Alexander era sicuro di essere nel proprio straziante, stucchevole, personalissimo cubo d'inferno.
Purtroppo però non era morto.Allungò l'ennesimo sacchetto di caramelle appiccicose, sforzandosi di controllare il braccio tremolante. Era un sacchetto di stropicciata carta rossa e pesava di quelle rondelle di liquirizia dura e nera che parevano piccoli pneumatici collosi.
In cambio qualche moneta gli si incollò nel palmo sudato.Neanche il tempo di riprendersi che ne arrivarono subito altri.
"Zucchero filato" gli giunse alle orecchie. Forse era un bambino, o una bambina o qualche non meglio definito adulto. Non aveva molta importanza.
Del resto, ormai Alexander non considerava più i clienti propriamente come persone. Girava la testa nella loro direzione, ma teneva gli occhi bassi. Riceveva ordini da bocche senza volto e si affrettava a eseguirli come un servile burattino, solo per raccogliere soldi da mani senza corpo.
I muscoli della faccia gli dolevano, costretti a rimanere tirati in un'espressione di preconfezionata affabilità. Gli sembrava di avere solida plastica sotto la pelle delle guance.Si mise a cercare i bastoncini per lo zucchero filato e vide il proprio viso riflesso nella frittura per le frittelle. Nell'olio sfrigolante e ribollente distinse il proprio sorriso di sintetica cortesia: era tirato e fasullo. Era un sorriso da Barbie, da ictus al nervo facciale.
Per quanto ancora dovevano rimanere aperti? Si chiedeva angosciato mentre passava il bastoncino in legno chiaro nella macchinetta per lo zucchero filato. I filamenti si attaccavano magneticamente alla stecca. Sembrava un agglomerato di polvere color pastello.
Quante persone dovevano ancora arrivare? Non potevano essere infinite.
Le mani gli tremavano per l'agitazione.
Si sentiva osservato, violato, analizzato e infine criticato.Consegnò la nuvola di zucchero filato in una piccola mano molle e umidiccia, lottando contro il senso di nausea che gli strisciava lascivo sottopelle.
L'odore denso delle mele caramellate gli si spalmava nelle narici. Quello sottile e nauseabondo dei rotoli di liquirizia gli impregnava i capelli.
Nella friggitrice non ribolliva olio di semi, ma un rigurgito di caldi succhi gastrici.Da quanto tempo era lì?
Tutto era stomachevole e dolciastro e sembrava volerglisi appiccicare addosso. Dalle gelatine brillanti ai lecca-lecca plastificati, dagli orsetti gommosi ai coccodrilli di luccicante fruttosio edulcorato.
Il calore emanato dall'olio e dalle luci gli accarezzava lubrico le braccia e soffiava tiepido sul collo.Un sapore metallico gli si diffuse amaro nella bocca. Si rese conto solo in quel momento di essersi morso l'interno del labbro tanto forte da farlo sanguinare.
Era circondato da frittelle dolci, ma era il sapore del ferro vecchio che Alexander aveva in boccaSi costrinse a chiudere gli occhi e fare profondi respiri.
Aveva già vomitato una volta dietro il chiosco dei dolcetti, non ci teneva a vomitare anche nel chiosco dei dolcetti.Dovette distogliere lo sguardo dal bancone straripante di cibo troppo bello per essere anche buono e si costrinse ad alzare la faccia. Anche solo per avere la possibilità di inspirare ossigeno pulito, che almeno non fosse come intriso di sciroppo.
Sulla lunga luce a led che illuminava il chiosco era appoggiata una grossa falena. Le ali marroni erano distese sull'immobile corpicino quasi fossero un piccolo e sporco pastrano.
Ad Alexander non sarebbe dispiaciuto essere al posto di quel triste lepidottero.
Poter vivere solo pochi giorni e scegliere di passarli tutti attaccato ad una lampada polverosa. Nessuna prospettiva di vita, nessuna grande emozione, ma allo stesso tempo nessuna preoccupazione e nessuna zavorra da portare se non quella delle proprie ali.
Certo, nulla gli poteva garantire che nella microscopica testa delle falene non ci fossero microscopiche angosce da falena, ma dal suo antropocentrico punto di vista era convinto che dovessero per forza essere insignificanti come il cervello che le conteneva.
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Didelfimorfi
AdventureQuattro ragazzi si svegliano in posti che, di certo, non sono quelli in cui si erano addormentati. Le cose che succedono dopo sono per lo più eventi aleatori e senza alcun fine apparente, così come, del resto, le nostre insulse vite. Tutti i diritti...