Capitolo 9 - Natura

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Quando fui finalmente dentro, avvolto dalla penombra creatasi all'ingresso, Marco era già li ad attendermi. Era vicino all'entrata del salotto dove tutti mi stavano aspettando con ansia. Marco sapeva della mi intenzione di fasciarmi falsamente il braccio per non destare sospetti, così ci guardammo per brevi attimi e lui annuì con la testa in segno d'intesa. Iniziammo ad avvicinarci alla sala, ma prima di entrare, presi a gridare ad alta voce.

—Scusate tanto, ma il bagno mi chiama!— esclamai e corsi rapidamente sulle scale vicine al salotto che portavano al piano superiore. Corsi come non mai prima di allora ed arrivai sul corridoio che separava le stanze, con stanchezza incredibile, quasi come se avessi corso una maratona intera. Mi avvicinai lentamente alla porta della mia camera e mentre camminavo, notai sulla tappezzeria del pavimento e sul muro, alcune strisce di sangue che avevo lasciato la sera prima quando mi ero ferito.

—Fortuna che il sanguinamento d'ora in poi non dovrebbe essere più un problema...— mormorai a voce sommessa, alquanto ottimista ma anche desolato. Mentre quegli strani pensieri girovagavano per la mia testa, afferrai con decisione la maniglia della porta e la aprii. Fu in quel momento che con la coda dell'occhio notai una piccola figura vestita di bianco alla mia destra uscire fuori dalla stanza che si trovava in fondo al corridoio, sulla parte destra del suddetto. Mi voltai di scatto. Era Anna. Mi stava osservando inquieta restando dietro alla porta della sua camera. La fissai per alcuni secondi fino a che mi accorsi di stare tenendo la maniglia con la mano destra, la quale teoricamente doveva essere ferita. Così con un rapido scatto mi infilai dentro la mia enorme camera e richiusi la porta a tonfo dietro di me, appoggiandomici col schiena e gettando lo sguardo al soffitto sopra di me, chiudendo infine gli occhi e tirando un sospiro di sollievo.

Dopo questo attimo di tranquillità, ritornai ai miei doveri. Mi scollai dalla porta ed immediatamente mi voltai per chiuderla a chiave. Dopodiché gettai quest'ultima sul mio letto a baldacchino, dalle coperte rosse di raso decorate in giallo ocra e mi diressi verso il bagno.

La stanza era leggermente buia. La luce della candela che si trovava sul comodino accanto al letto non emetteva molta luce, così mi diressi vicino alla porta del bagno dove si trovavano tutti gli interruttori e accesi i due che davano corrente alle piccole nicchie che si trovavano ai lati del muro dietro il letto. Non mi ispirava l'idea di avere molta luce in quel momento, e quelle piccole nicchie creavano quel tenue alone di luce calda che mi bastava per rassicurarmi in quel luogo di cui adesso conoscevo la triste storia.

Dopo aver fatto ciò mi recai finalmente in bagno, aprendo la porta accanto a me, facendo cigolare i cardini. In quella villa tutte le porte scricchiolavano in una maniera orribile e molto, molto inquietante.
Entrai all'interno della stanza ed accesi le luci che si trovavano sopra il lavandino. Li si trovava uno specchio e colsi l'occasione per darmi un'occhiata veloce. Ero sempre io. Il solito Fabio dai capelli neri, volto spigoloso, naso un leggermente a punta e piccolo, occhi castani tendenti al nero. Ma una cosa mi fece impazzire in quel momento. Il mio occhio destro non c'era. Istintivamente mi portai una mano al volto e mi tastai il bulbo per capire se effettivamente era presente fisicamente o meno. Fortunatamente si trovava ancora al suo posto ed era integro. Questo però per uno strano motivo non si rifletteva nello specchio. Al posto suo vedevo solo ciò che avrei dovuto vedere se avessi osservato la mia testa priva di un occhio, ovvero la parete ossea del cranio con il microscopico foro all'interno del quale sarebbe dovuto passare il nervo ottico. Era inquietante. A quel punto aprii il rubinetto e mi diedi una forte sciacquata al viso, nella speranza di essere soggetto come speravo, ad allucinazioni. Ma non fu cosi. Rialzai la testa e guardai nuovamente. Nulla. L'occhio non c'era.

—Eppure ne guardi di film horror Fabio — Una voce attirò la mia attenzione. Mi sporsi lentamente dalla porta del bagno. Quella voce proveniva dalla camera. Era Giselle. Di nuovo. Era seduta in mezzo al letto a gambe incrociate e con lo stesso lungo abito da sera di poco prima.
—Possibile che tu non puoi stare lontana da me per più di dieci minuti? Cosa vuoi adesso bastarda?— dissi io ritornando a osservare l'occhio assente dalla mia testa allo specchio.
—Uffa... come sei noioso! Io ti aiuto e tu mi tratti cosi come se fossi la tua sgualdrina. Bel ringraziamento! Il bastardo sarai tu che mi dici così. Sai Fabio? Anch'io come te ho dei sentimenti. Così li stai ferendo —disse lei facendo una piccola risata.
—Non mi importa. Se mi trovo in questa situazione di merda è colpa tua. Se ieri sera non mi avessi reso il braccio come una spugna, a quest'ora io non ero qua a cercare di capire perché in questo specchio non mi vedo un occhio! — conclusi io leggermente irritato.
—Uffa! Fabio ma sei stupido o cosa? Eppure prima mi avevi dimostrato con quel tuo ragionamento sulla nostra immortalità che eri molto furbo. E va bene. Ti darò un aiutino. Ti dice nulla il nesso logico vampiri-specchi? Dai che è facile —disse Giselle sdraiandosi sul letto e portando in alto le gambe per poi gettarle pesantemente sulla coperta.
—Vampiri... specchi... i vampiri non si riflettono negli specchi!—esclamai di colpo.
—Ma che bravo che è il mio amore. Vedi che allora sei intelligente — rise lei.
—Però c'è una cosa che non quadra. Tu mi hai detto che adesso sono come voi... ma allora non si dovrebbe poter vedere nulla di me allo specchio, invece riesco a specchiarmi interamente, tranne l'occhio... sai spiegare questo? — chiesi improvvisamente io.
—Hai ragione. Sei arguto Fabio. Tu non sei interamente come noi. O almeno non ancora. Il tuo corpo è ancora umano. Ma nonostante questo hai le nostre abilità, anzi da quel poco che ho potuto vedere sei anche migliore in moltissime altre cose. Ma un po' per volta, non ti rivelerò subito tutto. Per adesso, finché il tuo corpo non sia sarà risvegliato interamente hai la nostra immortalità e la rigenerazione. L'unica tua parte che per adesso è tale e quale alla nostra è quell'occhio, che per questo motivo non si riflette. Ma tu sei un caso estremamente particolare. Credo che alla fine quando diventerai come noi, potrai ancora specchiarti, anche se una cosa così futile credo sia l'ultimo dei tuoi problemi d'ora in poi. Per adesso però hai dimostrato capacità diverse dalle nostre. Per esempio la tua rigenerazione è molto più veloce della mia, nonostante sia stata io ad affidarti la mia immortalità e parte le mie abilità. Tu inglobandole, pare che le abbia migliorate. Se mi fossi provocata una ferita come quella che ti sei auto inferto in macchina con quella lama e da cui ti sei ripreso in circa tre minuti e mezzo, io ne avrei impiegati minimo dieci o forse più. Possiamo usare questa cosa a nostro vantaggio in futuro— spiegò lei e concluse.
—In che senso a nostro vantaggio? — chiesi. —Non ancora tesoro. Non ancora— sospirò lei e si sollevò nuovamente in posizione seduta.
—Giselle. Vuoi sputare il rospo o ti devo costringere? — dissi io e tirai fuori dalla tasca il tagliacarte che avevo ripreso dalla macchina. Uscii dal bagno e mi posizionai davanti a Giselle puntandomi il tagliacarte davanti al cuore.
—Da quel che ho capito se questo smette di battere per cause non naturali, anche noi tiriamo le cuoia — dissi con un mezzo sorriso. La vampira scattò in piedi con un 'agilità tale da superare i limiti della fisica e mi afferrò con decisione la mano torcendola al punto da spezzarmi il polso e facendomi cadere l'oggetto.
—Fabio ti ho detto non adesso E se dico una cosa, mi ascolti e non ribatti. Ok? Guai a te se fai cazzate. Io non posso provocarti dolore effettivo e fisico, non ne risentiresti per nulla. Ma posso fare del male a quelli che sono giù di sotto. E sai che ne sarei capace. Hai visto cosa ho fatto ad Anastasie...o chiunque fosse quella vecchia. Al tuo stato attuale non riusciresti a fermarmi. Nemmeno se ti impegnassi con tutto te stesso. Tu contieni una parte di me e finché l'avrai non ci potremo uccidere a vicenda. Comprendi? Semplice il concetto. Ma come sai, se tu ti uccidi muoio anche io, e non voglio. Adoro troppo la mia immortalità e non sarai tu a privarmene! — Giselle era decisamente seria ed irata con quelle parole tanto che le sue sclere divennero nere ed entrambe le iridi divennero di un viola ancora più acceso mentre le pupille si assottigliarono maggiormente assumendo un colore marmoreo.
—D'accordo allora stronza. Fa come vuoi. Ma sappi che se succede qualcosa puoi dire addio alla tua immortalità che tanto ami. Perché io mi faccio fuori. Ricordatelo. E non sarai certo tu spezzandomi un polso ad impedirmelo — dissi io con decisione, staccandomi da lei che ancora teneva in mano il mio polso rotto.

Mi allontanai lentamente.

Effettivamente non provavo alcun dolore, era come se non mi fosse successo nulla. Anche se era dura ammetterlo, quella capacità concessami dalla vampira di rigenerarmi e di vivere teoricamente in eterno, non mi disgustava affatto.

Passarono circa due minuti quando di colpo udii uno scricchiolio provenire dal polso. Così provai a muoverlo e notai che era nuovamente funzionante.
— Due minuti e quaranta secondi. Impressionante. Normalmente ci vogliono venti minuti per sistemare le ossa degli arti. Sei davvero un caso particolare amore...— disse lei ridendo e sparendo nel buio della stanza. Io restai li immobile a fissarmi il polso. Dopodiché mi destai ed andai in bagno per fasciarmi il braccio come meglio potevo.

Doveva sembrare che era stato fasciato da dei dottori. A fine lavoro, mi compiacqui con me stesso per il buon lavoro svolto. Poi andai davanti al letto e tirai fuori la mia borsa che avevo sistemato temporaneamente là sotto. La aprii ed estrassi un foulard azzurro che mi aveva regalato Miriam, lo legai e me lo misi attorno al collo in modo da fissare il braccio tenendolo alto. Cosi riguardai per un momento tutto quel grande monumento di fasce e foulard e mi diressi verso la porta. Venni nuovamente fermato da una mano molto esile che mi afferrò il fianco.
—Oh Giselle che cazzo vuoi adess... — dissi voltandomi di scatto, immaginando che fosse nuovamente la vampira che voleva ancora qualcosa da me.

Mi stavo sbagliando. Non pensavo che qualcun altro fosse riuscito ad entrare in camera oltre lei. Ma tale pensiero era sbagliato. Dinnanzi a me si ergeva una figura maschile, esile, quasi scheletrica. Era molto alta. Sul metro e novanta, o forse anche più. Indossava dei pantaloni molto attillati e neri, con delle rifiniture bianche simili a tagli nella parte dello stinco nella gamba destra. Indossava una lunga giacca di pelle che arrivava fino alle ginocchia, anch'essa nera, senza dettagli particolari. Indossava una specie di collana d'argento che spiccava tra lo strano abbigliamento. Dopo aver osservato incuriosito il corpo di quell'individuo, passai alla testa. Non mi fu possibile vederne la faccia. Indossava una maschera senza particolari dettagli. Assomigliava molto al volto di una bambola di porcellana. Era leggermente paffuta. Il suo colore era di un bianco candido e la cosa che inquietava di più era la mancanza degli occhi. O meglio. La maschera li aveva, ma pareva quasi che fossero assenti, dato il colore nero delle sclere dove spiccavano le iridi dal colore giallo acceso. I capelli erano molto corti. Forse uno, due centimetri. Erano neri con varie sfumature rosse e bianche. Mentre studiavo impaurito quell'essere capii che molto probabilmente esso era come Anastasie e tutta la famiglia Tussaud, esclusa Giselle. D'un tratto l'uomo parlò.
—Tu —cominciò a dire con una voce molto profonda e rauca
— Sei Fabio. È un piacere fare la vostra conoscenza. Ma non posso permettere che rimaniate in vita. Non adesso che gli Onde Bianche stanno tornando. Devo uccidervi— concluse l'uomo ed alzò il cappotto con una mano, estraendo una vecchia pistola a pietra focaia.
—Ecco... ci risiamo... — dissi con sconforto e abbassai lo sguardo sospirando.

Onde Bianche - Il Marchio dei DannatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora