Alexander aprì gli occhi infastidito.
Ci mise qualche secondo a capire che quanto gli stava solleticando il naso era una grossa formica bruna. Si mise a sedere con uno scatto e scacciò l'insetto con gesto irritato.
Con disgusto si passò le mani sul volto, sul collo e sulle braccia. Si scrollò poi la terra friabile che gli si era attaccata al cotone della t-shirt.Cosa gli era successo?
Si guardò intorno con crescente nervosismo: tutto ciò che riusciva a vedere erano lunghi steli verdi.
Era difficile capire qualcosa con quel buio.
Portò le mani al viso e strinse le palpebre con forza. Non poteva essere vero. Si alzò in piedi. I fusti dei papaveri gli arrivavano al petto, eppure lui era più alto della media.
I fiori sfarfallavano come carta velina scarlatta al soffio soffice della brezza estiva.Che ci faceva lì? Era sicuro, sicurissimo, di essersi addormentato fra le lenzuola fini del suo letto. Osservò nuovamente il campo di papaveri, con il panico che iniziava a serrargli la gola e torcergli lo stomaco. Vide, grazie alla luce fioca della luna, una strada che costeggiava il campo. Non era lontana, ma a lui parve eterea e inarrivabile. Le ginocchia gli cedettero. Si trovò di nuovo schiacciato a terra.
Come era possibile? Come avrebbe fatto a tornare a casa?
Portò le gambe al petto e si rannicchiò in posizione fetale. Cominciò ad accarezzarsi convulsamente il denim ruvido dei suoi jeans. Per inciso, nulla, nemmeno il caldo torrido di luglio, l'avrebbe mai convinto a mostrare i polpacci.
Fece scivolare le lunghe dita fra i capelli neri. Premette la fronte nel gomito destro.
Se avesse saputo farlo avrebbe pianto.Si convinse a respirare con più calma, si concentrò sull'aria che entrava e usciva dai suoi polmoni.
Ispira. Espira. Dentro. Fuori.Sollevò il capo e non poté fare a meno di iniziare a mangiarsi le unghie, sfidando la sua ormai quasi patologica repulsione per quei denti che si ritrovava nella bocca. Alexander odiava il suo sorriso. Quando era piccolo, abbastanza da fare le acrobazie dentro casa, ma non sufficientemente da avere ancora i denti da latte, aveva sbattuto la faccia sul duro pavimento di marmo, frantumandosi il laterale destro. Il suo dentista, un uomo grasso e rude, non doveva amare molto il suo lavoro e neppure i bambini. Per ricostruirgli il dente aveva scelto una ceramica troppo chiara, con il risultato che quel dente bianco latte, faceva sembrare color zafferano tutti gli altri. L'intervento era stato costoso e Alexander non aveva avuto il coraggio di chiederne un altro.
Erano passati molti anni, tuttavia non aveva mai smesso di vergognarsene orribilmente. E l'unica soluzione che aveva trovato era quella di smettere definitivamente di sorridere, valendosi così la seducente fama di bel tenebroso. A forza di fingere indifferenza aveva finito per provarla davvero e, per completare l'immagine, si era costretto a vestire di scuro e leggere un sacco di libri. Non che ne capisse il significato o che gli piacessero, solo che in questo modo era convinto che nessuno si sarebbe potuto sentire nella posizione di contestare la sua aria di intelligente e incurabile gravità.
Questa vergogna così familiare sembrò riportarlo alla ragione. Si asciugò il sudore dalla fronte e riacquistò un po' di lucidità. Fece scorrere le dita sui fusti sottili dei papaveri.
Si accomodò meglio, incrociò le gambe e decise che da lì non si sarebbe mosso.
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Didelfimorfi
AdventureQuattro ragazzi si svegliano in posti che, di certo, non sono quelli in cui si erano addormentati. Le cose che succedono dopo sono per lo più eventi aleatori e senza alcun fine apparente, così come, del resto, le nostre insulse vite. Tutti i diritti...