CAPITOLO 23 "Sotto l'ombrello"

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Mentre Laurie e Amy facevano passeggiate su tappeti di velluto, mettevano la casa in ordine, e progettavano un futuro di felicità, il signor Bhaer e Jo godevano a fare passeggiate di un genere diverso, lungo strade fangose e campi verdeggianti. «Faccio sempre una passeggiata verso sera, e non capisco perché dovrei rinunciarvi, solo perché mi capita spesso di incontrare il professore sulla mia strada», si disse Jo, dopo due o tre incontri. Infatti, sebbene vi fossero due strade per arrivare da Meg, qualunque prendesse era sicura di incontrarlo, o nell'andare o nel tornare. Egli camminava sempre rapido, e mai sembrava accorgersi di lei finché non le arrivava proprio vicino, quando era lecito pensare che la sua miopia gli aveva impedito di riconoscere la signorina fino a quel momento. Allora, se lei andava da Meg, egli aveva sempre qualcosa per i piccini, se invece era diretta a casa, egli era giusto uscito un momento a far due passi lungo il fiume, e stava appunto per tornare indietro, a meno che non fossero stanchi delle sue visite frequenti. Stando così le cose, che poteva fare Jo se non salutarlo cortesemente e invitarlo a entrare? Se quelle visite l'avevano stancata, ella lo nascondeva molto bene, con un'abilità perfetta, e si prendeva sempre cura che ci fosse caffè a pranzo, «poiché a Friedrich – cioè il signor Bhaer – non piace il tè». Dopo due settimane tutti avevano perfettamente capito quello che avveniva; ma tutti cercavano di far finta di essere ciechi al mutamento avvenuto nel volto di Jo. Non le chiedevano mai perché cantava mentre lavorava, perché si pettinava tre volte al giorno, e perché tornasse così raggiante dalla passeggiata serale; nessuno sembrava nutrire il minimo sospetto che il professor Bhaer, mentre discuteva di filosofia con il padre, stava dando alla figlia lezioni di amore. Jo non era nemmeno capace di perdere la testa in modo normale, ma cercava con tutta severità di smorzare i suoi sentimenti; e non riuscendovi, conduceva una vita piuttosto agitata. Aveva una paura mortale di essere presa in giro per la sua resa, dopo le numerose e veementi dichiarazioni di indipendenza. Laurie in special modo era il suo spauracchio; ma grazie alla sua nuova guida, egli si comportava con lodevole correttezza; non chiamava mai il signor Bhaer «un vecchio simpaticone» in pubblico; non alludeva mai, nemmeno nel modo più vago, al miglior aspetto di Jo, né esprimeva la minima sorpresa se vedeva il cappello del signor Bhaer sulla tavola dell'anticamera dei March quasi ogni sera. Ma nell'intimo esultava e pregustava il momento in cui avrebbe potuto regalare a Jo un piatto con su inciso un orso e un bastone come appropriatissimo stemma araldico. Per una quindicina di giorni il professore comparve con la regolarità di un innamorato; poi non si fece vedere per tre lunghi giorni, senza dar segno di sé, un procedimento che fece diventare seri tutti e che rese Jo dapprima pensierosa e poi, ohimè, veramente intrattabile. «Si è seccato. Forse se n'è andato all'improvviso come è venuto. Per me non è nulla, naturalmente; ma direi che avrebbe dovuto venirci a salutare come una persona educata», si disse in un tetro pomeriggio, lanciando uno sguardo disperato al cancello, mentre si vestiva per la consueta passeggiata. «Faresti meglio a prendere l'ombrello, cara: ha l'aria di voler piovere», le disse la mamma, notando che si era messa il cappellino nuovo, ma senza dire niente. «Sì, mamma. Hai bisogno di qualcosa in città? Devo andare a comperare un po' di carta», rispose Jo intenta ad annodarsi il nastro sotto il mento davanti allo specchio, in modo da evitare lo sguardo della mamma. «Sì, un po' di cotonina, una cartina di aghi del numero nove e due metri circa di nastro color lavanda. Ti sei messa le scarpe pesanti, e qualcosa di caldo sotto al soprabito?» «Mi pare di sì», rispose Jo distratta. «Se per combinazione incontri il professor Bhaer, invitalo a casa per il tè. Non vedo l'ora di vedere quella cara persona», soggiunse la signora March. Jo udì ma non diede risposta, si chinò a baciare la madre e uscì rapida, pensando, con un caldo impeto di riconoscenza, malgrado il cuore le dolesse: «Quanto è buona con me! Come faranno certe ragazze che non hanno la mamma ad aiutarle a sopportare i loro crucci?». I negozi dove doveva andare non erano nel quartiere di uffici, magazzini e ditte dove la popolazione era in maggioranza composta di uomini, ma Jo si trovò in quella parte della città prima che avesse fatto una sola commissione, bighellonando come in attesa di qualcuno, fermandosi ad ammirare strumenti di precisione in una vetrina, e campioni di lana in un'altra, con un interesse niente affatto femminile. Incespicava in barili, rischiava di venir schiacciata da balle che scendevano dall'alto, veniva urtata senza cerimonie da uomini affaccendati che avevano tutta l'aria di chiedersi: «Cosa diavolo fa qui questa ragazza?». Una goccia di pioggia sulla guancia richiamò i suoi pensieri dalle speranze deluse ai nastri che si rovinavano; siccome le gocce continuavano a cadere, ed essendo donna oltre che innamorata, Jo capì che, sebbene fosse troppo tardi per salvare il suo cuore, non lo era per salvare il suo cappello. Allora si ricordò dell'ombrello che nella fretta si era dimenticata di prendere, ma il rimpianto era inutile, e non c'era scelta ormai: farsene prestare uno o pigliarsi l'acquazzone. Diede un'occhiata al cielo plumbeo, poi al suo fiocco rosso già macchiato di nero, poi alla strada fangosa davanti a lei, e finalmente una lunga nostalgica occhiata, a un certo magazzino tetro con la scritta «Hoffmann, Swartz & Co». sopra la porta, e si disse con aria di severo rimprovero: «Mi sta bene. Cosa mi è saltato in mente di mettermi addosso la mia roba migliore e di venire a gironzolare da queste parti, nella speranza di vedere il professore? Jo, mi vergogno di te! No, non devi andare là a farti prestare un ombrello, o a cercar di sapere dai suoi amici dov'è. Devi filar via, e far le tue brave commissioni sotto la pioggia. Se ti prenderai un malanno che ti porta all'altro mondo, e ti rovinerai il cappello, non avrai altro che quello che ti meriti. Fila via!». E così dicendo attraversò la strada con tale impeto, che per un pelo non andò a finire sotto un carretto, per poi cascar fra le braccia di un alto signore che esclamò: «Scusate, signora», ma con una faccia offesa a morte. Alquanto intimidita, Jo si riprese; stese il fazzoletto sopra i nastri in pericolo, si gettò le tentazioni dietro le spalle e si affrettò ad allontanarsi, bagnandosi fino alle caviglie, fra il gran tamburellare di pioggia sugli ombrelli dei passanti. Ma il fatto che ce ne fosse uno azzurro, alquanto rovinato, che continuava a restare al disopra della sua testa a riparare il suo povero cappellino, attrasse la sua attenzione, e alzando gli occhi vide il signor Bhaer che la guardava. «Sentifo di conoscere questa intrepida signora che se ne fa così coraggiosamente sotto al naso dei cafalli, e così rapida fra questo fiume di fango. Che cosa fate qui, amica mia?» «Faccio delle spese». Il signor Bhaer sorrise, gettando uno sguardo alla fabbrica di conserve sulla destra e al magazzino di cuoio e pelli sulla sinistra, ma disse educatamente: «Non afete l'ombrello. Mi permettete di accompagnarfi e di portare i fostri pacchetti?» «Sì, grazie». Le guance di Jo erano rosse quanto il suo nastro, e si chiedeva cosa pensasse di lei. Ma non gliene importava nulla poiché un minuto dopo camminava a braccio del professore con la sensazione che il sole fosse tornato a risplendere con insolito calore, che il mondo fosse di nuovo bello, e che una sola donna perfettamente felice pestasse allegramente il fango di quel giorno. «Credevamo che ve ne foste andato», si affrettò a dire Jo, sentendo il suo sguardo fisso su di lei. Il cappellino non era grande abbastanza per nasconderle il volto, e temeva che la gioia che quel volto tradiva fosse considerata da lui come sconveniente per una signorina. «Afete potuto credere che me ne sarei andato senza congedarmi da coloro che sono stati così angelicamente buoni con me?», domandò egli in tono di così acerbo rimprovero, che a lei parve avergli fatto un insulto solo col supporlo, e rispose calorosamente: «No, io no. Sapevo che avevate da fare; ma sentiamo molto la vostra mancanza, babbo e mamma specialmente». «E foi?» «Io sono sempre contenta di vedervi, signore». Nell'ansia di mantenere calma la propria voce, Jo la rese quasi fredda, e il piccolo gelido monosillabo alla fine della frase sembrò agghiacciare il professore. Il suo sorriso scomparve ed egli disse molto serio: «Fi rincrazio, e verrò ancora una volta prima di partire». «Allora, ve ne andate?» «Non ho più nulla da fare qui: ho sbrigato il mio affare». «Con successo, spero?», chiese Jo, poiché in quella sua risposta le sembrò di sentire l'amarezza di una delusione. «Dofrei crederlo: poiché mi sono aperto una fia che mi permetterà di guadagnarmi il pane e dare maggior aiuto ai miei due piccini». «Oh, vi prego, ditemi. Mi interessa sapere tutto quanto... riguarda i ragazzi», disse Jo con premura. «Molto gentile da parte fostra, e lo dirò volentieri. I miei amici mi hanno trovato un posto in un collegio, come professore, come facevo in patria. Afrò quindi la possibilità di guadagnare abbastanza per aiutare i miei Jünglings. Non è una bella fortuna?» «Davvero. Sarà una cosa bellissima per voi tornare al lavoro che amate, e per noi potervi vedere spesso... voi e i ragazzi», gridò Jo, attaccandosi a quei «ragazzi» per poter scusare la contentezza che non riusciva a celare. «Ah, purtroppo non ci vedremo spesso, temo: il posto è laggiù nel West». «Così distante!», e Jo abbandonò la gonna al suo destino, come se ora non avesse più importanza quanto poteva accadere ai suoi abiti o a lei stessa. Il signor Bhaer conosceva parecchie lingue, ma non aveva ancora imparato il linguaggio delle donne. Si lusingava di conoscere Jo molto bene e fu quindi non poco sbalordito dal contrasto stridente fra la sua voce, il suo volto e i suoi modi e da tutto quello che vide accadere in lei nello spazio di una mezz'ora. Quando l'aveva incontrata, era sembrata sorpresa, sebbene fosse impossibile non dubitare che fosse andata apposta da quella parte. Quando le aveva offerto il braccio, lei ci si era aggrappata con uno sguardo che l'aveva riempito di gioia, ma quando le aveva chiesto se sentiva la sua mancanza, gli aveva dato una così gelida e formale risposta, che era piombato nella disperazione. Nell'apprendere la buona fortuna capitatagli, per poco non batteva le mani; ma tale gioia era tutta per i ragazzi? Poi, sentendo della sua destinazione aveva detto: «Così lontano!», in un tono tale di rammarico, che l'aveva innalzato ai supremi vertici della speranza; ma un minuto dopo lei stessa lo precipitava di nuovo nell'abisso, osservando, come se di niente altro le premesse: «È qui che devo fare le mie commissioni: volete entrare con me? Non ci metterò tanto». Jo era piuttosto orgogliosa delle sue capacità nel fare acquisti, e ci teneva in modo particolare a mostrare al suo compagno la precisione e la prontezza con cui sbrigava i suoi affari. Ma, causa l'agitazione di cui era preda, tutto andò di traverso: rovesciò il vassoio degli aghi; si ricordò che la cotonina doveva essere diagonale solo quando fu già tagliata; sbagliò nel dare il resto, e si sarebbe sprofondata dalla vergogna quando si accorse di aver chiesto il nastro color lavanda al banco della tela di cotone. Il professore le stava a fianco, notando il suo rossore e i suoi errori; spettacolo che servì a smorzare il suo sbalordimento; cominciò a capire che in certe occasioni le donne, come i sogni, sono tutta una contraddizione. Quando uscirono, egli si mise il pacchetto sotto il braccio con un'aria molto più allegra, e continuò a diguazzare nelle pozzanghere quasi che, tutto sommato, ci provasse gusto. «Che ne direste se facessimo qualche spesina per i pambini e una mezza festicciola di congedo stasera quando ferrò a fare l'ultima visita alla fostra cara famiglia?», chiese fermandosi davanti a una vetrina traboccante di frutti e di fiori. «Che cosa prendiamo?», chiese Jo ignorando l'ultima parte del suo discorso e aspirando con delizia l'ondata di buoni odori che li accolse all'entrata. «Possono manciare arance e fichi?», domandò il signor Bhaer con un'aria paterna. «Oh, li mangiano quando ne possono avere». «E a foi piacciono le noci?»

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