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Non visualizzo nemmeno il messaggio. Mi basta leggerlo dalla tendina per balzare in piedi, gridare al tipo accanto a me di stare un attimo attento ai bagagli e correre verso i controlli.
Mentre corro e mi faccio largo tra la gente intravedo mio padre e gli urlo di tornare subito alle valigie, per poi sparire tra le scale mobili senza nemmeno dargli il tempo di una risposta o di un cenno del capo.

Dopo svariate rampe di scale,  rischiando più di una volta di cadere con la faccia a terra e di travolgere qualcuno, arrivo all'ingresso dell'aeroporto ed è lì che lo vedo, dopo la sezione dei controlli.

Alto, con la  camicia bianca che gli ho regalato quando abbiamo fatto un anno di fidanzamento che gli si adatta perfettamente al corpo e  che gli fa intravedere leggermente gli addominali. I suoi capelli ricci neri come i miei, lievemente spettinati dall'aria che proviene dal condizionatore e i suoi occhi verde smeraldo che si illuminano ancora di più non appena incrociano i miei color nocciola. In una mano tiene un pacchettino lilla, nell'altra invece un mazzolino di girasoli, nonché i miei fiori preferiti in assoluto.  Ci guardiamo per qualche secondo per poi avvicinarci, prima piano, poi a passo sempre più sostenuto.

A un certo punto l'altoparlante annuncia che il mio volo partirà tra quindici minuti. Cazzo.  'Aria, non puoi fermarti ora però' mi dico. 

Nel frattempo una poliziotta blocca Tommaso dicendogli che se non ha il biglietto aereo non può passare. Io mi avvicino, prefissandomi di non piangere e di dargli solo un bacio veloce, salutarlo e scappare prima che mio padre si arrabbi sul serio.
Mostro il mio biglietto aereo alla poliziotta e le chiedo di farmi passare dall'altra parte solo per  pochi secondi.

Lei inizialmente mi guarda contrariata per poi farmi un impercettibile occhiolino e lasciarmi passare. Supero il nastrino che ci separa e mi catapulto  tra le sue braccia, sentendomi subito protetta e al sicuro. Con lui che mi stringe, con le sue mani che si muovono dolcemente sulla mia schiena leggermente scoperta, visto che indosso una maglia con uno scollo all'altezza delle spalle,  e nonostante i miei singhiozzi e le mie lacrime che non tardano a uscire, sono felice. Rimmarrei tra le sue braccia ogni secondo della mia vita.

Ogni volta che mi abbraccia, è come se il mondo si fermasse e tutto intorno a me si dissolvesse.

Ovunque ci troviamo: a scuola, in centro a Verona, a un concerto.

Ovunque.

Se lui mi tocca, intorno a me non esiste più niente. Io stessa mi sento intoccabile, so che lui mi proteggerà a costo della sua stessa vita e io farei altrettanto per lui. Mentre sono persa tra i miei singhiozzi e i suoi vani tentativi di calmarmi, lo squillo del telefono rompe il momento magico. 

Mio padre.

Dovevo andare. Lui mi guarda passandomi una mano sulla guancia per asciugarmi le lacrime, baciandomi e  accarezzandomi  i capelli lisci e lunghi fino alla spalla, che lui mi aveva spinto a tagliare in terzo superiore, quando mi arrivavano  ancora fino alla fine della schiena.
Io ricambio subito il bacio, mettendomi in punta di piedi per arrivare alla sua altezza, visto che abbiamo parecchi centimetri di differenza. Un bacio veloce ma intenso allo stesso tempo, dal quale entrambi facciamo fatica a staccarci. Continuiamo a baciarci fino a  quando il telefono non squilla di nuovo. Sbuffando lo afferro e vedendo che a chiamare è sempre mio padre, concludo che devo  andare.

Mi stacco da lui e vedo che ha le lacrime agli occhi.

Mi guarda, mi porge i fiori e il sacchettino e solo dopo avermeli dati, mi dice la prima parola da quando è arrivato: ''Dentro il sacchetto troverai un biglietto, leggilo appena arrivi, me lo prometti? Fai buon viaggio e ricordati, ti amo''.
Singhiozzando afferro i suoi regali e annuisco con la testa, gli do l'ultimo bacio e comincio a correre verso il mio gate, senza riuscire a dire nemmeno mezza parola.

                                  *
''Dove cavolo sei stata, si può sapere?'' Stiamo per perdere l'aereo per colpa tua, come ti è venuto in mente di lasciare le valigie incustodite e scappare come se ci fosse un terremoto? Che ti è preso Arianna, si può sapere?'' Mi dice mio padre non appena arrivo.

In un primo momento non riesco nemmeno a rispondere, a causa della stanchezza per la corsa e per il dolore che sto provando in questo momento dentro di me, quindi afferro la mia valigia che mi sta tenendo Luciana e mi avvicino a mio padre per dirgli con tono seccato: ''Scusa, era arrivato Tommaso a farmi una sorpresa e non potevo non andare''.

Lui non risponde, da solamente le carte d'imbarco alla signorina dell'aeroporto, non rivolgendomi parola fino a quando non saliamo sull'aereo. Una volta li mi guarda e mi chiede, indicando i fiori, se fossero da parte di Tommaso

Mi limito ad annuire.

Lui mi guarda e fa lo stesso a sua volta, dopo si allaccia la cintura e si addormenta per tutta la durata del volo.

Mio padre ha sempre dormito in aereo, ricordo che da bambina era Luciana a  intrattenermi giocando con me, specialmente quando facevamo lunghi viaggi. Ricordo che, quando andammo in Australia, ci vollero una quindicina di ore, che mio padre si fece tutte dormendo. Io avevo nove anni ed ero troppo emozionata per dormire. Adoravo guardare tutto il catalogo dei
film che ti davano in dotazione sull'aereo, i quali sistematicamente non guardavo mai perché erano tutti in lingua straniera e in generale non adatti a una bambina. Degli aerei e quindi dei viaggi lunghi adoravo soprattutto le hostess e il loro carrello - bar. Ricordo che ogni volta che passavano in cabina, prendevo sempre qualcosa da mangiare o bere.
Degli aerei amavo anche il momento dell'atterraggio, quando ti facevano riallacciare le cinture e l'aereo cominciava ad abbassarsi fino a che tu potessi scorgere i paesaggi e i colori del luogo di destinazione dal finestrino.

Però, per la prima volta in tutta la mia vita sto odiando volare. Non guardo nemmeno le hostess che passano con il carrello - bar, nonostante Luciana mi abbia proposto più volte un the freddo alla pesca e uno snack.

Mi sento così vuota, tanto che al momento dell'atterraggio non riesco nemmeno ad ammirare  il paesaggio che si intravede dal finestrino.
Quello che vedo, il colore verde dei campi e la flora mediterranea, non mi mette allegria ma solo tanto tristezza e voglia di tornare a casa. 

L'aereo atterra con delle leggere turbolenze causate dal vento che va a sbattere contro le ali, ma finalmente  dopo vari tentativi tocchiamo terra. Sveglio mio padre dandogli una leggera pacca col gomito e aspetto che si alzi, per poi alzarmi a mia volta e prendere la valigia.
Non ricordavo quanto sia odioso questo momento. Tutti ammassati, chi non ricorda dove ha messo la sua valigia, chi rimane incastrato tra i sedili, i bambini che scalpitano per uscire e i genitori che cercano invano di tenerli a bada.

Dopo circa quindici minuti riusciamo ad uscire da quel dannato aereo e ci incamminiamo verso gli arrivi.
Dopo mezz'ora, in cui mio padre ha litigato con il tizio che vende i biglietti dell'autobus perché ci ha venduto i biglietti sbagliati e stavamo per prendere un bus per la Sicilia, e Luciana che ha cercato invano un bagno che non somigliasse a quello di un camion abbandonato da dieci anni,  riusciamo finalmente a salire in autobus.

Una volta seduta, a debita distanza da mio padre e Luciana, prendo le cuffiette dalla tasca dello zaino e riaccendo il telefono. Mentre cercavo il power bank, trovo la lettera che mi ha dato Tommaso quando ancora ero in aeroporto a Verona.
La prendo e la metto nel sedile vuoto accanto al mio. Attacco il telefono scarico al powerbank, metto gli auricolari, faccio partire la mia playlist preferita e comincio a leggere.

A tre passi da teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora