Capitolo 3 - Borgo Davanzati

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Ero da poco sceso in soggiorno, ed appena vidi il vecchio, gli spiegai che ero inciampato e per non cadere mi ero appoggiato troppo pesantemente allo specchio rompendolo. Il vecchio mi guardava con aria a metà tra l’indifferente e lo spensierato, come se già fosse al corrente di tutto. Non riuscivo a comprendere a fondo quell’uomo. Aveva un alone di mistero attorno che non riuscivo a spiegarmi.
Dopo alcuni attimi di silenzio, in cui io ero di fronte a lui e Marco dietro di noi, già seduto a tavola nell’attesa del pranzo, l’uomo parlò.
—Va bene, non c’è problema, ne ricompreremo uno nuovo, tanto era vecchio. Ma sai che romperne uno porta sfortuna vero?—  disse guardandomi.
— Si ma solo se rotto per caso… — dissi io prontamente per rispondere. Improvvisamente, mi resi conto di aver rivelato involontariamente l’accaduto rivelando di averlo rotto intenzionalmente e non casualmente. Il vecchio sorrise e si mise a capotavola. Io indugiai, ma poi decisi di sedermi accanto a Marco, che mi fissava il braccio con sguardo assente. Improvvisamente un odore di carne cotta inondò le narici ed un’anziana signora venne verso di noi con un vassoio sul quale un arrosto che aveva un aspetto fantastico, trovava posto assieme a patate al forno ed insalata. Supposi fosse pollo e quell’odore invitante mi fece dimenticare per brevi attimi tutti i problemi avuti fino ad allora e mi fece dimenticare anche la cena preparatami da Miriam la sera prima.
In quel momento stavo veramente sperando che tutto quello che stava accadendo fosse un incubo che stavo avendo a causa proprio della cena preparatami da Miriam e che probabilmente mi era rimasta sullo stomaco. Quindi, appena realizzai che tutto ciò era tristemente la realtà, presi forchetta e coltello ed attesi che mi venisse servito il pranzo da quella simpatica signora.
—Per favore Maria, puoi servire il pranzo ai nostri ospiti?— chiese il vecchio. La signora annuì ed a me e Marco lasciò un pezzo abbastanza grosso di pollo nel piatto con estrema delicatezza.
—Se posso chiedere... — iniziai io— perché ci da tutte queste attenzioni, cioè io e il mio amico qua, siamo due perfetti sconosciuti per lei e per sua moglie...— conclusi. Il vecchio scoppiò in un’enorme risata.
—Figliolo devi aver capito male, Maria non è mia moglie, lei e la donna delle pulizie. —
Rimasi attonito. L’uomo per potersi permettere una donna delle pulizie era evidentemente benestante, molto benestante. —Ad ogni modo...— proseguì lui — mia moglie è al piano di sopra che si sta riposando, vi sarei grato se non disturbaste molto con la voce per non svegliarla, sapete stiamo passando un brutto periodo...—Il vecchio abbassò la testa dopo questa frase e notai un leggero sorriso sulle sue labbra. Marco mi guardò e capì che io non avevo compreso a cosa si riferisse il vecchio con “Un brutto periodo”.
Marco mi guardo alcuni attimi, e poi si avvicinò con la bocca al mio orecchio.
—Si sta riferendo alla nipote...— sussurrò. Io alzai di colpo la testa ricordando quello che poco prima mi aveva detto su di sopra prima che arrivasse il vecchio. Standomene zitto, e a testa bassa, iniziai a mangiare. Quel cibo era buonissimo, ma quel meraviglioso momento di delizie culinarie venne interrotto dalla voce dell’anziano.
—Allora, Fabio, ti chiami così giusto?— Mi chiese lui.
—Esatto, ha capito bene — risposi in maniera servile —E lei signore potrei avere l’onore di sapere il suo? — ribattei io.
—Oh, mio caro ragazzo, non è importante il mio nome, chiedere il nome a me è come chiedere l’età ad una signora, per cui, lascia perdere, non lo saprai mai direttamente da me — Disse lui, azzittendomi in maniera impeccabile —ora però , se possiamo proseguire, ti vorrei spiegare qualche cosa che quasi certamente non sai riguardo a questo posto.— Disse lui. Cosi io annuii e posai sul tavolo il pezzo di pollo che tenevo in mano come una bestia e pulendomi la bocca e le dita con il tovagliolo in pizzo alla mia destra, iniziai ad ascoltarlo.
—Dovete sapere che questo posto viene chiamato Selva del Promontorio. Il suo vero nome però è Borgo Davanzati. Questo piccolo borgo è stato costruito nel diciottesimo secolo, come tributo all’arcivescovo Giuseppe Davanzati. Non molti conoscono questo luogo, infatti mi chiedo come siate potuti finire qua. Adesso sono certo che vi starete chiedendo perché questo luogo sia sconosciuto a molti e inoltre sia dedicato a un arcivescovo del quale dubito che voi abbiate mai sentito parlare. E magari anche il motivo per cui il paese non venga chiamato col suo nome, ma con un altro ancor più strano. Dico bene? Suppongo proprio di sì.  Vedete Davanzati fu uno dei primi, se non il primo uomo che in Italia si interessò di vampirismo e teorie dell’occulto. Scrisse un libro, che venne pubblicato in un’edicola di Napoli molto famosa in quel periodo. Ed è sempre in quel periodo che Davanzati arrivò per la prima volta in questo posto sperduto. Dovete sapere che dove adesso si erge il paese, una volta si trovavano solo alcune case ammucchiate tra di loro, e circondate dalla più fitta vegetazione che voi possiate immaginare. La gente che abitava qua, era gente semplice, cacciatori per lo più, pellai, cuochi, massaie, e alcuni contadini. Ma tutto il luogo era dominato principalmente da una sola ed unica famiglia. Essa era una famiglia nobile, potente ma soprattutto pericolosa. Secondo i racconti degli abitanti del luogo essi appartenevano ad una razza diversa dalla nostra, una razza superiore, che coesiste con la nostra fin dalla notte dei tempi. Vampiri li chiamano. Io più semplicemente li chiamo mostri. Si, mostri perché è il termine che meglio li identifica all’interno del mondo, del nostro mondo. Quella famiglia aveva a suo tempo un enorme potere tra le sue mani, dovuto principalmente al fatto che potevano intimorire i poveri abitanti di questo luogo come meglio credevano e volevano. Essi abitavano nella villa che adesso è disabitata in cima al promontorio. Essa si trovava in quel punto proprio per avere un senso di perenne controllo su ciò che accadeva al di la del bosco nonostante il villaggio si trovasse molto distante. Ma la distanza secondo i racconti dell’epoca non era un problema. I vampiri hanno una capacità alquanto strana, ovvero quella di poter vedere a grandi distanze. È una delle loro innumerevoli abilità da mostri. Noi comuni mortali non possediamo tali poteri che si possono ottenere solamente entrando in contatto col demonio e dando via la nostra anima come se nulla fosse, non dico forse bene? A loro bastava salire nell’enorme salone al terzo piano della villa e dare un’occhiata fuori per capire se tutto andava bene. Nessuno li aveva mai visti bene in volto però. Si dice che le loro visite erano molto frequenti in paese, e che alla fine di tutto, non erano malvagi come persone, tranne quando subivano un torto da parte di qualcuno, o un’offesa. Come stavo dicendo però, nessuno li aveva mai visti in volto, perché secondo i racconti indossavano sempre una maschera bianca, viola, o rossa. Nessuno riusciva a spiegarsi il perché di tutto ciò, finché un giorno, non arrivò al villaggio un arcivescovo, Davanzati, che si insediò in zona per alcuni mesi, ospitato da una famiglia di cacciatori. Davanzati doveva stare ben nascosto se non voleva essere ucciso. Infatti ci viene detto che i vampiri non apprezzano i servi del Signore, e se riescono ad avvicinarsi a loro, molto spesso questi fanno una brutta fine. Ma non fu il caso di Davanzati. Riuscì a non farsi notare per alcuni mesi, prendendo appunti e facendo degli schizzi di disegni sui vampiri sul suo blocco che portava ovunque. Egli aveva viaggiato per molti luoghi, anche oltre l’Italia, informandosi molto bene sui vari tipi di creature della notte che popolavano le culture e le credenze locali. Giunse infine a conclusione che i vampiri che abitavano quel luogo, erano vampiri appartenenti alla famiglia dei Nosferatu. Secondo Davanzati, i Nosferatu dovevano camuffare in presenza degli altri, ma non di quelli della loro specie, il loro vero aspetto, generalmente con una maschera. Se venivano in contatto con qualcuno, o qualcuno li vedeva senza maschera, il loro aspetto diventava agli occhi orribile, inguardabile. I loro corpi si deformavano incredibilmente. Ma nonostante il loro aspetto, essi possedevano una forza disumana e una grande forza ammaliatrice soprattutto verso la razza umana. L’arcivescovo non appena carpite tutte le informazioni necessarie su di loro, si recò a Roma, con la promessa di tornare con una soluzione ai problemi del villaggio. La soluzione era quella di chiedere al Papa il permesso di poter estirpare da quel posto il male che l’avvolgeva. Concessogli questo potere l’uomo tornò con alcuni cardinali in quel villaggio dove si nascose per alcuni giorni per organizzarsi. Ma l’impresa si rivelò più dura del previsto. Inizialmente Davanzati si recò con le buone maniere alla villa della famiglia in vesti semplici, per non far capire la loro natura da uomini religiosi. La famiglia secondo la storia, era composta da sei membri. Il padre, la madre, tre figli e un quarto che stava per nascere. I vescovi vennero accolti dalla famiglia che portava rigorosamente la maschera. Alla domanda sul perché della maschera, essi risposero che avevano un difetto di famiglia, per cui i loro volti erano purtroppo pieni di rughe e piccole cicatrici. Gli uomini capirono subito che si trattava di una menzogna, cosi non chiesero altro e dopo alcuni scambi di opinione se ne andarono. I giorni seguenti uno dei vescovi volle ritornare alla villa da solo, invaghitosi di una delle figlie della famiglia. Sapeva bene l’invaghimento per quel mostro andava sia contro la sua vocazione, che contro anche la sola natura umana, ma ormai era troppo infatuato. Si recò quindi alla villa per vederla in uno dei giorni in cui la famiglia faceva visita al villaggio. In casa si trovavano solo i figli. Uno di pochi anni, forse tre o quattro, l'altro di ventitré e la figlia di quindici. Preso dalla foga entrò nella casa e non appena trovata la ragazza la prese di peso e la portò in camera da letto, iniziando a spogliarla, a baciarla e leccarla ovunque, i seni, le gambe le braccia. Dopodiché iniziò a violentarla. Nel momento in cui avveniva ciò entrò il fratello maggiore allarmato dalle grida. Vista la scena prese di peso il vescovo e lo scaravento addosso al mobile di legno, che cedette sotto la grande botta ricevuta dal corpo dell’uomo. Ma mentre il fratello lo aveva preso per scaraventarlo via, il vescovo si era attaccato per errore alla maschera della ragazza portandola via. Quando l’uomo si riprese, vide davanti ai suoi occhi una visione orrenda. La ragazza, prima bella dolce e delicata, era adesso un demone con tralci di pelle qua e la, ossa scarnificate, bulbi oculari vuoti, brandelli di budella che fuoriuscivano dal corpo e quant’altro. Preso dalla paura, il prete arretrò come possibile verso il muro. In quel momento anche il fratello si tolse la maschera rivelando il suo vero aspetto, simile a quello della sorella. Si avvicinò così al vescovo con l’intenzione di ucciderlo senza alcun dubbio, ma quest’ultimo fu più veloce. Estrasse dalla tasca della tonaca li vicino una croce di legno e la protese verso il mostro. Esso rise alla vista della croce, dicendo che quelle cazzate non gli avrebbero fatto nulla di nulla e che Dio non lo avrebbe certo aiutato. Nell’incredulità del momento, il vescovo si alzò e corse incontro al vampiro, che lo afferrò prontamente per il collo sollevandolo come fosse una piuma, dimostrando la sua abnorme forza inumana. Ma il vescovo presa la croce di legno, la spezzò fracassandola sulla testa del vampiro e mirando piu in basso con quel mozzicone, la conficcò dritta nel cuore esposto del mostro. Esso con un grido di dolore, lasciò a terra l’uomo e morì dopo alcuni attimi di agonia e di urla strazianti e assolutamente inumane. Il vescovo divertito e compiaciuto per il suo lavoro, contemplò la scena e si diresse verso la ragazza, riservando lo stesso trattamento pure  a lei, e per concludere, si recò nella stanza più piccola, quella del bambino e con freddezza e assoluta crudeltà, martoriò il corpo del piccolo facendolo a brandelli e infine gli trapassò il cuore come in precedenza con i due fratelli. Fatto ciò si reco al villaggio e spiego l’accaduto ai collegi. Essi capirono il danno che aveva provocato con un tale affronto alla famiglia e si adoperarono a dare l’allarme in tutto il villaggio, ordinando di costruire delle fortificazioni provvisorie come meglio potevano. Così fu e in poche ore il luogo venne circondato da palizzate di legno acuminate, che forse sarebbero bastate a proteggere tutti dai superstiti della famiglia. Calarono le tenebre e verso le undici si iniziarono a sentire le prime urla provenienti dal bosco. Erano urla di rabbia e di dolore, anche queste dal carattere inumano. Tutti gli abitanti, donne e bambini compresi si erano adoperati ad imbracciare le armi dei cacciatori o strumenti che potevano essere usate come arma per ribaltare il dominio di quei mostri. I vescovi e Davanzati invece erano all’ingresso del villaggio con la Bibbia in mano che recitavano preghiere contro il demonio. D’un tratto si trovarono davanti quegli esseri con la loro vera forma. Il padre assomigliava ad un vero demonio. Gli erano rimasti due piccoli bulbi rossi e verdi nelle cavità oculari e ciò gli dava un carattere ancor più demoniaco. La madre invece era priva di pelle e aveva qualche brandello di carne qua e la, e nella sua pancia si poteva scorgere l’utero che faceva strani movimenti. Esso conteneva il figlio che sarebbe dovuto nascere di li a poco. Il padre imbracciata una falce che portava dietro di se, fu il primo ad attaccare i vescovi, mozzando di netto arti e collo a quasi tutti e passando successivamente agli abitanti e facendo stragi anche tra di loro, uccidendone circa una trentina. Ma esso nonostante la sua immane forza, venne sopraffatto da tre possenti uomini armati accetta, che fecero a pezzi il suo corpo per poi infine dargli fuoco e trapassando il cuore con un palo in legno. La madre nel frattempo era fuggita, ma venne inseguita da Davanzati che tornò dopo poco tempo al villaggio recando in mano il cuore della donna, che bruciò recitando una preghiera davanti a tutto il villaggio. Cosi gli abitanti dopo quel giorno edificarono delle mura e ricrearono il villaggio, trasformandolo in un borgo, che venne chiamato in onore del suo salvatore, Borgo Davanzati. Da quel momento non si hanno avute mai più notizie sui vampiri qua, ma Davanzati raccontò anni dopo in una sua visita al villaggio, che quando uccise la donna essa creò una sorta di maledizione su coloro che avrebbero abitato la sua dimora in cui la sua famiglia era stata distrutta. Lo sfortunato che fosse entrato per caso nella casa e che in seguito fosse entrato in contatto anche con un figlio di Nosferatu, avrebbe recato il marchio dei maledetti a vita, che lo avrebbe portato a vita a compiere azioni estremamente malvagie contro le persone che ama. Dopo quest’ultima visita Davanzati non si vide mai più qua, ma da quel che sappiamo, attualmente è considerato il padre dello studio sul vampirismo in Italia. So mio caro figliolo che non crederai a tutta questa storia, ma fidati se ti dico che quei brutti segni che hai sul braccio, altro non sono che il marchio dei maledetti di cui parlava Davanzati. Tu, Fabio, sei entrato in contatto con un figlio di Nosferatu, e a mio malgrado devo dirti che le cose per te, per il tuo amico, e per le persone che ami. Non si mettono affatto bene —concluse il vecchio dopo aver fatto una lunga pausa mentre il silenzio avvolgeva adesso l’intera stanza.

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