Capitolo 2 - Marchio

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Venni svegliato dal ticchettio costante della pioggia. La prima immagine che si materializzò nella mia mente in quel momento fu la ragazza dai capelli biondi e dagli occhi viola. Non appena ricordai la sua voce un odioso mal di testa mi obbligò a richiudere gli occhi immediatamente. Quando rinvenni, mi presi la testa tra le meni aprendo nuovamente le palpebre. Delle lame di luce alterarono la mia pupilla che lentamente si adattò alla luce soffusa dell’ambiente.  La prima cosa che notai, furono le assi in legno del soffitto che mi sovrastava, legno dal color marrone scuro, con alcune venature tendenti al nero carbone. Alzai lentamente la testa girandola a destra. Marco era accanto a me, che stava dormendo con la testa adagiata sul letto, rimanendo seduto su di una sedia.
Di una cosa ero certo, non eravamo più in ospedale.
—Ehi… Marco, sei sveglio? — chiesi sottovoce. Marco non esitò un solo attimo al suono della mia voce svegliandosi quasi di soprassalto con il volto di qualcuno che aveva appena visto qualcuno tornare dal regno dei morti.
— Fabio! Oh mio Dio, sei vivo! Sia ringraziato il Signore, credevamo, cioè, no... eravamo certi di averti perso ormai. Cristo, il tuo braccio… e… tutto quel sangue, dovevi essere morto cazzo! — esclamò in fibrillazione cercando di contenere l’euforia. Pareva proprio che gli avessero iniettato una dose di cocaina in vena. Non l’avevo mai visto così tanto felice per qualcosa. Nemmeno quando settimane fa acquistò quella sua nuova auto.
—Beh, grazie di avermi augurato una morte precoce, amico mio… ma mi sento veramente come se fosse successo quel che hai appena detto — mormorai con velato sarcasmo sgranchendomi le braccia e portandole verso l’alto per stirarle al meglio.
Dopodiché le portai nuovamente affianco alle gambe adagiandole sulle coperte e osservai Marco che aveva un’espressione impaurita ma al tempo stesso esterrefatta.
—Marco, cosa c’è? Perché mi guardi cosi? — proseguii io. Mi sentivo stranamente a disagio con i suoi occhi che mi fissavano increduli in quel modo orrendo. Sembrava avesse visto un fantasma o peggio.
—Marco, insomma cosa hai da guardare!?— lo incitai.
—Tu... adesso, mi spieghi come hai fatto?! Cioè, insomma ti ho visto ieri sera e stanotte. Il tuo braccio... il tuo cazzo di braccio!— esclamò impaurito alzandosi in piedi ed indietreggiando, facendo cadere a terra la sedia sulla quale era seduto.
—Cos’ha che non va il mio braccio? — dissi osservandomi il braccio destro. In effetti era interamente fasciato con bende completamente imbrattate di sangue ormai secco. Lo piegai quindi più volte, portandolo poi verso di me in maniera del tutto naturale ed infine lo scrutai in ogni suo angolo per capire cosa stesse fissando con tanto stupore il mio amico. D’improvviso ricordai ciò che era accaduto ore prima.
Quella ragazza, mi aveva frantumato il braccio, prima rompendo le ossa a sprangate e poi trafiggendolo in più parti e più volte con la stessa spranga con cui l’aveva rotto.
Divenni rapidamente bianco in volto.
Guardai in quel momento Marco che teneva le braccia strette e conserte come per riscaldarsi o come se avesse paura. Ma in una situazione simile era altamente più probabile la seconda ipotesi.
—Adesso hai capito cosa intendevo? Ieri sera eri immerso in un lago di sangue, il tuo sangue, con un braccio che se fosse stato per i medici sarebbe stato immediatamente amputato per evitare qualche emorragia o… insomma Fab, non sono un medico! Era da buttare cazzo! Sai che vuol dire quando un braccio è da buttare? So che non è il termine giusto ma non riesco a spiegarmi! Si, si cazzo, da buttare! Era pieno di buchi qua e la… le ossa erano frantumate come se ti ci fosse passato sopra un rullo compressore più e più volte per Dio!— imprecò Marco tenendosi in piedi aggrappato allo schienale della sedia che aveva nel frattempo rialzato.
—Io… Marco non ho idea di come sia successo tutto questo, giuro, non so cosa sia successo ieri sera… è tutto qui nella mia testa ma è così confuso. Non riesco a spiegarmi nulla di ciò che ho visto… era inumano e innaturale. Non era di questo mondo!— esclamai straziato dall’angoscia di quei ricordi che ora riaffioravano con violenza nella mia mente.
—No Fabio cazzo, questo non lo puoi dire, santa merda! Poche ora fa eri un colabrodo. E adesso? Tutto apposto!? Ma mi prendi per il culo!? No adesso tu mi racconti… Mi racconti che diavoleria è questa eh!?— sbraitò Marco.
—Senti io... —iniziai ma d’improvviso mi tornò in mente il momento in cui la sera prima quella ragazza si era chinata accanto a me con fare misterioso.
— Giselle...—  sussurrai. Il mio sussurro però non fu poi così personale e Marco sentendomi iniziò subito a bombardarmi di domande.
—Giselle? Fabio chi cazzo è ora questa qua? —
—Mmh... no nulla Marco, nulla. Senti piuttosto...  Per adesso farò finta di avere il braccio ancora messo male per non destare sospetti a nessuno. Dove siamo adesso? E… cosa è successo dopo che sono svenuto? —chiesi.
Marco iniziò quindi a raccontare.
—Ti avevo lasciato a vedere quella stanza, come avevi detto tu, io nel frattempo mi ero messo a scendere le scale. Avevo iniziato a scenderle da pochissimo, circa una decina di scalini quando ho sentito di colpo la tua voce provenire da quella stanza dove eri rimasto. Supponendo che stessi parlando da solo come fai a volte, ho lasciato correre ed ho proseguito scendo le scale dell’ospedale. Non ho incontrato nessuno fino al piano terra. Li ho trovato una signora che se stava su una sedia illuminando il posto con una piccola torcia portatile. Mi sono messo quindi a parlare con lei pensando che potesse sentirsi a disagio in una situazione del genere. Mi spiegò che erano frequenti i blackout lì e quando accadevano situazioni simili i dottori se ne andavano tutti solitamente perché la luce non si poteva ripristinare manualmente fino al giorno seguente qualora accadessi di notte, quindi l’ospedale sarebbe rimasto privo di tutto il personale fino ad oggi. In ospedale di solito non ci sono molti pazienti e se ci fossero stati, durante i blackout venivano trasferiti con le sei ambulanze della croce rossa che si trovava a pochi chilometri dal paese. La signora si trovava lì in quel momento poiché era venuta a fare un’ultima visita alla nipote, morta alcuni giorni prima. Non ha voluto spiegare come e... — parlava lui ma lo interruppi.
—La... nipote? —chiesi dubbioso.
—Si la nipote. Zitto fammi finire—proseguì lui —Mentre parlavo con lei di questa cosa, ho sentito un tuo urlo echeggiare per tutto l’ospedale, al che ho chiesto alla signora di aspettare e sono corso da te. Quando sono arrivato ti ho visto a terra una pozza di sangue. Mi sono bloccato alla vista di quella scena. Non riuscivo a muovere un solo muscolo. Ero lì che non sapevo cosa fare né tantomeno potevo fare nulla. Quella ragazza che avevamo visto dalla sala operatoria ti stava accovacciata sopra in quel preciso istante. L’ho quindi chiamata dicendo “Ehi tu cosa cazzo stai facendo? Vattene!” ma lei non mi ha prestato attenzione e dopo alcuni secondi si è alzata scansandosi leggermente dal tuo corpo e ti ha sussurrato qualcosa all’orecchio. Poi se n’è andata passandomi vicino. Quando l’ho avuta vicina un brivido mi ha percorso la schiena. Freddo. Freddo come non lo avevo mai provato. L’ho seguita poi con lo sguardo finché ho potuto, infine l’ho persa nel buio della zona delle scale. Non ho più nemmeno sentito il rumore dei passi. Sono subito corso da te e vedendo che stavi perdendo molto sangue ti ho preso sulle spalle e ti ho portato il più in fretta possibile giù di sotto, dove mi aspettava la signora. Mi ha aiutato a caricarti sulla sua macchina dove ovviamente ho messo su un telo di nylon per non farla diventare un lago di sangue dato che eri letteralmente una fontana zampillante di emoglobina. Secondo te pensi che ti avrei fatto sanguinare come un maiale scannato sulla tappezzeria? Ad ogni modo la signora mi ha detto dove abitava e siamo andati a casa sua. Siamo arrivati velocemente e ti abbiamo portato su di sopra dove siamo adesso. Tutta l’operazione di sutura e blocco delle ossa rotta con i ferri te l’ha fatta il marito della signora. Dovresti ringraziarlo. Ti ha salvato la vita… se solo non ti fosti salvato da solo non so come— Concluse.
Avevo lo sguardo perso nel vuoto mentre parlava. Lo ascoltavo ma tutti i miei pensieri erano rivolti a quella ragazza dagli occhi viola. Un ronzio echeggiava nella mia testa mentre pensavo a lei. C’era qualcosa in quella ragazza che mi aveva profondamente inquietato e non era di certo il suo aspetto mentre mi prendeva a sprangate oppure mi perforava il braccio. No, non era nulla di tutto ciò. Era qualcosa di molto più inquietante, era come se tra me e lei si fosse creato qualcosa, una sorta di legame ai miei occhi inspiegabile. Ovvio era che non si trattava certamente una relazione amorosa o cose simili, per cui doveva essere qualcosa di forse più profondo e strano di amore o cose simili. Insomma come potevo amarla dopo che avevo visto coi miei stessi occhi il suo vero aspetto e il suo atteggiamento demoniaco. Come si poteva amare una persona poi, dopo averla vista per soli due minuti, tra l’altro due minuti traumatici. Quell’essere non era certamente umano, ed io non l’amavo, ma era successo qualcosa che mi aveva definitivamente legato a lei per il resto della mia vita, o almeno cosi inconsciamente stavo supponendo io. Mentre quel vagone di pensieri mi impegnava la mente, ricordai che la dentro non eravamo soli. Difatti poco dopo la porta si aprì ed entrò nella stanza un uomo anziano. Io mi affrettai a nascondere la guarigione del mio braccio infilandomi di nuovo sotto le coperte e facendo finta di guardare fuori dalla finestra lì vicino. Marco si sedette nuovamente non appena anche lui vide l’uomo.
—Signore, il mio amico si è svegliato da poco, se è possibile vorrebbe poter andare in bagno, dato che sono quasi due giorni che ecco...  diciamo che non si svuota. Si credo sia il termine giusto— Intervenne Marco. Ero dietro di lui e nessuno poteva vedermi bene, cosi alzai il braccio sinistro senza gesso e gli allungai un pizzico fortissimo nella schiena con l’indice ed il pollice, sussurrando poi a denti stretti.
—Marco ma che cazzo stai dicendo!?— Lui però non cedette. La sua soglia del dolore era più alta di quanto ricordassi. Nel frattempo l’uomo chiese a Marco di scostarsi, per potermi vedere. Marco esaudì la richiesta ed il vecchio si avvicinò verso me. Mi guardò di sottecchi, ed io non sapendo cosa fare di preciso mi sforzai a fare la mia faccia più stravolta dal dolore ed anche non scontata possibile. Il vecchio mi fissò gli occhi alcuni secondi, ma io non resistetti tutto quel tempo e distolsi lo sguardo dopo poco. Lui fece un sorriso e mi porse la mano in segno di farmi alzare. Io gli porsi la sinistra quasi automaticamente e lui mi tirò su con un’energia impressionante, quasi inumana. Inumana, si questo era il termine che più si addiceva a tale energia. Per un momento credei persino che mi volesse prendere in braccio. Mi ritrovai quindi in piedi più velocemente di quanto immaginassi. L’uomo era poco meno basso di me, ed aveva un corpo alquanto esile, per cui mi domandai come poteva essermi riuscito a tirarmi su con tale facilità. Io pesavo sui novanta chili ed ero alto sul metro e novanta, per cui era tecnicamente impossibile.
—Ragazzo, come va il braccio? Fa male? — Chiese lui improvvisamente.
—Beh, si, abbastanza, ma lei vedo che ha fatto un ottimo lavoro, era un dottore per caso? — Chiesi come risposta, facendo una voce leggermente sofferente. Passò qualche attimo in cui l’anziano ebbe lo sguardo fisso sul braccio. Poi si decise a rispondere.
—Diciamo... di si ragazzo, ero tipo un dottore…— disse con voce pacata e un leggero sorriso, mentre mi guardava il volto.
—Tipo un dottore eh… ok. Beh adesso se non le dispiace vorrei andare in bagno, come ha detto questo qua— indicai Marco —ho bisogno di ecco… svuotarmi— conclusi facendo un leggero sorriso.
—Prego, il bagno e in fondo al corridoio sulla sinistra, Quarta porta. Non aprire la terza, te ne sarei grato... — rispose lui girandosi di spalle ed andando a prendere un bastone appoggiato ad un camino a legna in fondo alla stanza che prima non avevo notato. Lo guardammo e lui come se si fosse accorto delle nostre attenzioni, chiarì immediatamente la questione.
—Figlioli, sono anziano... ho bisogno di un po’ di sostegno, non ho la fortuna di guarire immediatamente da tutti i miei mali come voi giovani—
La cosa che mi incuriosì e mi inquietò al contempo, fu il suo marcare appositamente la parte della frase nella quale citava la guarigione rapida.
Un brivido mi percorse la schiena. Se aveva capito quello che mi era successo, ci sarebbero stati sicuramente una serie di inconvenienti, ma quali potessero essere, in quel momento non avrei saputo dirlo con certezza.
Così mi incamminai verso la porta e quando afferrai la maniglia, un colpo mi arrivò dritto nel braccio destro sopra al gesso ed alle bende.
—Oh cazzo ma cosa sta facendo!?— esclamò Marco. —Non ha visto quel braccio ieri sera? Cristo ma è impazzito!?— continuò. Io non feci una piega in quel momento mentre il mio sguardo divenne cupo e la mia espressione divenne quasi grottesca. Mi accorsi che ancora appoggiato al mio braccio ingessato c’era il bastone del vecchio e proprio dietro di me l’uomo che lo teneva in mano. Mi voltai lentamente verso di lui e lo fissai con aria stupefatta ma non troppo. Non c’era dolore nella mia espressione, né tantomeno paura. Mentre invece l’espressione dell’uomo era quasi divertita, ma al contempo era seria.
—Caro il mio ragazzo, credevi che in tutto questo tempo non me ne fossi accorto? Sai come si dice... la vecchiaia porta saggezza...— disse con un sorriso.
—Sinceramente speravo che non si fosse accorto di nulla, ma la cosa mi pareva un po’strana. Non è poi così anziano nemmeno mentalmente come pensavo...— dissi in tono sarcastico, e distolsi lo sguardo altrove.
—Ora… mi sa spiegare questo?— chiesi, e lentamente mi tolsi il gesso ormai rotto dalla bastonata. Non appena lo sfilai però il sangue mi si congelò di terrore nelle vene mentre Marco portò le mani nei capelli e inizio a ripetere continuamente “Oh merda” svariate volte. L’unico che sembrava non essere sorpreso era il vecchio che stava a guardare la scena appoggiato con entrambe le mani sul bastone.
—La prego… cos’è successo, la prego me lo spieghi!— lo implorai osservandomi il braccio.
Era diventato quasi totalmente nero, o meglio, era solcato da righe nere e spezzate, estremamente intricate tra loro come un labirinto, ma se non si badava a questo incredibile ed irreale “dettaglio”, il braccio era completamente integro Ne un foro, né ossa spezzate, tagli, graffi, assolutamente nulla. Le righe si fermavano all’altezza del polso dove sembrava che si unissero in piccoli triangoli equilateri la cui punta volgeva verso le dita. Probabilmente era proprio per questo che fino ad allora ne io ne Marco ci eravamo accorti di nulla, dato che la mano era rimasta completamente normale, priva dei segni presenti adesso sull’avambraccio e buona parte del braccio.
—Beh caro ragazzo, si potrebbe dire che hai un leggero problema, che attualmente non posso risolvere. Però possiamo parlarne civilmente dopo pranzo giù di sotto, dato che adesso devi andare a… svuotarti... oppure se preferisci possiamo direttamente ucciderti prima che sia troppo tardi e scongiurare un eventuale pericolo per tutti quanti, che ne dici? — sorrise il vecchio rispondendo alla mia precedente domanda.
—U-ucciderlo? — balbettò Marco.
—Certo, ma non credo che al tuo amico qua vada bene, per cui tu— disse il vecchio rivolgendosi a Marco— vieni giù con me, il pranzo è già pronto, aspetteremo che il tuo amico si sia svuotato e poi mangeremo — Concluse.
Marco annuì dopo alcuni attimi, ma come avevo intuito, lo fece controvoglia, così entrambi se andarono ed io mi ritrovai solo nella stanza. Mi soffermai alcuni secondi a pensare a cosa poteva essermi accaduto. Tutto si poteva, anzi, si doveva ricollegare ai fatti accaduti la sera prima con quella ragazza dopo che mi aveva ridotto in fin di vita. Ma adesso non comprendevo come il mio braccio potesse essersi ridotto in quel modo. Così con queste domande in testa mi incamminai verso il bagno, aprii la porta di camera e fui subito nel corridoio. Era buio. Ma al contrario dell’ospedale, era caldo, e quel tepore mi rassicurò ulteriormente. Mi mossi lentamente in direzione del bagno sul fondo, e ad ogni passo uno scricchiolio lieve si udiva sotto i miei piedi accompagnandomi fino di fronte alla porta del bagno. Quando fui però davanti alla porta che il vecchio mi aveva imposto di non aprire, esitai leggermente sul proseguire il mio cammino verso il bagno, e iniziai a pensare a svariate cose. Tra queste c’era l’interrogativo sul perché tenere chiusa quella porta. La curiosità mi attanagliava e misi una mano sul pomello dorato rifinito con alcuni motivi floreali. Lentamente e quasi inconsciamente, cominciai a girarlo come se stessi cercando di aprirlo, ma ad un certo punto udii la voce del vecchio provenire dal piano terra.
—Come ti ho detto ti sarei grato se tu non aprissi quella porta, veramente, mi faresti un gran favore, e non solo a me, ma a tutti quanti i presenti qua, e nei dintorni. — La sua voce era severa e rigorosa, e non mi volli opporre al suo volere. Non appena tornato in me, dopo quella sorta di breve ipnosi da parte di quella misteriosa stanza e dopo essermi nuovamente soffermato a pensare come quell’uomo avesse capito che volessi entrare in quel luogo enigmatico, proseguii finalmente  verso il bagno. La porta era identica all’altra, stesso pomello, stesse decorazioni, stesse venature sul legno della porta stessa. Insomma, sembrava quasi che le avessero clonate in qualche modo. Aprii la porta provocando un leggero ed inquietante scricchiolio dei cardini. Forse avevano solo bisogno di un po’ d’olio, pensai tra me. Così mi ritrovai nel bagno. Esso era assurdamente enorme, nemmeno la villa poteva vantare una simile estensione solo per un bagno. Aveva una vasca enorme sul lato sinistro della stanza, e sul fondo ce n’era ancora un'altra, circondata da tende viola, molto simili a quelle che circondavano il letto di Anna. C’era sul soffitto un lampadario enorme, spiovente, e con delle gocce pendenti fatte di diamanti, oro e rubini, il tutto sormontato da circa una trentina di classiche lampadine lunghe ed a punta. Sul lato sinistro, invece, si trovava il lavandino e sopra di esso appeso al muro, un enorme specchio dallo stile molto antico, forse del diciottesimo o diciannovesimo secolo, con ampie decorazioni floreali in ferro battuto, anch’esse molto simili a quelle che avevo notato sul pomello della porta. Così mi avvicinai lentamente al lavandino dove mi appoggiai colto improvvisamente da un senso incredibile di svenimento e nausea. Abbassai lentamente lo sguardo verso il basso mentre i miei occhi si focalizzarono sul braccio pieno di quei solchi e righe nere e mentre accadeva ciò, la vista si abbuiava lentamente e mi sentivo la testa sempre più leggera ma nel contempo, sentivo una sensazione di compressione sempre più forte e intensa. In quel momento udii nuovamente una voce. Non mi era affatto nuova. Era una voce di ragazza, delicata ma al contempo crudele. Era lei.
Una leggera aria fredda mi congelò la schiena e lentamente alzai lo sguardo verso lo specchio che mi si ergeva davanti. La vista si fece nuovamente nitida e poi infine la vidi riflessa sul vetro. Giselle. Era dietro di me, col solito lungo vestito rosa, e i soliti occhi viola che fissavano i miei riflessi sul vetro. Aveva il solito sorriso da Monna Lisa, intrigante, felice e terrificante al tempo stesso.
—Che bello rivederti dopo tutte queste ore, Fabio, credevo fossi morto… anzi probabilmente lo eri ed adesso non lo sei più— Sussurrò lei quasi divertita avvicinandosi.
—Vattene mostro, sparisci dalla mia vista, non voglio avere nulla a che fare con te, dopo tutto quello che mi hai fatto passare!— esclamai a denti stretti e con uno sguardo infuriato. Vidi nel riflesso dello specchio la sua figura che si avvicinava ancora a me, cosi mi voltai e con il braccio pieno di righe nere, fui pronto ad afferrarla, ma lei non era lì. Rimasi a bocca aperta, e mi voltai di scatto verso lo specchio di nuovo.
—Io non sono qua, mio piccolo ometto. O meglio ci sono, e non ci sono, a te la scelta sulla mia presenza— Disse con voce sensuale. Venni preso dall’ira in quel momento. Avevo tutto da rinfacciare a quel mostro, tanto che in uno scatto di rabbia sferrai un pugno allo specchio frantumandolo in microscopici pezzi che mi si conficcarono nella carne del braccio marchiato da quelle righe nere. Incredibilmente però, la ferita si rimarginò dopo alcuni secondi di dolore lancinante. Il sangue non usciva nemmeno più, ma quelle riner si erano come animate in quel preciso momento. Restando ben salde al braccio, fu come se si allungassero ed in breve raggiunsero le schegge di vetro, inserendosi sotto di esse e facendole fuoriuscire dalla carne della mano. Una volta rimossi tutti i corpi estranei, le righe nere tornarono lentamente alla loro forma e posizione iniziale come se nulla fosse accaduto. Fissai la scena incredulo.
—Cosa mi hai fatto?!— esclamai impaurito e infuriato.
—Oh vedrai, vedrai, diciamo che… ti ho reso molto simile a qualcosa di non comune, molto simile a me, o qualcun altro, ti ho in un certo senso, salvato da tanti possibili pericoli… anche se paradossalmente se mi aiuterai, ti si presenteranno altrettanti e ben peggiori di me ma… per adesso, puoi essermi grato...— con questo la voce di Giselle sparì ed io rimasi solo a fissare ciò che era appena successo.

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