Capitolo 2

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La famiglia Sanvitale è quella che regna sul paese. Non si hanno molte notizie su di loro. Vivono all'interno del castello, escono solamente per la caccia alla volpe e poco altro; una volta all'anno organizzano una festa ma solamente per loro e per le famiglie benestanti a cui consegnano l'invito. Ovviamente la mia famiglia non ha mai ricevuto nessun invito anche se una volta, il Re in carne ed ossa, si presentò con la scorta alla bottega da mio padre per richiedere una lavorazione speciale per la sua spada. Dopo circa un mese di lavoro consegnò la spada ad un uomo fidato del Re e, dopo pochi giorni, mio padre ricevette una lettera ufficiale col timbro reale cerato con i ringraziamenti. Insieme alla lettera un sacchettino con delle monete. Appena l'uomo con la spada se ne andò, mio padre aprì il sacchettino e sul viso si stampò un sorriso irreale. Mangiammo cose sfiziose per un mese intero e regalò un vestito nuovo a mia madre.

Il padre di Federico invece è stato invitato ad una di quelle famose feste all'interno del castello. Non è benestante ma ha curato e salvato il cavallo del Re che si era ferito in una uscita di caccia alla volpe. Ci ha spiegato per diverse volte come è il castello e le sue sensazioni. Ha pianta quadrata con muri merlati e quattro torri angolari, circondata da un ampio fossato. Una volta entrati dal ponte levatoio si arriva in un cortile interno. La festa si è tenuta lì con immensi tavoli in legno imbanditi con ricche pietanze di carne e pesce. Un paio di scale portano ai piani superiori ma non si sa bene cosa ci sia. Parlando con altre persone presenti alla festa gli è stato riferito che esistono anche le prigioni e una sala degli specchi dove le guardie possono vedere la piazza dall'interno e che esistono diverse leggende sulla Rocca. Una di queste narra che nei sotterranei viva un grosso ragno e che nessuno possa accedere a tale zona. Tutti quelli che sono entrati nei sotterranei non sono mai tornati.

Un'altra cosa che ha sentito il padre di Federico è che il Re e la Regina hanno una figlia. Non si sa l'età, non si sa com'è, non si sa chi è. Segregata in una torre da non si sa quanti anni. Non si sa bene per quale strano motivo. Forse una maledizione, forse un incantesimo o forse, più semplicemente, per la gelosia esagerata del Re.

Mi incuriosiva questa cosa. Molto. Ma dopo quell'occasione non sentì più nulla da nessuno e la mia curiosità svanì col tempo.

Alle ragazze piacevo. Ma solo a quelle del mio rango. Quelle benestanti non mi guardavano nemmeno. O meglio, mi guardavano eccome, ma poi quando si soffermavano sull'abbigliamento, capivano che qualcosa non andava.

Sono stato quasi due anni con Priscilla, la figlia di Giorgione il vaccaro. Lei era molto carina, disponibile e sincera. Ricciola, mora, bel seno prorompente, labbra carnose. Aveva solamente due difettini. Non era simpatica e puzzava di stalla. Inizialmente non avevo dato peso a queste cose; in preda ai miei ormoni impazziti avevo altre priorità. Il problema ancora più grande era che le nostre famiglie si erano già accordate dopo pochi mesi per un eventuale matrimonio. Tutti si sposano giovani. Funziona così. Ma io non ero convinto. Amavo Priscilla. O forse no.

Il giorno in cui decisi di lasciarla non dissi nulla ai miei genitori. Dovevamo incontrarci davanti alla chiesa dopo lavoro. Ero teso e chiesi il permesso alla famiglia Brambilla di smettere un'oretta prima per fare due passi solitari. Avevo mille pensieri. Mi sentivo in colpa, terribilmente in colpa. Nessuno dei miei conoscenti aveva mai lasciato una ragazza. Di solito le famiglie si accordavano ed il futuro di coppia era segnato per sempre. Ma io ero diverso. Piano piano mi avvicinai alla chiesa anche se mancava ancora più di mezz'ora. Vidi in lontananza, in una piccola via, due persone innamorate ed avvinghiate, lui le toccò la gamba sollevandole delicatamente la gonna. Tornai ai miei pensieri distogliendo lo sguardo quando mi accorsi di un dettaglio clamoroso. Fissai la coppia innamorata, fissai lei, solo lei. Aveva un nastro viola in testa che raccoglieva i capelli riccioli. Quel nastro gliel'avevo regalato io. Era Priscilla. Era Priscilla? Sentì il sangue ribollire dentro e mi mancò il respiro. Non sarà lei. Mi sarò confuso. Mi avvicinai. Era Priscilla. Pensai in un decimo di secondo a cosa fare. Sceneggiata clamorosa? Pugno in faccia a lui?

Loro non si accorsero di me. Nemmeno quando fui vicino. Mi fermai ed esclamai a voce alta: "Ah".

Priscilla mi guardò, scoppiò a piangere imbarazzata e scappò via. Lui la seguì.

Io rimasi li, immobile. Fece silenzio anche la mia mente. Da un lato dovevo essere contento per tutta la fatica risparmiata, ma mi sentivo derubato, truffato, preso in giro.

Me ne tornai a casa dove per una settimana non rivolsi parola a nessuno. Avevo perso la fiducia nelle donne.

Le dodici fatiche di ArturoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora