21 - Liam

1.7K 46 6
                                    

Ginevra è seduta a gambe incrociate sul letto, è visibilmente agitata e gioca con l'orlo della t-shirt. Vorrei ribadirle che non serve che lo faccia ora, che posso accettare di non sapere se questo serve a non farla soffrire. Non lo faccio. Decido, per una volta, di lasciarle la scelta di liberarsi di tutto ciò che si porta dentro da anni. Tira dei respiri profondi e comincia.

<<Dunque... Eravamo rimasti che ci portavano in orfanotrofio, giusto?>>

Annuisco appena; ero sicuro che la parte peggiore del suo passato non fosse l'incidente che ha causato la morte dei suoi genitori, ma allora non avevo avuto il coraggio di chiedere.

<<Okay...>> si schiarisce la voce e prosegue.

<<L'assistente sociale ci aveva detto di essere in contatto con il consolato italiano per farci rimpatriare. Siamo rimasti all'orfanotrofio per circa dieci giorni, era un posto terribile. Il mangiare era sempre poco e c'erano tantissime malattie. I maschi erano divisi dalle femmine, così io e Alex siamo stati costretti a rimanere lontani. Un giorno, poi, la direttrice venne da noi tutta sorridente, con un'interprete. Ci disse di aver ricevuto una richiesta di adozione dall'Italia e che sarebbero venuti a trovarci quel pomeriggio. Ci lavarono e cambiarono, poi ci portarono all'ingresso insieme al sorvegliante. Rimanemmo lì, mano nella mano, per parecchie ore.>>

Osservo rapito i suoi occhi che vagano nel passato, quel passato terribile che tutt'oggi la tormenta.

<<Si presentò da noi una coppia, pensavamo fossero marito e moglie. Abbastanza giovani, ben vestiti, con una bella macchina; insomma, sembravano benestanti. Solo una cosa ci mise in allarme: erano tutto fuorché italiani, avevano gli occhi a mandorla.

Andarono in ufficio senza nemmeno salutarci, poi ci portarono via. Siamo stati indecisi per tutto il tragitto; non sapevamo se essere felici o spaventati da quella freddezza. Pensavamo che nessun posto potesse essere peggio dell'orfanotrofio, ma ci sbagliavamo di grosso e lo capimmo una volta arrivati a casa loro.

Una volta entrati trovammo decine di bambini come noi, malnutriti e malati che ci osservavano impauriti e con gli occhi sgranati... Quella notte ho avuto i primi incubi.>>

Smette di parlare e vedo che il panico sta prendendo il sopravvento. Senza pensarci troppo, abbandono la poltrona e mi siedo di fronte a lei stringendole le mani.

Apre gli occhi e mi guarda; è terrorizzata, ha il fiato corto.

<<Sono qui, piccola, non ti succederà niente.>>

Le passo la bottiglietta che c'è sul comodino e lei ne beve un sorso, poi annuisce e prosegue.

<<Il capo, Kim, ci disse che se volevamo essere mantenuti dovevamo darci da fare. All'inizio non capivamo ma una sera ci fu tutto chiaro, all'improvviso. Ci portò in quella che noi chiamavamo "arena", dove avvenivano i combattimenti.>>

<<C-cosa?>> balbetto io e lei annuisce risoluta.

Non voglio credere a quello che sto sentendo, l'ira comincia scorrermi nelle vene. Ora inizio a capirla, la sua rabbia, il suo odio... Tutto.

Beve un altro sorso d'acqua poi torna a guardarmi. Tengo gli occhi forzatamente chiusi per trattenere le lacrime ma non ci riesco. Iniziano a rigarmi le guance e sento Gin avvicinarsi a me. Mi prende il viso tra le mani e me le asciuga con i pollici.

<<Liam...>> sussurra, <<Non piangere per me, ti prego.>>

È assurdo che sia lei a preoccuparsi per me, a consolarmi. Mi costringo a smetterla in modo che possa continuare.

Naked FeelingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora