Capitolo 1

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Il mio nome è Arturo. Sono un giovane ragazzo di Fontanellato, un paesino di campagna come tanti altri ma famoso per il suo immenso castello con fossato posizionato proprio al centro del paese. Tutt'intorno si sviluppano delle ramificazioni circolari di case in legno dove abitano le famiglie più benestanti. Più si è vicini al castello e più si è benestanti. E' anche una questione di privilegi; in caso di emergenza, la famiglia reale, fa emettere un triplice suono di corno. Da quel momento, tutta la popolazione, ha pochi minuti per recarsi all'interno del castello prima che il ponte levatoio si alzi creando una barriera insormontabile. Chi è fuori è fuori e chi è dentro è dentro. La mia famiglia abita lontano dal castello.

Mio padre è uno dei due fabbri del paese

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Mio padre è uno dei due fabbri del paese. E' alto e con un fisico massiccio, sempre con la barba abbastanza lunga e una folta chioma nera. Lavora sodo, paga le tasse, mangia poco e dorme il minimo indispensabile per stare in piedi il giorno successivo. Mia madre lavora nei campi insieme alla maggioranza delle donne del nostro rango. Quando è a casa si occupa delle faccende domestiche e, inoltre, mi ha insegnato a cavarmela e mi ha trasmesso i valori principali della vita. Sono entrambi molto umili e generosi anche se mio padre, ogni tanto, se ne esce con qualche frase fuori luogo. Anche se hanno diversi difetti ed ogni tanto discutono per motivi banali, è chiaro che si amano e si rispettano. Sono sposati da oltre vent'anni ma, a detta loro, la fiamma del "loro" fuoco è bella vispa, ora come allora.

Io avevo diciotto anni. Figlio unico. Fisico slanciato ma abbastanza possente. Capello biondo mosso. Il colore l'avevo ereditato da mia madre. Mi piaceva giocare con Federico a "tocca la pietra", un gioco inventato da me in cui si doveva lanciare una piccola pietra poco distante da noi e poi, uno alla volta, con un sasso più grande, si doveva cercare di colpirla. Federico era il mio migliore amico, un ragazzo strano, un po' lunatico e spesso distratto, viveva nel suo mondo, ma a me piaceva. Mio padre mi aveva detto circa cinque anni prima che sarebbe stato onorato di tramandarmi il mestiere del fabbro. Feci un paio di anni con lui, fino ai quindici anni, poi la famiglia Brambilla, una delle tre famiglie più ricche del paese, chiese a mio padre se era interessato a mandarmi a lavorare da loro, nella loro officina di riparazione carri. Non ebbi nessuna possibilità di esprimere il mio parere. Iniziai il giorno successivo decisamente imbronciato. Non salutai mio padre per un paio di giorni, poi capì subito che ci avevo solo guadagnato in questo cambio-lavoro. Era più pulito, meno rumoroso ed inoltre l'officina era posizionata proprio vicino al castello, vicino alla piazza principale. Molto più movimentato e, soprattutto, vedevo tante ragazze passare e, a quell'età, è una di quelle cose che fa la differenza.

E' attualmente il mio lavoro. La famiglia Brambilla, col passare del tempo, mi ha sempre più considerato ed a volte mi hanno invitato con loro alla caccia alla volpe e a prendere qualche the al pomeriggio. Mi hanno insegnato, oltre ad un nuovo lavoro, ad andare a cavallo, ad usare qualche arma e le regole del "bonton" per non risultare sempre volgare o rozzo. Li stimo tantissimo anche se non rinnego le mie origini perché quando finisco di lavorare e torno a casa mi rituffo nella realtà della felice povertà. Si, perché anche se non siamo benestanti, siamo felici.

Le dodici fatiche di ArturoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora