Maximilian Günther #1

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Richiesta da Hulkismylove

"Dio, non ti facevo così idiota!" la mia mano è già sulla maniglia della porta di casa del tedesco, la spalanco senza pensarci due volte.

"Jen, aspetta!" Maximilian è a un passo da me, ma non mi raggiunge in tempo per fermarmi, che sono già giù per le scale del condominio.

"No Max, vaffanculo!" gli urlo, in preda alla rabbia. Non pensavo che fosse così stupido da non riuscire a fidarsi di me, nonostante io lo conosca da ormai sei anni e sia la sua ragazza da cinque. A volte quando si mette in testa qualcosa è praticamente impossibile farlo desistere dai suoi intenti, e mi sembra che in questo momento si stia comportando da bambino. Conosco già Alex White, ed è probabilmente il peggior manager che io abbia mai conosciuto, è riuscito a far cadere in rovina decine di giovani piloti promettenti e ora ci sta provando anche con Max, proponendogli cose che non stanno né in cielo né in terra.

"Jennifer!" la voce di Max si fa più grossa, ma non mi spaventa, continuo a scendere le scale imperterrita, finché non arrivo al portone d'ingresso ed esco in strada, fuori è già sera, le luci del tramonto infiammano il cielo di Monaco e una folata di vento caldo mi investe in pieno tra i vicoli del Principato. Sento il portone sbattere alle mie spalle, ma non c'è Max, almeno non per ora. Lo sento solo qualche minuto dopo, quando mi volto per cercarlo e lui è lì che mi guarda con quel suo sguardo da cucciolo ferito che di solito riesce a convincermi, ma non stavolta, lui deve capire che a sto giro rischia troppo. "Vuoi dirmi perché cerchi di ostacolarmi?" chiede, con voce ferma ma a un volume non troppo alto, in modo che le attenzioni di chi è in giro o sui balconi sopra di noi non vengano puntate tutte nella nostra direzione.

"Ti avrò già detto un migliaio di volte in questi ultimi cinque giorni che conosco alla perfezione quell'uomo, il suo unico obiettivo è quello di far naufragare la tua carriera, ho già avuto a che fare con lui in passato, e oltre a essere un manager che non è in grado di svolgere il suo lavoro è la persona più meschina e approfittatrice di questo pianeta. Sfrutterà di te tutto quello che possiedi da cui può trarre vantaggio, ti prosciugherà il conto in banca e ti lascerà in strada, e di certo non potrai tenerti la casa, le macchine, la moto e il posto di lavoro, perché sì, ti farà perdere anche quello. Stiamo insieme da cinque anni e non mi verrai a dire che adesso ti fidi di uno sconosciuto e non di me, mi auguro." il mio tono di voce è più alto del previsto, probabilmente avrò attirato sguardi indiscreti, ma non mi importa. Max rimane in silenzio, probabilmente a riflettere su quello che gli ho detto. "Senti, io vado a farmi un giro, tu fai quello che ti pare, non aspettarmi per cena." infilo le mani nelle tasche del vestito, Max non risponde, così mi volto e comincio a camminare per le strade di Montecarlo, le suole delle scarpe da ginnastica che impattano contro l'asfalto monegasco e il vestito che svolazza seguendo le volontà della brezza serale estiva.

Cammino per quella che mi sembra un'ora, quando in realtà sono solo dieci minuti, e mi ritrovo davanti a Starbucks vicino alla Rocca, dove ordino una misera insalata e una Coca-Cola giusto per mettere qualcosa sotto i denti. Mi siedo a uno dei tavolini fuori dal locale e mi perdo a osservare il tramonto, con il cielo che illumina le case intorno al porto più piccolo di Monaco, che si vedono da qui, la gente passeggia sulla zona pedonale sopraelevata, in lontananza un rombo di motore mi fa venir voglia di voltare la testa e cercare l'auto che lo ha emesso, ma so che non riuscirei a vederla, non sarebbe nella strada accanto al locale. Sento il cellulare vibrare in tasca, insistentemente e per qualche minuto, poi smette. Sento altre vibrazioni, più corte e che si ripetono ogni quattro o cinque secondi. Tiro fuori il telefono dalla tasca del vestito quasi svogliatamente, mentre ancora addento un'altra forchettata di insalata, e nello stesso istante si illumina lo schermo con il pop-up di un altro messaggio su Whatsapp.

Jen, lo sai che sono un coglione, torna a casa dai.

È Max, e sembra davvero pentito quando apro la chat. Forse sono stata davvero troppo dura con lui stavolta, l'ho attaccato senza pensare alle conseguenze. Gli altri messaggi che mi ha mandato sono davvero pieni di pentimento per quello che ha fatto.

Jen, scusami.

Davvero, penso di non aver riflettuto abbastanza su quello che mi ha detto Alex.

Sei via solo da un'ora, ma forse sono talmente idiota da non riuscire a capire, se qualcuno a cui tengo non sparisce per un po'...

E mi sento in colpa per averti trattata così.

Poi c'è il messaggio che ha mandato qualche secondo fa. Alzo lo sguardo sul suo nome, sotto il quale appare la dicitura sta scrivendo...

Non meriti che io ti tratti così.

Ti amo, per favore, torna.

Per Max è difficile esprimere a parole i suoi sentimenti e odia doverlo fare per messaggio, il che vuol dire che gli importa davvero di come si è evoluta la situazione con me. Finisco l'insalata con ancora il telefono in mano, con la sua chat ancora aperta, e poi mi avvio verso casa, dopo aver buttato nel cestino del locale la vaschetta di insalata e la lattina vuota di Coca-Cola. Gli mando un messaggio veloce, dicendogli che sto tornando, per non farlo preoccupare, so bene che non gli piace quando sparisco nel nulla. Percorro la strada di ritorno a casa con calma, per quanto lo ami ho ancora bisogno di stare un pochino da sola. È quasi buio ormai, per le strade le auto passano veloci, qualcuna più mondana e qualcuna più sportiva, in lontananza per la strada di casa vedo la macchina di Lucas Di Grassi che mi viene incontro e mi supera, salutandomi da dentro l'abitacolo con un cenno della mano. Non abitiamo distanti dalla casa del brasiliano, e ogni tanto ci vediamo per una pizza o una cena tra amici o da lui e sua moglie con suo figlio oppure da noi. Penso a Leo, il figlio di Lucas, che ora ha quasi tre anni: è tutto suo padre, nonostante lui cerchi di non trasmettergli troppo della sua passione per le auto, il piccolo gioca sempre e solo con le cose di suo padre che in qualche modo si ricollegano all'universo quasi a sé stante in cui lavora lui. Sospiro, non posso negare che quello sarebbe il futuro che vorrei anche io con Max. Ma so bene che entrambi siamo giovani, nessuno ci corre dietro, e per ora di avere figli non me la sento proprio. Inoltre, l'università mi porta via troppo tempo e tra poco dovrò iniziare il secondo anno della magistrale, il che significa che non potrò permettermi distrazioni. Con questi pensieri che seguono un flusso incoerente per la mia testa, arrivo sotto casa e suono al citofono per farmi aprire. Passano pochi secondi prima che il portone si apra con uno scatto metallico, salgo lentamente le scale, incontro qualche vicino che saluto in automatico. Mi fermo davanti alla porta di casa, con il dito quasi sul campanello, ma Max ormai sa a memoria il tempo che ci vuole a salire le scale e apre la porta un attimo prima che il mio indice si posi sul piccolo pulsante. Mi fa entrare, mi dirigo direttamente verso lo sgabuzzino e mi tolgo le scarpe.

"Jen..." inizia lui, ma lo interrompo.

"Lo so che ti dispiace, e io riconosco di essere stata troppo dura con te..." mi avvicino al divano, lui sta in piedi a qualche metro da me. "Ho esagerato, non avrei dovuto trattarti in questo modo."

"È che sono un cretino, dovresti saperlo, a volte faccio le cose senza pensare. Meno male che esisti tu, che mi fai fare le scelte giuste." sorride, lo sguardo basso sul pavimento. Sorrido a mia volta, leggermente in imbarazzo. "Sono così fortunato ad averti." alza lo sguardo, e io mi perdo nei suoi meravigliosi occhi azzurri. È proprio così che mi ha fregato la prima volta che l'ho visto... quando alzò per la prima volta lo sguardo su di me, lui nel suo box e io fuori, mentre facevo un giro per il paddock, lui aveva il casco in testa e la visiera era ancora alzata. E combinazione volle che un raggio di sole avesse la perfetta inclinazione per illuminare il suo viso seminascosto dal casco. I suoi occhi brillarono di un azzurro talmente intenso che mi sembrò quasi impossibile che fossero occhi umani. Max si avvicina, cautamente, come a chiedermi il permesso. Annullo la distanza tra di noi, posando le mani su di lui, le sue labbra si avvicinano alle mie, le sue mani sulla mia vita.

"Scusa se ti ho trattato male." mormoro, incapace di sostenere il suo sguardo.

"E tu scusami per essere un emerito idiota." quasi mi vien da ridere, cerco di trattenermi il più possibile.

"Forse un pochino lo sei." il mio sorriso si scontra con le sue labbra e il bacio diventa subito intenso, bacia sempre in una maniera che è solo sua, lasciandomi quasi subito senza fiato. "Ma ti amo esattamente per come sei." sussurro, appoggiando la fronte contro la sua, ad occhi chiusi.

"Anche io ti amo Jen."

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