con paura nei loro occhi ed estraendo alcuni dei pesanti crocifissi metallici da sotto le loro vesti e puntandomele contro inutilmente. Mentre proseguivo per la mia via li fissavo uno ad uno con un sorriso orribile e forzato che avrebbe spaventato probabilmente anche il vecchio Drakul degli Onde Bianche. Camminai in linea retta per un altro paio di metri quando giunsi al termine di quella che ipotizzai essere la via principale del piccolo villaggio marittimo. Di fronte ai miei occhi si ergeva una immensa parete rocciosa che si protendeva alla mia destra verso un piccolo promontorio piccolo promontorio coperto dalla vegetazione. Mi voltai quindi in direzione di quest'ultimo trovandomi quindi l'enorme parete grigia alla mia sinistra. Di fronte ai miei occhi si stagliava a qualche decina di metri dal mio sguardo un nero cancello con svariati richiami all'arte rinascimentale. Questo era ben sigillato da un mastodontico lucchetto che ad un prima stima pareva avere delle dimensioni assolutamente simili a quelle di un cranio umano ed anche la forma in parte ricordava proprio quest'ultimo. Seguendo poi lo stretto e piccolo ponte in pietra sospeso sul mare che si trovava dietro al cancello, si giungeva con lo sguardo ad una densa coltre di nebbia che nonostante la splendida giornata e l'ora ormai avanzata della giornata, colse la mia attenzione in quanto non pareva affatto un fenomeno naturale. Quella spessa coltre mi impediva in ogni modo di vedere cosa vi si trovasse all'interno e deciso a scoprirlo per far chiarezza su ciò che stava accadendo, decisi di avviarmi verso la mia nuova meta.

—Ok... qua deve trovarsi quello che cerco... — dissi a voce sommessa ed afferrando il lucchetto lo strappai senza sforzo e lo gettai a terra. Poi aprii con una leggera spinta il cancello provocando un orribile scricchiolio dovuto alla ruggine. Mi incamminai lungo il ponte ma ciò che vidi dopo alcuni attimi mi turbò profondamente. Nell'assurdità di quella stravagante circostanza, Villa Tussaud si ergeva in tutta la sua maestosità, immersa nella nebbia, costruita in maniera impeccabile sopra ad alcune enormi rocce semi sommerse dalla superficie marina.

—No... no, no, no... voi mi state prendendo per il culo — dissi incredulo mentre proseguivo imperterrito fin davanti al portone in legno scuro della villa. Quindi una volta giunti di fronte ad esso, pensai brevemente a tutto ciò che era accaduto nelle ultime ore mentre un brivido di ira si materializzava nella mia mente portando alla mia memoria ciò che era appena accaduto a Miriam.
Senza pensarci aprii così la porta con forza e stracolmo di rabbia rischiando di scardinarla. Di fronte a me apparirono due enormi energumeni, come quelli della cripta, ma con la differenza che questi recavano due maschere simili a quelle veneziane, dal color rosso scuro, senza dettagli particolari. Questi mi vennero incontro estraendo due pesanti accette mai iniziai a sbraitare colmo di odio per quella stessa villa che aveva portato solo sventura nella mia vita.

—Eh no, ragazzi, non è giornata, levatevi di torno — gli intimai. Ma loro non ascoltarono e brandendo un possente colpo ciascuno, cercarono di colpirmi simultaneamente ma li evitai senza agilmente e scattai dietro di loro, colpendoli sulla nuca col lato della mano e spezzandogli di netto l'osso del collo.
—Siete Dannati anche voi presumo, vedrete che tra poco starete di nuovo bene, ma... vedete di non rompermi più il cazzo — dissi loro con parole dense di falsa compassione. Li lasciai agonizzanti a terra e mi diressi dove ero certo di trovare la sala degli ospiti. Non appena giunto all'interno della stanza quindi, vi trovai alcune figure ben vestite ed anch'esse mascherate che mi fissavano intimorite dal retro delle loro maschere. Ricambiai il loro sguardo di ognuno di loro ma uno degli individui maschili si alzò in piedi con fare minaccioso, come se volesse attaccarmi. A quel gesto però io mi scansai e indicai i due energumeni a terra scuotendo la testa. Gli feci a quel punto cenno di sedersi nuovamente e questo mi ascoltò tornando di nuovo sul divano sul quale si trovavano tutti gli altri.
— Adesso signori miei, mi hanno detto che qua dentro siete come me? Dico bene? Mmh? — presi a dire mentre mi fissavano tutti dubitanti di ciò che stavo dicendo — Ok, dunque, facciamo una cosa rapida e indolore. Non voglio creare problemi, non oggi. Non mi sento in vena di creare altri problemi a nessun altro, ne ho già causati troppi senza fare nulla... quindi ditemi dove si trova Giselle... so che la conoscete, siete tutti amici voi altri, ditemi dove sta quella troia! — esclamai. Tutti i presenti sobbalzarono quando senza preavviso l'individuo che si era alzato prese parola.

—Capelli bianchi... forza sovrumana, grandi capacità di annichilimento ed intimidazione... e... una sclera nera proprio come quella dei Dannati ma... c'è qualcosa che non torna in tutto ciò... evidentemente sei un Nelapsi, ma oltre al fatto che tu non dovresti nemmeno esistere... — parò con voce autoritaria e colta l'uomo — l'iride del tuo occhio destro... mi incuriosisce. È perfettamente identica a quella della nostra famiglia... quindi... come è possibile tutto ciò? E poi... la Giselle di cui stai parlando non so chi sia. L'unica Giselle che conosco sarà mia figlia che ancora deve nascere — proseguì lui lasciandomi sbigottito dalle sue parole — cosa vuoi forestiero da una piccola creatura che ancora non ha esalato nemmeno il suo primo respiro della sua esistenza? — Concluse infine fissandomi intensamente e rivolgendo poi lo sguardo ad un'altra figura, questa femminile e con una pancia da evidente gravidanza.

—Oh... no... sono in una situazione peggiore di quanto pensassi... — sospirai portandomi le mani nei capelli con disperazione mentre seguivo il cenno dell'uomo che mi invitava a sedermi con loro. In quell'istante compresi che non avevo altra scelta se non stare a sentire ciò che avevano da raccontare quei misteriosi individui. Dopotutto pareva che io fossi solo un intruso in quel mondo, ma soprattutto in quel tempo.

Onde Bianche - Il Marchio dei DannatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora