Verso l'infinito e oltre

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Il ricordo di un'alba color pastello sfumò davanti agli occhi di Alexander mentre questi si socchiudevano dopo una notte di pelle d'oca. 
Attraverso le palpebre appena sollevate, il ragazzo osservò vacuo i chiarissimi acri di sabbia che baluginavano davanti al suo volto abbandonato sulla coperta. Sentiva il pile morbido premergli contro la guancia ustionata.
Il sapore rancido della mattina gli scoppiò in bocca e punse il naso mentre lui sbadigliava stropicciandosi gli occhi incispati. Il fragore del mare si infrangeva sui suoi timpani.

Nell'aria, fredda come può esserlo solo alle prime luci del giorno, risuonavano i rari garriti dei gabbiani, il suono scrosciante dell'acqua e un lontano rombo che i sensi impastati dal sonno di Alexander non furono in grado di identificare. Una brezza frizzante di mare gli soffiava sul corpo disteso e fra i capelli sporchi. Dio, quanto faceva freddo!

Per qualche secondo, il ragazzo rimase spaesato e confuso sdraiato sul fianco, finché a ondate regolari come quelle della marea non gli ritornò tutto alla mente. Consapevole della propria ubicazione sulla Terra, Alexander si mise a sedere celando un profondo sbadiglio dietro a una mano ammantata di sabbia diafana.
La spiaggia poteva essere un materasso molto comodo, ma adorava lasciare la propria impronta farinosa sulla pelle. Il ragazzo incrociò le gambe torpide e respirò a pieni polmoni le note iodate che trapuntavano l'aria pulita. Il mare davanti a lui abbracciò il suo sguardo con una sinfonia di onde pallide e sonnacchiose.

"Ehi, Alexander!" La voce di Felix gli biascicò un allegro saluto a cui Alexander rispose con un sorriso tanto genuino quanto assonnato. È buffo come il risveglio possa condizionare tutto il resto della giornata. E, in quel caso, Alexander non avrebbe potuto chiedere di meglio. Felix era seduto vicino a lui e stava mangiando uno di quei secchissimi biscotti ai cereali di cui avevano pacchi pieni. Aveva su una guancia il segno rosso delle pieghe della coperta e i capelli scompigliati.
"Ne vuoi uno?" gli chiese porgendogli il cilindro di cartone. Alexander si profuse in un terzo sbadiglio, annuì e mormorò un arrochito "grazie". Dopodiché prese fra le dita il primo biscotto che gli capitò a tiro e lo portò alla bocca. Pur non avendo fame, aveva voglia di mangiare. Le briciole si unirono alla sabbia sulla stoffa nera della sua maglia. Il vento gli solleticava il volto solcato da occhiaie livide come i riflessi del mare mentre lui spiluccava la sua colazione.

Alexander masticò lentamente e si guardò in giro, ancora intontito dal sonno. A giudicare dal pallore del mondo il sole non doveva essere sorto da molto. Una leggera foschia aleggiava come condensa sul giorno neonato, spirava attorno agli scogli con il suo velo caliginoso e occultava sotto un soffio di bruma l'orizzonte lontano. Dell'impetuosità del loro fuoco erano rimaste solo le braci e un leggero tepore si irradiava dai brandelli di carta bruciata. Disseminate qua e là c'erano le tracce della loro permanenza lì: le coperte stropicciate, gli zaini aperti e costellati da granelli luccicanti, le scarpe consumate, il cubo di Rubik di Samantha e le borracce lampeggianti di metallo. Loro erano un po' in ognuna di quelle cose. A chiunque altro sarebbero parsi tristi scorci di spazzatura, ma agli occhi di Alexander erano i lieti segni della sua nuova quotidianità.
Con questi vaghi pensieri, Alexander finì il proprio biscotto e Felix gliene passò un altro continuando a sgranocchiare in silenzio. I gabbiani volavano sopra il mare lanciando grida solitarie e, mezza insabbiata, la radiolina era chiusa in un lapidario silenzio.

A un paio di metri da loro, Samantha era seduta di spalle sulla sdraio traballante ed era chinata sulla sua scatoletta del pronto soccorso. Stava borbottando delle parole che il vento spazzava via per disperderle verso il cielo esangue. Sull'azzurro del vestito le era rimasta una spolverata di sabbia fine. Un altro rombo vibrò nell'aria mattutina e Alexander ne seguì il suono. In fondo alla spiaggia, sul pontile, individuò Esme in piedi sulla barca rosso fragola. Armeggiava con il motore mentre la barchetta molleggiava sotto i suoi piedi. A quella vista, Alexander sentì il cuore piovergli nello stomaco assieme al biscotto e d'improvviso ingurgitare l'ultimo boccone di quel dolcetto insipido gli parve impossibile. Si era quasi dimenticato che quello era il grande giorno. Quello in cui se ne sarebbero andati. Avrebbero attraversato il mare su una malsicura imbarcazione - già quello non gli piaceva - e per di più non avevano idea di dove dovessero arrivare. Nessun indizio su cosa avesse in serbo il destino per loro. Alexander si sfregò un braccio che bruciava per le scottature. E se dall'altra parte ci fosse stato qualcosa di peggio? E se proprio non ci fosse stata un'altra parte? Sarebbero naufragati per sempre fra i flutti perigliosi del mare su un pezzo di legno che lui non aveva nemmeno il coraggio di chiamare barca. 

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