Capitolo 2.6

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Settembre 1774, Caricyn

Urla, scoppi di cannone, spade sguainate, fango, fumo, sangue e corpi senza vita era l'unica cosa che riusciva a scorgere Ivan in groppa al suo cavallo mentre cercava di avanzare nella calca creatasi tra i soldati zaristi e i cosacchi intenti a combattere.
Non riusciva più ad individuare Pugačëv e ciò lo preoccupava e non poco, i cosacchi avevano sempre creduto nel loro capo e nella loro gloriosa vittoria contro l'usurpatrice tedesca.

Erano stati gonfiati a dovere di ardimento per la causa con parole segaci e piene di promesse poichè tutti speravano in una vita migliore in cui il potente avrebbe aiutato il povero a non soccombere.

Erano sempre stati animati da nuova forza quando riuscivano a guadagnare terreno, a derubare i ricchi, ad essere lodati dal popolo.

Ma la zarina Caterina II la Grande non poteva permettere a degli ubriaconi analfabeti di impadronirsi del suo trono e per quanto ancora una volta l'avrebbero vista come una donna spietata e cattiva doveva agire per porre fini a quei disordini che stavano catapultando parte del suo regno contro il suo stesso governo.

Era stato ormai chiaro per entrambi i fronti che una battaglia doveva essere combattuta ed uno sarebbe stato schiacciato dall'altro.

Il grande Emil'jan Pugačëv non aveva avuto paura, anzi, era stato pronto a scendere in campo e fronteggiare le giubbe verdi fino alla morte.

Non sarebbe potuto scappare come un coniglio davanti al pericolo, era suo dovere affrontare il marasma da lui stesso creato con coraggio ed infonderlo ai suoi uomini.

Ivan era pronto ad uccidere chiunque si fosse messo sul suo cammino, era sempre stato addestrato ad essere fermo nelle proprie convinzioni e mai abbassare la testa davanti a niente.

Era pronto a fare ferro e fuoco per la sua Liliya e la creatura che doveva venire al mondo di lì a poco.

Tutti i ribelli erano stati accecati dalla presunta vittoria, per loro non esisteva la sconfitta perchè avrebbe significato morte certa e la dissoluzione dei loro piani, ma ormai Ivan era più che certo che i zaristi li avrebbero presto sopraffatti.

Non gli ci volle molto per scorgere il vecchio alfiere essere stanato da un gruppo di soldati e dopo poco essere buttato da cavallo e fatto prigioniero.

Spronò il cavallo nella loro direzione ma quando era lì per raggiungerli lo sguardo dell'amico lo intimò a fermarsi, scosse la testa e gli fece segno di andarsene, anch'egli aveva capito che avevano perso la guerra e che non c'era più nulla da fare.

I Bakiri li avevano traditi attaccandoli di sorpresa e non ci volle molto tempo per disgregare l'intero gruppo cosacco che era arrivato allo stremo.

Sempre più erano i compagni che cadevano e non potè far altro che richiamarli alla ritirata sperando che i nemici si facessero bastare il loro capo.

Non aveva avuto modo di scontrarsi con Viktor impegnato com'era il subcomandante ad accerchiare Pugačëv ed i pochi uomini che erano rimasti per proteggerlo.

Si allontanò dalla battaglia sentendo in lontananza le urla di vittoria delle giubbe verdi, avevano finalmente debellato il cancro che aveva per troppo tempo infettato l'impero.

Viktor Egorovič non poteva essere più fiero di sè stesso come il quel momento, grazie a delle spie era riuscito a convincere i capi bakiri a passare dalla loro parte promettendogli, in cambio, larghe agevolazione nei loro territori.

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