ep.12 Il vecchio e la bambina

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Illustrazione: Elena Liverani

Testo: Luigi Pratesi

Personaggio: Nello

In questa casa c'è poco di me, ma c'è tutta la mia Francesca.

La presina a forma di mela che comprammo quel giorno a OP215, i cuscini del divano, quelli arancioni a fioricini, le tazzine esposte nella vetrinetta in salotto. L'argenteria – rimasuglio del corredo di nozze – e quel vaso strano, forse orientale, regalatole dalla zia Geltrude. L'abatjour con le perline bianche, quella nel comodino accanto al suo lato del letto. Gliela regalai per il decimo anniversario di matrimonio. Insistette tanto per averla, a me sembrava ridicola. La scopa di saggina, nella rimessa, con il manico graffiato e una macchia verde a forma di farfalla proprio in punta. L'acchiappasogni in veranda, quello con la ragnatela nera, concentrica e tremolante, quello con le piume di pappagallo, azzurre come erano i suoi occhi.

Che poi vai a sapere di quale animale sono davvero. Mica me ne intendo di uccelli. Per scherzare, le dicevo sempre che erano piume di fagiano dipinte di azzurro. Lei scuoteva la testa e lasciava perdere.

Sì, qui tutto mi parla di lei. Ed è normale, perdinci. Questa è casa sua. La casa dove è nata e cresciuta. Ogni mattina, quando mi alzo, scendo le scale e passo davanti all'ingresso. Lei è anche lì. La vedo sorridente, in bianco e nero, mentre indossa il tutù e cerca di fare le piroette. Avrà avuto otto anni quando le hanno scattato quella foto. Come rideva. Come solo i bambini sanno fare.

Maledetta sia questa casa. Per anni ci siamo venuti in processione non appena potevamo. I suoi genitori erano ancora vivi e io, quando riuscivo, cercavo di ritagliarmi un paio di giorni per assecondarla. Se il mare lo permetteva, certo. Mi alzavo che la luna non era ancora stanca, portavo la mia bagnarola a largo e pescavo fino all'alba. Poi dritto al mercato, per vendere il pesce a Gino L'Aguzzo, e giù via di corsa dalla mia Francesca, che non voleva fare tardi. Arrivavamo qua per pranzo, a volte anche prima.

Da KK013 a FN314, con il suo vecchio maggiolone, ci volevano appena due ore. Avevo le mani che puzzavano di pesce e Francesca non voleva che i suoi lo sentissero. Non voleva che facessi brutta figura. Ma mica le riusciva. Portava sempre dietro uno spicchio di limone e mi costringeva a sfregarmelo sulle mani. Se ci ripenso adesso mi viene da ridere.

KK013, o Casaldimare come si chiamava quando ero piccolo. Quella è casa mia. A volte mi viene voglia di prendere i miei coccini e di tornarci. In silenzio, come me ne sono andato dieci anni fa o giù di lì. Ma poi penso che sono troppo vecchio per cambiare ancora. Forse ho solo paura che gli amici non mi riconoscano più. O forse che abbiano seguito l'esempio della mia Francesca e non ci sia più nessuno ad aspettarmi.

Ogni tanto sento Gino, e Franco, sì, sento anche lui. Ma di rado. Sono fatto così e non c'è tramontana capace di farmi cambiare rotta. Quando mi metto in testa qualcosa tengo la barra del timone dritta finché non si spezza. Lo devo a Francesca, mi ripeto. Sì, è proprio vero, glielo devo. E lo devo anche a me.

Eccola la foto che cercavo. Quella che scattai il giorno della prima tempesta di rane. Lo ricordo come fosse questa mattina. Faceva freddo ed eravamo qui per caso. Io avevo un polso rotto e non potevo uscire in barca, Francesca insistette per passare qualche giorno nella vecchia casa dei suoi. Voleva stare un po' con la sua amica Renata. E così venimmo qua. Trascorsi i primi due giorni a tagliare l'erba, rimettere in piedi il muricciolo di cinta e diragnare tutte le stanze.

Avrei fatto meglio ad andare per mare.

Nel primo pomeriggio costrinsi Francesca ad andare in paese, anche se Renata e quel matto di suo marito Pietro erano occupati, a far cosa non lo scoprirò mai. Secondo me l'arpia voleva tenermi lontano da casa sua. Invitava Francesca solo quando sapeva che io avevo da fare. Proprio come mio suocero. Che possano incagliarsi entrambi negli scogli con i loro pregiudizi borghesi! Beh, solo lei ormai. Mio suocero è passato al Creatore da tempo. Se mai aveva dei peccati da espiare ormai è troppo tardi.

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