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Uno sparo.
Urlo.
Mi alzo, sudata.
Un'altra notte, lo stesso incubo.

Controllo che la porta sia chiusa a chiave, come ho già fatto ieri sera. Spero di non aver svegliato nessuno urlando. Guardo la luna dalla finestra, tra poco scomparirà. Poggio la mia pianola sul letto e compongo qualche nota, aspettando che diventi giorno. Ho sempre odiato la notte.
È stata una notte che la mia vita è diventata un casino.
E di notte, arriva il sonno. E il sonno porta con sé gli incubi. Anzi.

L'incubo.

Scuoto la testa, non voglio pensarci. Suono una melodia malinconica, una delle tante che ho nella testa. Ormai, le mie melodie tristi e malinconiche, accompagnate dalla mia voce e dalle parole che scrivo nei momenti come questo, fanno da colonna sonora alla mia vita. Mi alzo dal letto, cammino avanti e indietro. Odio aspettare, ma qui dentro non ho praticamente nulla da fare. Le ore passano lentamente, disegno qua e là, dipingo.
Come ogni notte, ho dormito solo un paio d'ore, ma va bene così. Quando dormo, i ricordi che cerco in tutti i modi di reprimere vengono a galla, e io non posso fare nulla per allontanarli.
Il sole sta sorgendo e mi affaccio dalla finestra per guardare la luna sparire all'orizzonte, dietro all'oceano. Il cielo assume una leggera sfumatura di rosa, per poi diventare azzurro.

Apro un po' la porta, per far cambiare l'aria e quando la richiudo non inchiavo, ormai è giorno. Mi rimetto sul letto, cercando di fare meno rumore possibile. Cosa alquanto difficile, dato che ci sono più molle rotte che altro. Ma d'altronde, meglio così, non ho bisogno di dormire.

"Ehi, Abbie. È ora di alzarsi" la signorina Hoover -per me ormai soltanto Maude- viene a svegliarmi come tutte le mattine.

"Buongiorno Maude" le sorrido, stopicciando gli occhi. Lei si siede vicino a me. Questa camera è dannatamente vuota senza Evie, la mia vecchia compagna di stanza.

"Non serve che fai finta di dormire, ti ho sentita stanotte" mi accarezza una guancia. La abbraccio, è una persona estremamente importante per me. "Ora andiamo a svegliare Zeke e Ethel, poi facciamo colazione. Oggi si ricomincia, che vi piaccia o no!" Esclama alzandosi. Mi alzo anche io, seguendola. Bussiamo alla camera dei due mostriciattoli, che insieme a questa donna sono l'unica ragione che mi fa rimanere felice.

"Ethel, se non ti alzi da sola, sarò costretta a fare a modo mio" la avverto. Lei sotterra la testa nel cuscino. "Ti do tre secondi" inizio a contare, alzando un dito alla volta, ma lei non si muove. "L'hai voluto tu!" Esclamo, tuffandomi su di lei e iniziando a fare il solletico. Lei ride come una matta, facendo ridere anche me. Adoro questa bimba.

"Va bene, mi alzo" si arrende, sbuffando. La aiuto a lavarsi la faccia e a scegliere i vestiti. Le vacanze di Natale sono finite, oggi bisogna tornare a scuola. Appena usciamo dal bagno, Zeke e Maude entrano per fare esattamente ciò che abbiamo appena fatto noi. Quando entrambi sono pronti, andiamo alla mensa, che per fortuna non è ancora piena. Ci sono molti bambini che vengono imboccati da alcune donne che lavorano qui.

"Abbie, mi aiuti? Non riesco ad alzarlo" Zeke mi indica la brocca con il succo. La prendo e gliela verso nel bicchiere, poi ci sediamo tutti e tre ad un tavolo, e mi assicuro che non si sporchino mentre mangiano.

Ad oggi, vivo qui da esattamente dieci anni. Questo è il decimo anno che passo qui, e inizia proprio oggi. Spero che i due bambini vicino a me non saranno costretti a fare la mia stessa fine, perché è stato difficile. Maude è stata la donna che è venuta a prendermi alla caserma di polizia, per questo ha molto a cuore me e la mia storia. Per quanto riguarda i due mostriciattoli seduti al mio fianco, loro sono semplicemente indispensabili per me. Dal giorno in cui li vidi la prima volta.
Ci sono tanti bambini in questa casa famiglia, perciò perché proprio loro? Erano otto anni circa che vivevo in questo posto. L'unica persona che mi rendeva felice era Maude. Poi, una notte lei ricevette una chiamata. Io ero presa dal mio solito incubo, lei decise di portarmi con sé. Entrammo nella stessa caserma in cui aveva trovato me, e vedemmo Zeke. I suoi genitori erano morti durante una rapina, nella sua casa. Lui si era nascosto nella lavatrice ed erano riusciti a non trovarlo. Quando lo vidi la prima volta, lo capii perfettamente. E trovai la seconda bella cosa, in quei primi otto anni. Circa otto mesi dopo, mi ritrovai nella stessa situazione. Stesso posto, ma bambina diversa. Ethel era seduta su una sedia, impaurita. Aveva quattro anni e mezzo, io ne avevo quindici. Mi sedetti accanto a lei e quando mi guardò, sentii il mio cuore frantumarsi. Aveva gli occhioni verdi sgranati e pieni di lacrime, le guance rosse umide e le labbra viola. La strinsi a me e non la lasciai più. I suoi genitori erano stati rapiti e uccisi, davanti ai suoi occhi.
Due bambini così piccoli eppure così distrutti. Nessuno ci aveva adottato. La mia storia non era poi così diversa dalla loro, ma forse era anche peggiore. Quindi perché tre bambini, così fragili e bisognosi di affetto non erano stati scelti da nessuno? Perché la gente vuole bambini piccoli, e preferiscono che non siano stati vittime di nessun tipo di trauma. Cosa che noi, non avevamo scelto di essere.

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