7: Rumori

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Sto poltrendo a letto. Stamattina me la prendo comoda, fatta colazione andrò al supermercato per fare la spesa e rifornire il mio frigo talmente vuoto da far venire la depressione.

Non ho visite fino al pomeriggio. Stasera farò tardi in studio, molto più del solito.

Un collega mi ha chiesto di seguire un suo paziente. Lui è partito per andare a lavorare in una missione in Africa. Era da tempo che desiderava prendersi un anno sabbatico ed alla fine si è deciso.

Ammiro chi scombina la propria esistenza pur di realizzare il suo sogno chiuso in un cassetto.

Io pianifico fino allo sfinimento. Non riuscirei a sconvolgere la mia vita organizzata in maniera certosina. Sono un'abitudinaria fissata con orari e programmi. Ho uno schema mentale molto rigido.

Faccio la doccia, mi infilo un jeans e le scarpe da tennis ed esco.

Giro per i reparti del supermercato riempendo il carrello fino all'inverosimile.

Mi servirà un facchino per portare su tutta questa roba!

Ho perso più di un'ora a sistemare le cose in frigo, ma ora starò a posto per l'intera settimana.

Afferro la lasagna precotta appena comprata e la metto nel microonde a scaldare.

Mi viene la tristezza solo a guardarla ma odio cucinare per una persona.

Non è un granché ma almeno butto giù qualcosa di solido.

Finisco di mangiare, lavo il mio unico piatto e mi siedo sul divano.

Leggo i pochi elementi che il mio collega mi ha inviato tramite whatsapp.

Non ho molti indizi poiché, a causa della privacy, non ha potuto consegnarmi la scheda clinica del suo paziente.

Annoto un paio di riflessioni sul mio computer, prendo la borsa ed esco diretta al mio studio.

<Ruben, mi racconti qualcosa di lei> chiedo con molta calma all'agitato cliente.

Non ci vuole molto a delineare il suo profilo. E' un compulsivo-ossessivo.

Lo capisco da come osserva ogni dettaglio del mio ufficio.

Si è stressato alla vista delle mie riviste di psicologia sparse sul tavolinetto.

Impiego un minuto per capire che pagherebbe milioni pur di metterle in ordine.

<Qualcosa la disturba, Ruben?> gli domando non tanto per curiosità quanto per confermare la mia ipotesi.

Mi spiega che non riesce a concentrarsi per via di alcune cose che non vanno.

Gli do la possibilità di alzarsi e lui, come da programma, sistema le riviste.

Centro!

Piano piano prende confidenza con me ed inizia ad aprirsi. Sarà un percorso molto lungo data la complessità emotiva del soggetto.

Parliamo molto. Il primo appuntamento è sempre più lungo perché ho bisogno di inquadrare la persona che ho davanti.

Finiamo la seduta e ci salutiamo concordando gli orari del secondo appuntamento.

E' tardi, ma non sono stanca dato che oggi pomeriggio sono riuscita a riposare un poco.

Tutti gli uffici sono vuoti, come al solito.

Devo dire che questa cosa comincia a stuzzicarmi. Durante il giorno c'è movimento e questo mi disturba, a quest'ora, invece, riesco a concentrarmi sui miei pazienti ed arrivare a casa in pochi minuti visto che non c'è traffico.

Esco dallo studio ed impegno il corridoio con una calma terrificante, tanto non mi corre dietro nessuno.

La mia teoria di pochi istanti fa crolla come un castello di carte.

Altro che silenzio tombale, si sentono dei rumori provenire dall'alto.

Ladri non sono di certo, quelli rubano, mica fracassano gli edifici.

Guardo incerta verso l'alto.

Non vorrei violare la privacy di Egan, magari sta litigando con un amico ed una ficcanaso invadente non renderebbe la situazione meno convulsa.

Mi fermo qualche istante, poi spingo il bottone dell'ascensore.

Ho deciso vado a dare un occhiata, sono un medico non posso ignorare alcuni segnali.

Se si sentisse male ed avesse bisogno di aiuto, andandomene via, commetterei reato di omissione di soccorso ed in più la mia coscienza ballerebbe sul mio cadavere per un secolo.

Arrivo al piano, le porte si spalancano davanti a me.

Il corridoio è semibuio e l'unica luce proviene dall'appartamento di Egan.

Cammino lentamente diretta verso la sua stanza.

Mi sembra di essere stata catapultata in una scena horror.

Tra poco spunterà da qualche parte uno zombie o un fantasma con tanto di catena e testa decollata.

L'adrenalina è alle stelle ed il cuore mi rimbalza in petto.

Non sono grida quelle che sento, direi un rantolo o comunque un suono gutturale.

Estraggo il cellulare dalla borsa, credo che dovrò chiamare un'unità medica di soccorso.

Spero non abbia un infarto o qualcosa di più grave.

Il pensiero che Egan stia male o, peggio, possa morire, mi spaventa e non so neppure io il perché.

Non siamo compagni, fidanzati ne tanto meno amici.

Lui è solo il proprietario dello stabile in cui io ho affittato un ufficio.

Arrivo davanti alla porta aperta e la scena che mi si presenta davanti è irreale.

Sbarro gli occhi incredula. Devo mettere a fuoco e capire.

Lo so che è insolito, ma io di fronte a cose che non comprendo, devo prendere tempo ed ipotizzare una serie di risposte plausibili.

Fa parte del mio bagaglio professionale oltre che del mio carattere razionale.

Devo dire che da quando Egan è entrato nella mia vita di cose strane ne sono accadute.

Potrei definirlo l'incognita ics in matematica.

<Egan> grido il suo nome senza rendermene neanche conto.

Sono agitata e confusa e questa, per me, è una novità.

Sono abituata a gestire le ansie dei pazienti, ma le mie no e questo mi destabilizza.

Respiro profondamente e mi placo.

Sono entrata nell'appartamento di Egan ed ora devo coordinare la situazione!




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