"Alec..." la sua voce mi riscosse dai miei pensieri "se vuoi raccontarmi qualcosa, qualunque cosa, io ci sono."
Fu quel "ci sono", la speranza di uno che mi avrebbe capito, ascoltato e non giudicato, a spingermi a raccontargli tutto."Avevo 10 anni. Maryse mi aveva chiesto cosa volessi fare da grande. "Il cacciatore di demoni" avevo risposto. "Voglio sconfiggere tutti i demoni. Così papà sarà orgoglioso di me."
Era il mio sogno. Rendere mio padre fiero di me. Aveva sempre un cipiglio severo e sorrideva molto di rado, ma adoravo quando lo faceva. Mi immaginavo sopra una pila di demoni, con Robert che mi dice: "bravo figliolo." Avrei voluto passare molto più tempo con lui. Volevo conoscerlo meglio, farmi amare veramente da lui. Non come shadowhunter, ma come figlio. Ma lui... mi parlava raramente, in tono rude e... se... se sbagliavo ad allenarmi non mi faceva mangiare. Quella era la mia punizione per non essere il figlio perfetto che avrebbe voluto"Non riuscivo a trattenere le lacrime, mentre svelavo a Magnus la mia parte più profonda. Lui capì, si alzò e mi abbracciò, traccianandomi dei cerchi lungo la schiena e calmandomi.
La sua presenza mi spinse a raccontare l'episodio che mi aveva reso così restio a mostrare i miei sentimenti al mondo."Quindi mia madre mi aveva chiesto di disegnarmi da grande.
Allora... io... io... mi sono disegnato da adulto. Ma al mio fianco non c'era mia moglie. Ma un uomo. Sarebbe stato impossibile credere che non fossimo fidanzati, la tecnica di disegno che usavo l'avevo perfezionata in molti anni, le nostre mani erano intrecciate.
Pensavo che mio padre sarebbe stato orgoglioso di me per il disegno, perché mi era uscito bene e avevo impiegato varie ore.
Così glielo mostrai sorridente, sicuro che gli sarebbe piaciuto.
I suoi occhi stavano cercando di elaborare cosa avevo disegnato.
Poi il spalancò, il collo divenne teso e le vene gonfie, il viso paonazzo.
"Cos'è questa merda?" Sbraitò.
Non diceva mai parolacce contro di noi.
Ero spaventato. Da mio padre.
Allora lui prese il foglio e lo strappò, buttò a terra i pezzi e li schiacciò.
Il mio faccino disegnato si riempì di terra delle sue scarpe.
"Cosa vuol dire questo? Dove ho sbagliato ad educarti? Dovevo essere più severo. Devi farti curare. Sei sbagliato."
Avevo un groppo in gola, non riuscivo a respirare, mi sembrava di essere in apnea. Ero così convinto gli sarebbe piaciuto. Mi sentivo... svuotato. Triste. Amareggiato. Deluso.
Tutto questo raddoppiato da quel: "Devi farti curare." Non sapevo di preciso perché, ma mi colpì nel cuore. E capii che niente sarebbe potuto essere come prima.
"Froccio" sputò fuori, lo sguardo schifato.
Non avevo idea di cosa significasse, so solo che lo diceva spesso contro chi gli stava antipatico.
Poi la parte peggiore. Si... si avvicinò minaccioso. La sua mano mi diede un forte schiaffo sulla guancia.
Io lo guardai stupito, stavo andando a fuoco per il dolore. E la tristezza.
Le lacrime solcavano copiose il mio viso.
Lo guardai, inerme. Lo sguardo che implorava pietà, la speranza di svegliarmi da quell'incubo.
Chiuse la mano a pugno e me la sollevò all'altezza della faccia. Stava per colpire, di nuovo, io immobile, non avevo forza per reagire.
Una porta si aprì.
"Robert!" Gli occhi scuri colmi di terrore di mia madre mi fecero ritrovare la forza di muovermi. Corsi via, entrai nella prima camera che trovai: Izzy.
Stava giocando con le bambole, canticchiando.
"Izzy. Sorellina. Mi vuoi bene?"
Chiesi, disperato. Sentivo di poter crollare da un momento all'altro.
Ero io quello forte, il fratello maggiore che la sorreggeva quando faceva i primi passi e aspettava sorridente la sua prima parola.
Mia sorella mi guardò, inclinò la testa, si puntellò il mento con l'indice, in un'espressione eccessivamente pensierosa.
"Certo che ti voglio bene! Sei il mio fratellone!" Fece un sorriso un po' sdentato e mi strinse forte.
"Grazie" soffiai fuori. "Grazie Izzy."
Mi guardò con gli occhioni da cucciolo, poi mi chiese di giocare con lei.
"Certo." La guardai amorevolmente, non sapeva che aveva appena salvato il mio cervello dal considerarmi un rifiuto umano. Sbagliato.
Era la più piccola. Ma con la sua innocenza era la mia ancora di salvezza.
Dopo una dozzina di minuti entrò mia madre.
Mi portò nella mia cameretta, mi fissò dritto negli occhi.
"Tu non sei sbagliato. Sei perfetto. Il mio ometto. Sarai un grande shadowhunter. Un bravo ragazzo. Amerai più forte di chiunque altro.
E quando troverai qualcuno, chiunque, che farà breccia nel tuo cuore, sappi che io ci sarò. Ti accompagnerò all'altare. Ti consolerò.
Ti amerò. Sempre. Ricordalo. Ti prego."
Mi strinse in un abbraccio materno. E lì, tra le sue braccia, mi sentìi al sicuro.
Anche se non avevo capito tutto il discorso che mi aveva fatto, sapevo che per lei era importante dirmelo dalle lacrime che, silenziose, le bagnavano la tenuta da cacciatrice. Lo capìi perché era il discorso più bello che qualcuno mi avesse fatto, mi parlò da pari a pari, come mai prima d'ora.
Per un paio di giorni non vidi più mio padre. E dormii malissimo, ogni volta che chiudevo gli occhi vedevo la sua faccia arrabbiata, e anche se non lo davo a vedere la guancia mi bruciava.
Ma quella sarebbe guarita. Dentro no, ero inevitabilmente terrorizzato.
Mi sentivo un giocattolo rotto, facevo tutto automaticamente. Quando rividi Robert, lui fece come se non fosse successo niente. Ma non sono mai riuscito a perdonarlo. Quando mi posava la mano sulla spalla io sussultavo, volevo respingere i suoi abbracci. I suoi sorrisi erano diventati deleteri per me. Perché niente avrebbe potuto rimettere a posto il casino che aveva combinato.
Dopo molti anni, quando Izzy aveva capito la mia omosessualità prima ancora che io la accettassi, mi rivolse una frase che non dimenticherò mai:
"Un giorno troverai qualcuno che ti amerà per quello che sei, Alec. Che farà breccia nel tuo cuore. E ti renderà felice.
E io sarò lì per te."Avevo finito di raccontare con voce ferma, sebbene dentro rivivere quei ricordi impressi a fuoco nella mia mente mi avesse mentalmente distrutto.
Magnus era senza parole, lo vedevo.
Avevo risvegliato ricordi dolorosi anche in lui.
Sollevò lo sguardo, i suoi occhi da gatto mi fissavano, pieni di dolore e della consapevolezza di essere fra i pochi a cui avevo aperto il mio cuore in modo così disarmante.
Restammo a fissarci per un'infinità di minuti, degli sguardi che dicevano:
"Andrà tutto bene. Stai tranquillo. Il passato è un brutto demone."
Poi parlò: "Alexander, io... non so cosa dire. Portare un peso così grande... in pochi lo farebbero. È inutile dire quanto mi dispiaccia, ma voglio che tu sappia che se vuoi raccontarmi altro... io non scappo.
Ora... vuoi uscire a fare due passi?"
Annui, la bocca asciutta per il racconto.L'aria era frizzante, piacevole.
Osservai Magnus che mi raggiungeva, sorridente.
Allora presi coraggio. Perché la vita mi aveva fatto troppo male. Ero stato troppo tempo ad accettare tutto senza controbattere. Mi ero sottomesso ad una società antiquata. E non mi importava cosa pensasse la gente.
Perché lì, sotto una leggera pioggia, fissai l'uomo che amavo, ammirandolo in tutta la sua bellezza.
Gli accarezzai lo zigomo col pollice. Presi coraggio. E lo baciai. Chiusi gli occhi, beandomi di quella sensazione, mentre il bacio diventava più intenso, e le sue mani mi strinsero delicatamente la vita. Sentivo il suo calore e la loro presenza anche sotto il pesante giubbotto. Gli passai l'altra mano sulla nuca, cingendogliela.
Poi una voce. Che avrei sperato di non sentire mai più. Che popolavano i miei incubi. Che avrebbe dovuto accertarmi, ma mi odiava.
Capì chi era prima ancora di vederlo.
Robert.*Spazio autrice*
Non so se questo capitolo è venuto bene, ho impiegato un paio di ore per scriverlo, anche se avrei dovuto fare i compiti. Dettagli.
Stellinate se vi piace, spero sia così.
Alla prossima.
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Yᴏᴜ Mᴀᴋᴇ Mᴇ Hᴀᴘᴘʏ - Mᴀʟᴇᴄ
Hayran KurguDALLA STORIA: È successo tutto troppo rapidamente, Magnus che si getta ben poco delicatamente su di me e inizia a cercare le mie labbra, io che non glielo nego, il suo sapore che mi riempie la bocca, la sua lingua nella mia, che parlano una lingua...