The Hospital.

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Mi svegliai in ospedale.

Faceva un freddo cane, mi coprii.

Guardai intorno a me.

La camera dell'ospedale era piuttosto spoglia: due letti, due comodini, apparecchiature mediche, e un televisore spento.

Mi sollevai, la spalla bruciava ancora un po', la gamba probabilmente era guarita.

Mi sedetti sul letto e notai un vaso trasparente, all'interno dell'acqua sporca e dei fiori secchi. Sembravano lì da mesi.

Mi alzai in piedi, infilai un paio di ciabatte e notai che le apparecchiature mediche non funzionavano, erano spente.

<< Cosa cazzo.. >>

Vicino al vaso c'erano i miei vestiti e delle scarpe che indossai subito.

Provai ad accendere la TV ma non c'era segnale. Maledetti ospedali.

Prima di uscire mi avvicinai alla finestra e scostai le tende.

<< Mi aspettavo una vista migliore >> borbottai. Aprii la porta con un po' di fatica e mi ritrovai nel corridoio.

Non c'era nessuno, così decisi di andare di sotto ed uscire da quel fottuto ospedale.

L'ascensore non andava, dovetti quindi fare quattro rampe di scale a piedi.

Scesi molto piano, non c'era fretta.

Al secondo piano dei lamenti attirarono la mia attenzione.

Aprii la porta, che fece uno strano cigolio, sembrava non venisse aperta da mesi.

Alla mia sinistra vidi un paziente vagare per il corridoio.

<< Hey amico! >> Gli urlai.

Lui si girò e mi venne incontro borbottando sommessamente. Sembrava zoppo.

<< Sei il primo che vedo da quando mi son svegliato. >>

Il paziente era sempre più veloce e la luce delle scale alle mie spalle – l'unica funzionante- mi mostrò il suo viso.

Urlai dalla paura, e il paziente mi saltó addosso, voleva... mordermi...

La puzza era insopportabile.

Chiesi aiuto, ma questo non fece altro che invogliare quello strano uomo.

Cercavo di levarmelo di dosso, continuando ad urlare.

Da lontano un orda di persone corsero verso di me.

<< AIUTATEMI, PORCA PUTTANA! >> erano sempre più vicine.

Zoppicavano anche loro e la puzza stava diventando troppo forte.

Realizzai che gli uomini che mi stavano venendo incontro erano come quello con cui stavo lottando.

Preso da un'improvvisa scarica adrenalina riuscii a sollevarlo e a toglierlo dal mio corpo.

Mi chiusi la porta alle spalle e scesi le scale il più velocemente possibile.

La gamba stava cedendo, il dolore era così forte che non riuscivo a respirare.

La porta cadde sotto il peso di quelle persone che continuavano a seguirmi.

Al primo piano c'erano altri "pazienti".

Mi fermai a osservarli per un paio di secondi:

arti rotti, vestiti stracciati e pieni di sangue. Gli stessi movinenti della mandibola facevano rintoccare i denti in un suono spaventoso. Ma la parte peggiore erano gli occhi, gli occhi vuoti, bianchi, dai quali non lasciavano trasparire emozioni.

Erano morti, ne ero sicuro.

Uscii finalmente dall'ospedale, chiusi la porta principale e mi misi a correre.

Non sapevo dov'ero, di certo non ero a New York.

La ferita alla spalla si aprì e imbrattó i vestiti di sangue.

Ero in un piccolo paese, sicuramente ancora negli Stati Uniti.

Nelle strade non c'era nessuno.

Ero solo, ancora.

Welcome to the new ageDove le storie prendono vita. Scoprilo ora