Capitolo 2

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Claudio's POV

Se mai mi avessero detto che un giorno mi sarei ritrovato in una sala d'attesa di un ospedale a stringere tra le braccia quella che è ormai da anni la mia allieva, certamente sarei scoppiato in una fragorosa risata per l'assurdità della scena. La stessa scena che si sta proiettando in una realtà mai stata così vera.

Del resto è da un bel po' di tempo che le cose nella mia vita non vanno come avrei immaginato, precisamente dal momento in cui una ragazza combina guai tanto distratta quanto indiscutibilmente bella è finita sulla mia strada, per puro caso, in una giornata di lavoro come le altre.

Lo ricordo come se fosse ieri quel giorno: ero stato convocato dal vice questore Calligaris per un caso di omicidio, una badante russa ammazzata con un corpo contundente nella casa in cui prestava servizio, la casa della nonna di Alice.

Quel giorno indossava una maglia improvvisata infilata unicamente per coprire il pigiama imbarazzante che aveva indosso, ricoperto quasi interamente da stampe di papere qua e là, mentre i capelli castani erano raccolti in una coda disordinata. La sua figura slanciata si è guadagnata subito il mio sguardo, ma d'altronde non è mai stato un segreto per nessuno che apprezzassi particolarmente la bellezza del genere femminile.

Mai avrei immaginato che sarebbe riuscita a cambiare la mia vita tanto radicalmente. Mai avrei pensato di arrivare a mettere in discussione ciò che in passato avrei dato per scontato, come l'accettare una cattedra per la direzione di un istituto a Washington. Eppure eccomi qui, a Roma, lontano da quella che un tempo avrei definito l'occasione della mia vita. E la parte più divertente è che nemmeno me ne pento.

"Il proiettile non ha danneggiato nessun organo vitale" queste sono state le prime parole del dottore in camice bianco che ha poi continuato, "tuttavia non possiamo ancora dire con certezza che sia fuori pericolo. Non possiamo far altro che aspettare che riprenda conoscenza"

Questo è tutto ciò che riesce a dirci sulle condizioni di Sergio prima di sparire in un altro reparto, rapido nell'andarsene così come velocemente si è palesato di fronte a noi.
Sergio è il magistrato con cui negli ultimi tempi abbiamo collaborato a diversi casi, nonché il rivale che fino ad un paio di settimane fa sono arrivato a detestare per quanto stesse col fiato sul collo della mia Alice, provocando in me quel fastidio tipico della gelosia che non ammetterò mai di provare, almeno non direttamente.

Quel che invece provo in questo momento è un gran senso di impotenza, lo stesso che immagino stia provando anche Alice. È rimasta ferma a pochi passi da me ed ha lo sguardo puntato sulle porte chiuse che permettono di accedere alla terapia intensiva. La conosco abbastanza per immaginare lo struggersi interiore che si starà scatenando in lei, del resto con Sergio è stato chiarito tutto e so che quel che la lega a lui non è altro che un gran affetto, un'amicizia che lui ha accettato di buon grado.

"Andiamo a casa, ti va?" le propongo semplicemente.

Le sue dita stanno letteralmente stritolando le mie da almeno qualche minuto, ma nell'udire la mia richiesta sembra ridestarsi da quello stato di tranche in cui era caduta. Mi guarda, sul suo viso non c'è la minima traccia del sorriso che è solita sfoggiare ma soprattutto la serenità che aleggiava intorno a noi in aeroporto è completamente svanita, lasciando spazio ad una grande preoccupazione che condividiamo. Non sembra molto convinta, so che vorrebbe rimanere qui nell'eventualità in cui Sergio si risvegliasse ma non c'è parte di lei che non metta in luce tutta la sua stanchezza, in particolare le sue palpebre ridotte a poco più di due fessure.

Allungo la mano verso il suo volto, le mie dita scorrono sulla pelle morbida dei suoi zigomi tracciandone la forma mentre abbozzo un sorriso appena percepibile con l'intenzione di tranquillizzarla almeno un minimo. Non è da lei stare così a lungo in silenzio, colei che è sempre pronta a spezzarlo nei momenti meno adatti, anche nel pieno svolgimento di un'autopsia.

"Alice, stare qui non farà risvegliare Sergio ed è stata una serata fin troppo pesante, hai bisogno di riposare" continuo poco dopo, cercando di farla ragionare.

"Va bene" biascica infine con un filo di voce, dopo qualche attimo di esitazione.

Ci avviamo verso l'uscita, fortunatamente il mio appartamento dista pochi minuti a piedi dall'ospedale e non devo sprecare altro tempo a ritentare la fortuna nel cercare un taxi disponibile. Rimpiango la mia SLK grigia parcheggiata nel garage prima della mia partenza prevista e ormai saltata.

Il cielo si è fatto ormai scuro, do una veloce occhiata all'orologio da polso che segna le due di notte e posso affermare di aver una gran voglia di raggiungere il mio letto caldo per lasciarmi indietro questa giornata tanto stressante. Peccato soltanto che qualcun altro non sembri del mio stesso avviso, dato il suo passo insolitamente fiacco e svogliato.

Improvvisamente sento la sua mano tirarmi verso di lei e per un soffio non finiamo entrambi a terra. Eccola la mia Alice: incredibilmente goffa e persa nel suo mondo di marzapane. Impreca a bassa voce ma non abbastanza affinché io non riesca a cogliere i suoi soliti modi di esprimersi estremamente spontanei.

"Sacrofano, non te l'ha mai detto nessuno che per affrontare una corsa di quel calibro bisogna prima assicurarsi di indossare le scarpe giuste?" la ammonisco con un pizzico di divertimento nella voce nell'aver constatato che è riuscita ad inciamparsi nei suoi stessi piedi per l'ennesima volta.

"Conforti, non te l'hai mai detto nessuno che sei incredibilmente insopportabile?"

Beh, se non altro fuori dalle mura di quella sala d'attesa che ci ha ospitato per ore sembra un po' più tranquilla.

"Almeno un migliaio di volte, e sono abbastanza sicuro che sia stata quasi sempre tu a ricordarmelo"

Manca solo qualche metro al mio appartamento, così decido di lanciarmi in uno dei miei rari gesti di bonarietà verso il prossimo. Mi avvicino alla mia goffa allieva e porto le mani a cingere la parte alta delle sue cosce, guadagnandomi uno sguardo indignato da parte della diretta interessata.

"Che intenzioni hai? Guarda che posso mettermi ad urlare senza.." non fa in tempo a finire la frase perché nel frattempo l'ho già sollevata da terra, facendole poi portare le gambe attorno ai miei fianchi per farla reggere meglio.

"Zitta" borbotto accennando uno sbuffo, ma subito dopo del mio tono canzonatorio non c'è più traccia perché se c'è una cosa che amo più del farle la predica quella è sicuramente provocarla con qualunque mezzo mi sia concesso.

Porto il viso verso il suo ma al posto di soffermarmi sulle sue labbra, devio inaspettatamente verso il suo orecchio per poter sussurrare ciò che sto per dirle, come a volerle confidare qualcosa che rimarrà soltanto nostro, senza nessuna intromissione.

"E poi, Allevi, l'ultima volta che ho controllato non mi sembrava ti spiacesse poi così tanto godere delle mie attenzioni"

So che avremmo mille discorsi da affrontare prima di riprendere quel continuo battibecco che ha sempre contraddistinto il nostro rapporto, ma è l'ultima cosa a cui voglio pensare dopo tutto ciò che questa giornata ha riservato per noi.

Per questo motivo, varcata la soglia del mio appartamento lascio andare la presa su di lei ma mi affretto a poggiare istintivamente l'indice e il medio sulle sue labbra, in una tacita richiesta di non aggiungere altro. Non questa notte. Non dopo aver rischiato di perderla sul serio. Non dopo gli sforzi e la fatica che ci sono costati per ritagliarci finalmente un momento soltanto nostro, un'intimità che ci siamo negati per troppo tempo.

Le nostre mani si cercano così come le nostre labbra che si uniscono in un bacio che esprime alla perfezione tutta la passione e l'urgenza di quel contatto che entrambi abbiamo bramato per ore, giorni. I nostri vestiti finiscono ben presto a ricoprire il pavimento del mio salotto e non servono parole, i nostri corpi parlano per noi meglio di quanto siamo mai riusciti a fare.

L'Allieva 3 - Un'irreversibile consapevolezzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora