ep. 21 La resurrezione della carne

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Illustrazione: Elena Liverani

Testo: Caterina Corucci

Personaggio: Camilla

Orange mi cammina a fianco, ogni tanto rallenta per mettere il muso in un cespuglio o si blocca di colpo per annusare un punto ben preciso. Secondo il veterinario riesce a sentire chi o cosa è passato di lì, se era il cocker del panettiere o un quadrupede sconosciuto, e se era giovane oppure vecchio, se il trovatello del terzo piano si sta ambientando o la barboncina del palazzo di fronte è innamorata. In pratica andare a fare una passeggiata annusando qua e là, per i cani è come leggere il giornale, informarsi sulle ultime notizie. E io dovrei lasciarlo fare, senza fretta. Sarebbe giusto. Invece non lo sopporto quando si pianta così, quando non mi accorgo che si è fermato e io proseguo finché, trattenuta dal guinzaglio, mi blocco di colpo pure io, e lui si strozza con il collare. Come adesso. Lo strattono un po' per farlo muovere e quando riparte mi accorgo che zoppica, anche se mi viene dietro senza fare una piega. Ha qualcosa che non va alla zampa davanti, quella sinistra. Mi chino, prendo la zampa e la guardo da sotto, forse si è tagliato con qualcosa. No, sembra di no. Passo il dito fra un polpastrello e l'altro e ci trovo un legnetto. I cani hanno uno spirito di sopportazione immenso, anche questo dice il veterinario.

Sono sicura che soffre per la mancanza di mamma, però. Quando torniamo a casa la cerca in ogni stanza, ogni volta. Prima o poi smetterà, forse. Ma non oggi. Infatti entra balzellando come se fosse sicuro di trovarsela davanti. Pronto a farle le feste, a rotolarsi e farsi grattare la pancia come quando era un cucciolo. E così, quando forse potrei non pensarci, lui me lo ricorda. Non c'è più da settimane, ormai. E come ha detto l'ispettore, le possibilità di ritrovare una persona scomparsa si riducono tantissimo con il passare dei giorni.

Comunque, Orange. Dovrei portarlo a caccia di rane, o meglio, a salvare le rane come faceva con mamma. A lui piaceva. Uscivano dopo ogni pioggia e portavano a casa quelle che trovavano ancora vive, per poi curarle insieme a me. Quando lo psicoterapeuta disse che provare empatia verso ciò che mi aveva provocato lo shock mi avrebbe aiutato a parlare di nuovo, mi dissi che no, non mi sarei prestata a una simile farsa. Poi non so come, ho lasciato che la cosa andasse in quel modo. Credo per farla contenta. E ho finto di riempire con rane invisibili le teche di vetro. Ora, senza mamma, posso pure smetterla.

Anche stamani, quando ho portato fuori Orange prima di andare a scuola, lui avrebbe voluto andare "a caccia". Devono esserne venute giù davvero tante, stavolta, almeno per chi le vede. Ho sentito l'aspirarane lavorare già dalla notte. Eppure alle sette ce n'erano di sicuro ancora un po', spiaccicate per terra. Orange fiutava eccitato ma io l'ho riportato subito a casa; mi sarei sentita troppo stupida a raccogliere cose che non ci sono. E comunque, dovevo andare a scuola.

Ieri stavamo camminando per il viale che porta fuori dal paese. Alla mia destra Nicolino, alla mia sinistra la spalla di Greg che ogni tanto mi toccava, e la sua mano a sfiorarmi. Quel viale alberato sembra infinito, però da qualche parte deve pur andare, dopo il cartello che delimita il paese. Ogni giorno sempre più gente cerca di passare quel limite, di andare oltre il confine. Di quelli che lo hanno fatto, qualcuno non si è più visto in giro, qualcun altro si è sentito male o è svenuto dopo pochi passi ed è tornato indietro senza riuscire a ricordare niente. Anche se nessuno lo dice, io penso che anche mamma...

Da qualche giorno hanno messo un posto di blocco. Vietato uscire dal paese. In molti non si sono fatti troppe domande, va bene così, che dobbiamo fare in fin dei conti, fuori da FN314? Altri invece vogliono capire. In mancanza di risposte da parte delle autorità, anche quelli che non avrebbero mai pensato di farlo, adesso vogliono allontanarsi per fare un giro, fosse soltanto per prendere un caffè in piazza a SN322.

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