Capitolo 3

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  *Il mio buongiorno*
30 aprile
Le cose non cambiavano mai, il tempo che passavo con te sembrava infinito e breve nello stesso momento, avevo voglia di restare con te ma anche di scappare e non potevo fare due cose contemporaneamente: cercavo angoli, persone di grande stazza e carrelli dove potermi nascondere per non mostrarti la parte di me che aveva bisogno di cure.
La più fragile e brutta.
Spenta e irriparabile.
Grigia e spesso nera.
Vivevo di percentuali, di cifre abbozzate, di lacrime ingoiate e urla represse.
Però stavo anche bene, stavo bene quando mi fermavo con le braccia incrociate e lo sguardo confuso per poterti guardare da lontano, stavo bene quando la tua risata si faceva sentire, stavo bene quando eri ancora distante ma appena vedevi la mia figura in lontananza ti avvicinavi per spezzare i metri.

Stavo bene

ed avevo paura che anche tu stessi bene.

Sapevo di doverti dire la verità, ne avevi il diritto ma ogni volta sembrava così ingiusto e sbagliato rovinare quei pochi minuti che potevamo passare assieme.

Era tardi, precisamente le 21.39 ma dovevo vederti,
dovevo vederti per forza.
Ero anche stanca dopo tutti quei medicinali, gli occhi si tenevano aperti per puro miracolo ma dovevo venire da te. Gironzolai per l'intero ospedale in cerca della mia infermiera e quando finalmente la vidi iniziai a chiamarla a squarciola facendole fermare ogni tipo di movimento.
Betty Anderson aveva 42 anni ed la mia dottoressa, la mia migliore amica, la mia psicologa, la mia radio, la mia complice. Era tutto, col tempo siamo arrivate ad avere una complicità impressionante tanto da capirci con un solo sguardo, anche il più vago.

Come in quel caso, le bastò guardarmi per poter "accettare la mia proposta":
«Scordatelo» si può sintetizzare ancora come "NO", un no categorico, deciso, fermo. Autoritario.
Un no che inizialmente mi destabilizzò ma di certo non mi intimorí.

«Ti prego, Betty, solo fin quando c'è lui, per favoreeee» portai le mani unite sotto il mento mentre la guardai imitando lo sguardo più dolce che la natura mi aveva donato.

«No! Amanda ne abbiamo già parlato, devi dirlo anche a lui… e… Non guardarmi così, sai!» mi indicò più volte allontanandosi mentre chiuse gli occhi, sapeva bene che rovinare il mio piano non sarebbe stato affatto carino.

«Ti prego, ti prego-ti prego-ti preeegooo» mi guardò dando i primi cenni di cedimento «Fallo per me» sorrisi come un angioletto e lei sbuffò arrendendosi
«O-oppure per le medicine, si…se mi presterai il tuo camice le prenderò senza fare storie» anche se la mia situazione era chiara e lei lo sapeva meglio di me.

«...» iniziò a ridere «e va bene!» alzò gli occhi al cielo, mi buttai fra le sue braccia per abbracciarla forte  «Nono, inutile che mi abbracci, sei una smorfiosetta» disse mentre sembrava che non volesse più lasciarmi libera

«Oooh lo sai bene che ti amo» le diedi un bacio sulla guancia e restai immobile aspettando che mi desse il suo camice bianco con le ciabatte. Infilai tutto con la velocità della luce e fra i miei pensieri c'era solo “devo vedere Johnny”, attraversai infiniti corridoi bianchi spostando dalla mia carreggiata anche alcuni carrelli di troppo; troppe medicine, troppe facce spente, tutto troppo e tu non c'eri.
Mi guardai attorno con aria delusa e mi sedetti sul pavimento freddo con le gambe strette dalle mie braccia.
Eri andato via senza salutarmi e non me la sarei presa così tanto se le altre notti prima non le avessi passate lì fino al mattino. Mi sentivo così stupida, una di quelle pazze innamorate che si illudono, una che cerca in continuazione i tuoi occhi, una di quelle ragazze che nessuno sceglierebbe perché darebbero tutto, eppure, a tutti farebbe piacere avere intorno.
Restai con gli occhi chiusi e la speranza che saresti venuto a trovarmi, anche se non ne avevi motivo, anche se non sapevi neanche che io ero lì ad aspettare te, anche se con un messaggio avrei fatto prima.

I'll stay among the stars... foreverDove le storie prendono vita. Scoprilo ora