capitolo 5

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Gli disse che...

Che ero triste per aver litigato con il mio migliore amico.

Si chiamava Tay ewing e lui sapeva benissimo che era un ragazzo bellissimo alto ma che non parlava bene l'italiano perché proveniva da SanFracisco. L'avevo conosciuto circa tre anni fa perché tutte le estati vado in vacanza in un paesino dove ho la mia "nonna materna" e lui avendo la madre nativa dello stesso paese viene ogni anno da SanFrancisco tutte le estati e quindi ci incontriamo. Adoro stare con lui, e ci divertiamo moltissimo. Ogni volta che esco in piazza c'è anche lui tutte le estati. Io sentendolo parlare con quell'accento americano mi faccio subito contaggiare e inizio a parlare come lui. Non so ma é più forte di me, mi fa ridere e ha un modo di parlare contaggioso. Io lo chiamo sempre Lucas perché é identico un attore che si chiama così in un film.

Il mio ragazzo é molto geloso del legame che c'è tra me e lui. La distanza che ci separa é quasi metà mondo e questo mi demolarizza e mi fa soffrire tantissimo anche perché non posso cercarlo quando mi va perché avendo il fuso orario di circa sei ore o di più, ho delle ore ben precise in cui scrivergli o chiamarlo che in realtà sono pochissime e a volte mi risponde dopo molte ore quando io non posso o magari é notte da me e sto dormendo.
Ritorno alla mia realtà.

Io: Ho litigato con Tay, é la prima volta e ci sto malissimo. Sono letteralmente schoccata.

Lui sentendo parlare di Tay non si sprecò tanto nel consolarmi, quando in genere ci riusciva benissimo, lui é come se avesse un potere straordinario nel farmi spuntare un sorriso mentre piangevo o magari di farmi smettere di piangere in poco tempo. Mentre ora si limitò a dirmi soltanto:

T: stai tranquilla farete pace. Siete migliori amici.

Guarda l' orario e poi aggiunge:

T: Scusa,devo andare. Ciao.

Io nemmeno lo salutai lo guardai semplicemente allontanarsi velocemente. Io piangevo, piangevo e piangevo ma sopratutto ero sola. Non l'avrei mai detto a nessuno nemmeno alla mia migliore amica. Non l'avevano detto a me i miei genitori figuriamoci se io lo dico ad altre persone.

Tra un pensiero e l'altro dalle cinque e mezza da quando sono scappata da casa si erano fatte le otto ed era ormai buio pesto.

Guardai il mio telefono e avevo una trentina di chiamate, mia mamma e mio padre erano molto preoccupati. Io avevo il muto e quindi non potevo sentirlo, ma poco importava, tanto non avrei risposto comunque.

Tornai a casa.

Mio padre e mia madre mi fecero un sacco di domande come se pensassero che se avessero ignorato la notizia che avevo ricevuto la sera stessa l'avrei ignorata anche io o magari che non ci stessi pensando.

Io non potevo non pensarci e tanto meno ignorarlo perché questa cosa mi aveva segnato a vita e l'aveva cambiata in un attimo facendomi spiaccicare la faccia nell'asfalto talmente veloce da rendermene conto dopo del dolore che stavo provando.

Io andai subito in camera mia ad ascoltare musica che magari mi avrebbe aiutata, non dico a tirarmi si di morale perché era impossibile, ma almeno a non farmi sentire morta dentro come mi sentivo.

Mi addornentai tra pensieri e lacrime per poi risvegliarmi il giorno dopo. Era di lunedì quindi io dovevo andare a scuola ma non me la sentivo proprio. Così non andai.

Rimasi a letto tutto il giorno non mi alzai nemmeno per pranzare o cenare: avevo lo stomaco chiuso per lo schock.

E mi riaddormentai nello stesso modo di ieri.

Non andai nemmeno il martedì a scuola. Era praticamente impossibile.

Non usavo il telefono da due giorni cosi lo accesi e lo guardai: minchia, 1568 messaggi. Tutti da persone preoccupate per la mia scomparsa strana e per non avere utilizzato il telefono due giorni. Anche se devo ammettere che la metà erano della mia migliore amica.

Lei forse era l' unica persona che era veramente preoccupata della mia sparizione.

Non me ne fregava niente di tutte quelle persone, cosí non risposi a nessuno di quei messaggi: non dovevo dare spiegazioni a nessuno e sopratutto non ne dovevo dare a persone che in realtà non erano veramente interessate a me ma che lo hanno fatto solo per educazione.

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Tra una cosa e l'altra mi passa per la mente che l'unico essere vivente che mi poteva aiutare e di cui mi potevo fidare era il mio gatto kimba. Cosi lo feci entrare in camera mia e salire sul letto. Ci addormentammo abbracciati e dormii dalle cinque di sera per poi risvegliarmi la mattina dopo. É allucinante quanto ti stanca piangere ininterrottamente per un giorno intero.

Quando mi svegliai trovai una sorpresa.

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