Samantha, di nuovo

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Un cartello luccicava sotto la debole luce dei lampioni. Sullo sporco sfondo bianco, era scritto, a chiari caratteri blu, "MIRA", e la "M" era resa con quello che Samantha riconobbe essere un tridente rovesciato. Sotto la scritta, c'era poi una freccia rivolta in direzione della centrale elettrica che sonnecchiava una decina di metri prima. La ragazza osservò l'indicazione senza interesse.

Non aveva camminato molto e poteva ancora distinguere con chiarezza il giaciglio di margherite schiacciate dove si era svegliata.
La strada era deserta e non si udiva più alcun rumore tranne quello dei suoi passi che scricchiolavano sul marciapiede.
Anche gli scarafaggi sembravano essersi assopiti nei loro rifugi bui.

Samantha fece un gran sospiro e, con le braccia molli lungo i fianchi, proseguì. A tratti si alzava una brezza soffice, che smuoveva l'aria viscosa e asciugava temporaneamente il sudore che ormai imperlava la fronte della ragazza.
Samantha pensò che le sarebbe piaciuta un po' di musica. Una di quelle canzoni dalle melodie un po' malinconiche e i tempi lenti.

"Tipo Lana Del Rey, ecco" mormorò. Sentire la propria voce, così familiare, tremolare in una notte estranea come quella le fece uno strano effetto. Decise quindi che per il momento sarebbe stata zitta e continuò a pensare in silenzio.
Sapeva a memoria tutti i testi, non che ne capisse davvero le parole o avesse una vaga idea del significato, ma le ricordavano le sere d'estate come quella e ciò le bastava.

Riscuotendosi da quell'inutile riflessione, si rese conto che le mattonelle fiordaliso del marciapiede si erano interrotte e ora stava camminando sull'asfalto plumbeo. Quello era un vero peccato, concluse.

Decise comunque si proseguire: era arrivata fino a lì!
Le siepi, via via sempre più trascurate, si erano fermate e ora la strada correva accanto ad uno stretto fosso. Samantha si sporse: era davvero poco profondo e vi strisciava un rigagnolo torbido e sottile. A dispetto della lieve puzza che esalavano le acque, la ragazza pensò che fosse proprio un torrente delizioso. Quindi procedette, speranzosa di incontrare qualche buffa paperella o, perché no, addirittura dei cigni!

Dal fosso risaliva il gorgoglio attutito dell'acqua che scorreva pigra nella fanghiglia. Samantha camminava piano, esattamente al centro della strada, con lo sguardo fisso davanti a sè. Era tutto così surreale.

Ploff . Quale onomatopea migliore per indicare il suono di un corpo solido che cade nell'acqua? Samantha trasalì. Si fermò e tese le orecchie: qualcosa frusciava nervoso nell'erba alta.

Ploff. Un ennesimo tuffo deciso nel fosso. 

Samantha era molto indecisa sul da farsi. Una parte di lei la spingeva ad aumentare il passo, fino a correre e scappare via. Tuttavia, era un'azione che esigeva rapidità e decisione, caratteristiche che la ragazza di certo non aveva. D'altra parte, quando lo spirito di autoconservazione viene meno, è la curiosità ad avere la meglio. Samantha quindi andò cauta verso il fosso e allungò il collo.

Vide qualcosa agitarsi nell'erba alta a lato della strada. Si avvicinò. Un'ombra scattò fulminea, le sfrecciò davanti ai piedi e si gettò con inaspettata rapidità nel fosso. Il corpo della ragazza sussultò. Lei, però, non ci badò. Si mise sul ciglio della strada e guardò giù.
Un'espressione di sorpreso disgusto le deformò il volto. Cos'erano quelle robe?

Nella luce smorta dei lampioni riuscì a distinguere una di quelle orribili creature. Aveva le dimensioni di un gatto, il pelo irto pareva quello di un riccio, le zampe palmate erano quelle delle papere e, orrore, terminava con una coda nuda e fibrosa da ratto.

Ora, se Samantha fosse stata un'osservatrice più attenta o da bambina avesse letto almeno un libro sugli animali del bosco, avrebbe immediatamente capito che si trattava di una timida ed innocua nutria come ce ne sono ormai a dozzine anche nelle città. Tuttavia, Samantha non era certo una zoologa e si convinse che si doveva senza dubbio trattare di qualche mostruoso ibrido creato in un laboratorio che si divertiva con la genetica. E se lei fosse stata portata lì per lo stesso motivo? 

La ragazza impallidì, portandosi una mano alla bocca: nessuno si sarebbe mai potuto permettere di giocare con il suo DNA! Scuotendo la testa inorridita, si rese conto di provare profonda pena per quei poveri esserini senza specie e senza nome e, con il petto colmo di compassione, riprese a camminare.

Dopo una decina di minuti, aveva già scordato le tumultuose emozioni di poco prima e ricominciò a sbadigliare annoiata. Per contrastare la monotonia, si impose di non calpestare le lunghe crepe nell'asfalto ed iniziò quindi a compiere grandi balzi sul terreno. La suola delle scarpe sbatteva con forza sulla strada e il rumore dei suoi salti riecheggiava nell'aria ferma.

Sentì uno strano suono e alzò lo sguardo. Poco più avanti, notò la sagoma scura di due cassonetti della spazzatura. Saltò con fatica altre due crepe molto difficili da superare e udì un altro rumore provenire dai bidoni. Qualche altra triste creatura dal patrimonio genetico deturpato?
Si fermò e, con più attenzione, riprese a camminare.
Cosa poteva esserci questa volta?

Tutto tacque per qualche istante, fino a che un sonoro rimbombo tuonò nell'aria e qualcosa di decisamente grosso si mosse fra la spazzatura. Samantha si arrestò impietrita. Soffocò un gridolino e, in preda al panico, ascoltò la voce interiore che le intimava di mettersi a correre.
Si guardò un secondo attorno e decise di addentrarsi nel campo di papaveri che le si apriva a destra.





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