❥Past

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«Non hai idea di quanto sono belle le Seychelles, l'acqua è meravigliosa e il cibo è così buono

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«Non hai idea di quanto sono belle le Seychelles, l'acqua è meravigliosa e il cibo è così buono...» parlò entusiasta Jisoo dall'altra parte del mondo. C'era un distacco di cinque ore indietro in Africa, rispetto a Seoul e l'amica approfittò per chiamare Nyha in quel momento, visto che in Corea erano le otto di sera.

«Lo posso immaginare, dicono che l'acqua sia così cristallina da sembrare aria» sussurro cercando di non far trapelare il mio stato d'animo così catatonico. Ma ogni ogni volta che provavo ad aprire bocca finivo per singhiozzare, quindi mi limitavo a formulare frasi brevi e secche.

«Com'è il tempo lì a Seoul?» domanda cristallina, in sottofondo si sentiva la voce di Tae mentre formulava alcune frasi in inglese a qualche passante -o almeno era quello che potevo dedurre da una semplice telefonata- sentivo anche il rumore della sabbia e dei gabbiani da qui. «Nuvoloso, piove da quando sei partita sai? Sembra che ti sei portata via il sole» soffoco le labbra contro la manica della felpa sentendole fremere. E se il sole l'avessi portato via io?

«Allora prova a farlo tornare con un sorriso Nyha. Sei riuscita a curare le mie piante in questi giorni?» sorriso? Hai detto sorriso Jisoo? «Si...Quando sono impegnata passa Yoongi. Senti Ji, ora devo andare che ho il cellulare scarico...Ci sentiamo per messaggio va bene?» le mani mi tremavano, ma la voce restava ferma e vacua come gli occhi di un morto.

«Va bene Nyha, salutami tutti quanti e mi raccomando. Prenditi cura di te»

Chiusi semplicemente la chiamata, dopo aver mormorato un 'ciao' basso e fioco come una fiammifero in mezzo al gelo. Rannicchio le ginocchia contro il petto e chiudo gli occhi per pochi secondi. Desiderando per pochi secondi di non trovarmi più su questo piano, nemmeno in questa città e nemmeno in questo mondo.

«Credo che sia arrivato il momento di parlare Nyha, non pensi?»

Jackson continuava a guardarmi come un padre apprensivo che non avevo mai avuto. Stringeva le mani in una preghiera scomposta mentre i gomiti gli solcavano le ginocchia. Era la quinta? No, forse la sesta volta che veniva a cercarmi a casa per provare a farmi uscire dal mio perimetro sicuro. Avevo chiesto una settimana di permesso al lavoro, per chiudermi a chiave nelle quattro mura di casa mia.

«Non penso che esistano parole per descrivere quello che sento in questo momento» parlo, e per un secondo vedo il ragazzo spalancare gli occhi stanchi. Nemmeno lui mi riconosceva più, senza i miei insulti e le mie battute sarcastiche avevo perso quella personalità forte e frizzante che mi caratterizzava. «Tu provaci. Ne devi parlare Nyha, se non con me fallo con qualcun altro cazzo! Anche tuo fratello va bene ma non posso vederti ridotta in questo stato!»

Si alza per poi darmi le spalle, si avvicina alla vetrata grigia e plumbea di Seoul mentre in sottofondo si sentivano i classici rumori della città. Guardavo le sue spalle che annaspavano velocemente, ci conoscevamo da pochi giorni eppure sembravano così legati. Lui mi capiva.

𝑆𝐸𝑁𝑆𝐼𝑇𝐼𝑉𝐸𝑁𝐸𝑆𝑆 | 𝑝𝑗𝑚Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora