eleven

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'l'umana felicità ha sede nell'anima, non nel corpo'

                                                                                                 *seneca*

lo straccio con cui mi avevano imbavagliato sapeva di catarro rancido, più volte,quando per puro sbaglio la mia lingua lo sfiorava,   cercavo di contenere un conato di vomito.

l'odore inconfondibile di muffa, mi era amico per più di un mese, mi inondava le narici.

il mio corpo pregava affinché questa tortura finisca, era preda di tremoli primitivi e potenti al altezza dell'addome.

la vita sembrava scorrere, eppure in quel luogo,ero solo io,nessuno è venuto, tranne per anne che veniva per controllare le garze, o darmi un tozzo di pane.

sembra che la vita a corte andava a gonfie vele,ogni sera sentivo urla e musica fino al sorgere del sole, ciò mi irritava perché non riuscivo a dormire,le occhiaie avevano scavato il mio candido viso,lo vedevo attraverso gli occhi  di anne, che ogni volta che veniva, cercava di celare il suo  stato emotivo con scarsi risultati.

dell'aria gelida filtrava tra le piccole fessure di quella prigione per topi, mentre i rumori assordanti fracassavano i miei timpani e l'aria di festa dominavano l'atmosfera.

ero distesa su un fianco, su un letto di pagliericcio,non potevo nemmeno stendere le gambe,lo spazio era cosi ristretto da impedirmi gran parte dei movimenti.

quella posa mi logorava l'anima, insinuandosi fra le mie ossa.

quel giorno c'era grande attività a palazzo, io ero coperta da una misera 'coperta' se si può definire tale.

lo stomaco mi brontolò,chissà quando avrò sgranocchiato qualcosa,l'ultima volta che aprì gli occhi c'era dello stufato fumante di anne, fin'ora ho rifiutato tutti pasti.

ero confusa, la mia mente in quei attimi di lucidità, si rifiutava a collaborare e venivo  ricompensata con delle fitte fastidiose  che mi impedivano di concentrarmi a dovere.

questo le servì a una cosa:pensare come uccidere quel mezzo damerino da quattro soldi,le sue ferite  erano ancora aperte, ad un ogni movimento gemeva di dolore,fu questo che le ricordò  colui che aveva dato l'ordine di frustarla.

chi aveva provveduto  a curarla?si domandava invano,senza alcuna risposta.

un dolore alla schiena , la fece gemere immediatamente,le sue palpebre calavano poco a poco, nascondendo quella bellezza celestiale che celavano . Tra tutti i mali, quello era il peggiore :uno strazio angoscioso.

non voleva ripiombare nell'oblio, desiderava restare vigile, capire le dinamiche e doveva sapere colui che l'aveva medicata.

le forze frettolose   l'abbandonavano, anziché combattere, si lasciò andare , il corpo fremeva di spasmi, i suoi polmoni faticavano ad esalare perfino un respiro.

indolenzita e priva di energia, si accasciò nella sua nuova tana.



                                                                                         *********

erano settimane che il re non dava notizie e girava la voce che  fu scomparso la stessa notte che venne imprigionata lia.

c'era qualcuno che giurava di aver visto un maestoso lupo nero con due  occhi color rubino che gironzolava nei dintorni delle mura,altri affermavano che fosse partito per un viaggio d'affari fuori il regno.

le voci più destabilizzanti, erano quelle che circolavano su un presunto rapimento.

neppure la madre, ophelia, giustificava l'assenza del figlio,insomma il nostro caro joshua era sparito senza far trapelare alcun indizio sulla meta.

lia fu finalmente fatta uscire dalla gabbia di uccelli,che fungeva da dimora.

riprese le proprie faccende facendo sparire il suo sorriso pieno di allegria verso anne, era cambiata,  lo stare da soli lo ha fatto ; è nella solitudine,  scevra di ogni condizionamento, che ognuno può ritrovarsi e conoscere appieno se stessi. 

ha saputo stare sola, ha imparato a convivere con le sue paure, quindi non starà mai a barattare la sua solitudine, la  sua pace  con rapporti di circostanza, né con persone che cercano compagnia perché hanno paura del vuoto.

lia ringraziò il cielo che il re non si era mostrato,nonostante le fosse  indifferente , si nascondeva negli angoli più oscuri, cercando di captare qualche informazione.

la notizia le  venne raccontata da anne : il re è stato avvelenato da una freccia, è ancora sconosciuto il muovente ;lia sentendo quella confessione non fece che gioire, era la sua giusta punizione, eppure infondo le dispiaceva, e molte volte , in effetti ,la colpa che aveva , è il senso di colpa che non avrebbe dovuto avere.

era sopraffatta da cosi tanti emozioni, sopratutto dall'ira per colui che aveva sterminato la sua famiglia, torturata. No, non era lei, non era la dolce liana che perdonava gli altri, aveva dimenticato ciò che sua nonna le insegnò sull'ira,un essenza dominata dalla bramosia di punire, che non sarà mai conforme alla natura dell'uomo nutrire nell'anima tale essenza; l'uomo è un essere pacifico fonda le sue azioni sulla bontà e la concordia.

Più i giorni passavano e più la situazione peggiorava, nessuno osava entrare nelle stanze del re, per motivi a lei sconosciuti, sapeva solo che al personale  di sevizio era vietato entrare nelle stanze del re, e di non girovagare al calare del tramonto.

Lia aveva un senso di angoscia che creava un vuoto nel suo  stomaco, sopratutto quando dalle stanze del re entravano giovane ragazze, che l'indomani sparivano; un fatto molto strano che fece incuriosire ancora di più la giovane fanciulla. la situazione precipitò una  mattina , mentre  Lia puliva il marmo dell'immenso corridoio, vide alcune serve uscire con dei cesti di panni sporchi  di sangue, le seguì rimanendo a debita distanza fino al fiume. spalancò gli occhi quando scorse un abito femminile colore lavanda, fu percossa da un dolore ricordo, era lo stesso abito di una delle  ragazze che entrò nelle stanze del re la sera precedente ;un brivido di terrore le scosse le viscere,non poteva essere, si rifiutava di crederci.

 ritornò alle sue faccende, finì di  pulire in fretta e furia con uno sguardo assente, avrebbe scoperto cosa stava accadendo all'interno di quelle mura.

al calar della sera, si rassicurò che tutti fossero andati a dormire,sgattaiolò dalla propria stanza ,e fece la cosa più insensata al mondo,decise di raggiungere le stanze del re.

eppure senza nemmeno accorgersene, aveva deciso il suo fato: avrebbe trovato il re e  lo avrebbe aiutato.


LA SCHIAVA DELL'ALPHADove le storie prendono vita. Scoprilo ora