Processo

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Andrea sedeva accasciato su una scomoda panca di legno che si trovava in un corridoio del tribunale. Si reggeva la testa con le mani e teneva gli occhi fissi sul pavimento. Fino a poco prima voleva piangere, urlare, prendere a pugni il muro, ma era come se non avesse più la forza per farlo, si sentiva vuoto apatico. Le parole dei genitori e dell’avvocato che gli stavano accanto gli arrivavano ovattate, tutto gli scivolava addosso tranne quel numero che aveva detto il giudice poco prima. Quel numero che avrebbe definito il suo prossimo futuro. CINQUE. Cinque anni di reclusione. Cinque anni. Quello che i latini definivano un Lustro. Cinque anni come quelli che aveva passato al liceo. Cinque anni come quelli che aveva giocato a calcio. Cinque anni come quelli della sua cuginetta Marta. Cinque anni l’età della sua prima cotta. Cinque anni il tempo che conosceva Costanza. Cinque anni , gli anni della sua condanna. Cinque anni senza libertà. Quel numero lo schiacciava. Come sarebbe stato? Avrebbe messo la sua vita in pausa? E poi? Si passò più volte le mani sul viso per far sparire quel maledetto numero dal cervello. Era inutile pensare al poi perchè il presente si faceva sentire prepotentemente, gli stava presentando il conto per quello che aveva fatto nel passato e si sarebbe rubato 5 anni dal suo futuro. Buttò la testa indietro per prendere aria. 

Costanza era uscita dall’aula di tribunale prima che il giudice si esprimesse sulla condanna. La madre l’aveva accompagnata fuori e si era momentaneamente allontanata per prenderle un succo di frutta al bar, perchè a aveva lo stesso colore della camicia bianca che indossava; queste erano le parole che aveva usato. Lei si lasciò cadere pesantemente sulla panca lì vicino. Sentiva le sue gambe e tutto il suo corpo affaticati come se avesse appena finito una maratona piuttosto che una testimonianza. La sua mente riviveva ogni gesto e ogni parola che aveva appena detto.

Il giudice l’aveva chiamata per testimoniare, lei si era alzata e silenziosamente aveva raggiunto la barra dei testimoni, poi si era seduta, si era aggiustata la gonna grigia e aveva rivolto il suo sguardo ai giudici che le avevano sorriso come incoraggiamento.

Poi aveva spostato il suo sguardo al tavolo dove era seduto il padre di Filippo e il PM che era ufficialmente responsabile di rappresentare l’accusa contro Andrea. Era un ometto basso con degli occhiali dalla montatura pesante e uno sguardo sveglio quasi beffardo.

L’ometto si alzò e si avvicinò a Costanza sorridendole con un ghigno. Quando aprì la bocca per farle la prima domanda si sentiva nervosissima come se stesse per subire un’ interrogazione per cui non aveva studiato. Ecco, ci siamo. Pensò.

All’ inizio le parole uscirono con difficoltà perchè la gola era piuttosto secca, ma poi andando avanti con il suo racconto di quella notte si sciolse e con una certa freddezza e distacco riuscì a raccontare tutti i fatti così come si era preparata qualche giorno prima. Raccontò della festa a cui erano stati dove avevano entrambi bevuto, ma non fece cenno alla droga che Andrea aveva assunto finchè l’avvocato non glielo chiese direttamente più volte e allora ammise di aver visto Andrea farsi un paio di strisce di cocaina. Il PM insistette chiedendo se anche lei si fosse drogata, magari solo un po’, giusto per provare; ma la ragazza negò più e più volte. Continuò poi raccontando di aver litigato con Andrea e di averlo praticamente obbligato a riaccompagnarla a casa lasciandolo guidare nonostante sapesse che non era in perfette condizioni, ma aveva visto persone guidare in stati peggiori. Qualche lacrima rischiò di rotolare giù quando raccontò questa parte perchè quella, quella superficialità, quel capriccio erano la sua colpa il motivo per cui la sua coscienza non la lasciava in pace.

Infine raccontò di come Andrea infastidito stava bruciando tutti i rossi sostenendo che a quell’ora non passasse nessuno finchè non si rese conto troppo tardi che stavano per prendere un piccolo motorino che in quel momento stava attraversando l’incrocio. Aveva chiuso gli occhi per non vedere, ma aveva sentito perfettamente il rumore dell’impatto. Quando li aveva riaperti terrorizzata Andrea si era fatto prendere dal panico e aveva messo il piede sull’acceleratore per scappare. Lei si era lanciata su di lui picchiandolo e urlandogli di tornare indietro, perchè sul motorino c’erano due ragazzi  e dovevano vedere come stavano, dovevano tornare indietro. 

Il ragazzo dagli occhi verdiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora