Capitolo 22: Lisette

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Arrivai sulle coste al galoppo. «Vi serve un mozzo,» constatai, salendo sulla prima nave che trasportava sale verso est.

«Che cosa?» il capitano mi seguì di corsa, correndomi dietro.

«Sono diretta a Braavos. E voi state andando lì, no?»

«Come fai a saperlo?»

«C'è scritto sulla cartellina che hai in mano.»

L'uomo guardò in basso, e il suo volto assunse ogni sfumatura di colore tra il verde, il bianco e il rosso. «Ora,» dissi, incrociando le braccia al petto, «io ho solo queste due monete d'oro, e posso lavorare come mozzo, ovviamente non stipendiata. Spero che basti per comprarmi un viaggio a Braavos.»

In realtà di monete ne avevo tre, ma non volevo separarmi dall'ultima per paura di restare senza soldi.

L'uomo sembrò valutare la mia proposta, poi guardò il mio arco. «Voglio anche quello,» negoziò.

«Non se ne parla.»

«Altrimenti?»

Lo sfilai dalla tracolla, e feci per porgerglielo. All'ultimo momento, impugnai il legno con entrambe le mani e lo usai per colpire il marinaio allo stomaco. «Altrimenti rimpiangerai il dolore che stai provando ora.»

L'uomo si alzò in piedi, annaspando alla disperata ricerca d'aria. «Va bene... pietà!» implorò alzando le mani. «Chiedi a lui, ti darà un alloggio e dei compiti da assolvere,» spiegò, indicando uno dei suoi dipendenti.

Poi tornò giù continuando a compilare i fogli che aveva in mano. Io mi sistemai in un angolo, aspettando che il marinaio che mi era stato indicato mi assegnasse qualche compito.

Poco dopo sentii il capitano discutere con un'altra ragazza che voleva andare a Nord, alla Barriera. Mi avvicinai, tendendo l'orecchio.

Quando la ragazza capì che nessuno l'avrebbe portata dove voleva, tese una moneta di ferro all'uomo, pronunciando le parole «Valar Morghulis.»

L'uomo aveva l'aria sbigottita e impaurita, rispose con la formula di rito: «Valar Dohaeris.»

Era fatta: avevo trovato un'alleata che era diretta a Braavos come me.

«Corri su: c'è una ragazza che è appena salita. Forse vi conoscete.»

La bambina, che non poteva avere più di tredici anni, salì su e si trovò faccia a faccia con me.

«Sei tu quella che è diretta a Braavos?» chiese. Io annuii. «Io sono Arya Stark. Qual è il tuo nome?»

«Lisette... Lisette Snow.»

***

Né io né Arya eravamo di molte parole, anche perché lavoravamo molto sulla nave e non avevamo molto tempo di stare insieme. Ma condividevamo la stessa cabina, quindi riuscii a chiederle di Jon e degli altri suoi fratelli.

«Sansa e io non siamo mai andate molto d'accordo,» mi spiegò un giorno. «Ma con Jon era diverso. Eravamo molto simili proprio perché eravamo diversi, nei nostri campi. Io sono una ragazza a cui piace tirare di spada e lui è un bastardo... senza offesa.»

«Nessuna offesa,» la rassicurai, sorridendo. «E Lady Stark?»

«Le volevo molto bene, era mia madre dopotutto... ma non riuscivo a capire il motivo di tutto quell'odio verso Jon. Aveva diciassette anni, quando ci siamo separati, e dopo tanto tempo doveva aver abbandonato ogni rancore, soprattutto dopo che ti aveva allontanata. Poi un giorno Jon si è ammalato di vaiolo, stava per morire, ma io sentivo la mamma che pregava gli Dei. Ha detto che l'avrebbe adottato e considerato come uno di noi Stark se loro l'avessero salvato. Ora non ricordo le dinamiche precise, ero molto piccola... ma quando Jon guarì, lei fu buona con lui solo per un paio di mesi. Nel momento stesso in cui i piedi di nostro fratello hanno toccato il pavimento della stanza, mamma ha ripreso a considerarlo poco più di un servo.»

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