ep.04 La prima pioggia

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Illustrazione: Rosario Gulli

Testo: Marco Morselli

Personaggio: Renata

Adoro il rumore che fanno le rane quando sbattono sul tetto. L'ho sempre adorato. Trovo che sia uno dei rumori più rilassanti che la natura, o chi per essa, ha deciso di donarci. Magari le rane piovessero più spesso di notte. Quando sento il primo tonfo, mi precipito, per quanto posso, alla finestra e mi accomodo sulla mia bella cassapanca che una volta stava appoggiata vicino al caminetto, ma che con diverse e sonore scalciate sono riuscita a portare fin sotto il davanzale. Mi siedo proprio qui, e se sono fortunata come oggi ho anche una tazza di tè bollente in mano. Me lo preparo quando faccio le ore piccole, mischio la cannella con lo zenzero, aggiungo due chiodi di garofano, verso l'acqua sul tè nero e ci tuffo una ciliegia candita, un goccio di brandy se voglio togliermi lo sfizio. Lo sorseggio tenendo la tazza con tutte e due le mani, voglio assorbirne tutto il calore possibile fino alle ossa, e aspetto l'alba. Ormai sono anni che quasi non dormo. Mi assopisco giusto un attimo la sera, dopo aver cenato, e mi risveglio intorno all'una. So che tanto non mi riaddormento più e allora mi faccio il tè, che mi accompagna mentre leggo un libro o mi metto a cucinare qualcosa. Ma quando piovono le rane si ferma tutto. Ed eccomi appoggiata alla finestra, la spallina della vestaglia che scivola sul vetro inumidito, la tempia destra appoggiata sul montante. Tengo la luce spenta, fuori vedo un uomo aprire un ombrello di metallo. Hanno cominciato a venderne tanti da quando piovono le rane. Quelle bestioline sbatacchiano sulla superficie d'acciaio risuonando, secche, su tutta la via. L'uomo accelera il passo cercando di mantenersi sul marciapiede mentre una macchina gli sfreccia accanto. Il rumore delle rane schiacciate dalle gomme arriva fin qui. L'inquilino della casa di fronte è sveglio. Dalla finestra socchiusa si apre una luce debole disturbata da una sagoma. Se ne sta lì a guardarle con circospezione. Che abbia schifo? O paura? Come si fa a non apprezzare un suono così ovattato e rigenerante? La gente è proprio strana.

Questa cassapanca però è sempre più dura. Come mi sposto un attimo lo spigolo di legno mi taglia di netto il sedere. Un vecchio ammasso di ossa e grasso che oramai non trova pace da nessuna parte. Nemmeno nelle poltrone del soggiorno. Eppure non sono grassa. Non lo sono mai stata. Piacevolmente formosa sì, con le curve al punto giusto. Pietro me lo diceva sempre, se non avessi avuto le curve al punto giusto non mi avrebbe mai sposata. Ma grassa no, perché a lui le grasse non piacevano. Ci penso sempre quando mi siedo sulla cassapanca. L'ultima volta che ci siamo parlati è stato durante una tempesta di rane, violenta forse come questa. Ma era una delle prime, fino ad allora non si erano mai viste. Se ne sentiva parlare, come di leggende metropolitane. C'erano state anche piogge di pesci, perfino una pioggia di mucche. Si diceva che fossero gli uragani a risucchiarle da qualche parte per poi lasciarle precipitare a chilometri di distanza.

"Renata, Renata, vieni a vedere!" Mi urlò lui mentre stavo in cucina a preparare i biscotti per le amiche del burraco.

"Cosa c'è, Pietro? Ho le mani impastate di frolla..."

"Vieni qui! Senti che baccano!" Quando mi affacciai nel soggiorno me lo ritrovai a saltellare eccitato davanti alla finestra di fianco al divano.

"Ma che fai? Ti sei rimbecillito?"

"Ma non lo senti?"

"Cosa?" E mi fece cenno indicando il soffitto. Agitava su e giù l'indice della mano sinistra. Iniziai a fare caso a un ticchettio. Un ticchettio che diventava sempre più forte, impetuoso, violento.

"Guarda, vieni qui" insisteva, e abbassò la voce quasi volesse svelarmi un segreto.

Mi avvicinai. Pietro mi prese la mano destra e mi trascinò a sé. Così mi trovai con lo sguardo rivolto alla finestra che si apriva sul giardino. Ciaf, splat, stonf.

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