8: Rabbia

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Lo chiamo, ma non si accorge di me. D'altronde come potrebbe?

L'appartamento è sottosopra. I libri sono sparsi in terra, la pesante scrivania è finita vicino alla finestra, un paralume di cristallo spaccato in due davanti alla porta d'ingresso. 

Non riesco a capire come i ladri possano essere entrati nel suo super blindato appartamento!

Egan è di spalle, rigido e teso al centro della stanza. 

Ha dei fogli spiegazzati, o meglio stritolati, tra le mani.

<Dottoressa esca la prego> una mano si posa delicata sulla mia spalla.

Non ho il tempo materiale di chiedere cosa sia accaduto in quella stanza.

Un suono roco esce dalle labbra di Egan che fissa il suo segretario con rabbia e lo inchioda in meno di un secondo con le spalle al muro.

Sean, mi pare si chiami così, trema vistosamente, ha la testa bassa e le spalle chine. 

Non ho realizzato l'intera scena, ma so che devo aiutare il povero ragazzo. 

Sono un medico riconosco un attacco isterico e devo intervenire immediatamente.

<Egan> 

Avanzo velocemente verso di lui, gli afferro il braccio e sento una scossa percorrermi la mano. 

<Lascialo> gli grido mentre lo scuoto energicamente.

Si gira all'istante, mi guarda attentamente ed il suo sguardo muta repentinamente. 

Lascia il collo di Sean che finalmente respira a pieni polmoni.

<Samanta>

Non è il modo gutturale in cui pronuncia il mio nome a provocarmi i brividi, ma i suoi occhi.

Sono rossi iniettati di sangue e l'iride nera fa da contrasto.

Sembra un demonio scappato dalle fiamme dell'inferno.

E' bollente, anzi ustionante, penso abbia la febbre altissima.

Chiedo a Sean di uscire dalla stanza. 

In questi casi è meglio allontanare l'oggetto della crisi e se Sean, inconsapevolmente, ha fatto scaturire questo attacco di rabbia in Egan, allora è meglio mandarlo via.

Il ragazzo mi guarda sconcertato e scuote il capo in segno di diniego.

Lo capisco teme per la mia incolumità.

Sarò una pazza, ma non ho paura, ed il merito è dell'adrenalina che ho in corpo.

<Sean, lasciaci soli>

Gli indico la porta e lo faccio uscire dalla stanza. 

<Resto fuori dottoressa. Mi chiami, se occorre> mi sussurra con un fil di voce.

Afferro la maniglia e chiudo la porta. 

Ora sono rimasta da sola con lui. 

<Egan, spiegami cosa ti è successo. Capisco la rabbia per il furto subito, ma farsi venire un attacco isterico non è la reazione giusta. Prendersela con il tuo segretario poi non ha senso> 

Mi fissa dritto negli occhi finalmente normali e si avvicina a passi lenti, senza mai distogliere lo sguardo da me. 

Il mio istinto mi dice di indietreggiare, ma il mio io psicoanalitico non me lo permette.

Dimostrare paura ed ansia davanti ad un paziente non è professionale.

Si ferma a pochi centimetri da me.

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