Capitolo 20

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Camminavo sulle stradine sterrate dei boschi russi da qualche ora, cercando di trovare la casa del padre di Natasha, ma sembrava invisibile all'occhio umano.

Sbuffai esasperato dalla ricerca e mi sedetti su un masso per riprendere fiato e guardare la nuova foto incastonata nella mia bussola. Natasha sorrideva nella foto, era serena e non era costantemente perseguitata dal suo passato.

Solo vederla su quel pezzo di carta mi diede la forza di rialzarmi e riprendere a camminare.

Finalmente, dopo mezz'ora di camminata, vidi una casa circondata da erba, ma di Natasha non c'era nemmeno l'ombra.

Aspettai a dovuta distanza il suo arrivo, senza alcun risultato, così credetti che si fosse persa tra gli alberi.

Proprio quando stavo per riprendere il cammino e cercare un'altra casa, sentii delle voci dall'interno dell'edificio.

«Papà, hanno detto che se andrai in quel posto ancora ti uccideranno! Perché vuoi ostinarti a trovare questa ragazza?» chiese una donna, seguendo l'uomo sul patio.
«È di famiglia, e la famiglia non si lascia indietro.»
«È di famiglia per te, non per me. Non so nemmeno chi sia, e non mi interessa. So solo che la mia famiglia sei tu, e non ti lascerò andare a morire.»

La donna lo prese per il braccio e lo spinse in casa nello stesso momento in cui la mia Natasha comparve da dietro un albero.

«Pss... Nat!» sussurrai, cercando di attirare la sua attenzione.
«S-Steve!? Cosa ci fai tu qui?» esclamò sorpresa, avvicinandosi.

La presi per la mano e la portai lontana dalla casa per parlarle.

«Sono venuto a cercarti!»
«Non dovevi venire, la tua vita è nel 2024, la mia è questa» scosse la testa, abbassando gli occhi.
«La mia vita non ha un senso senza di te. Torna, ti prego.»

Lei sorrise e vidi due lacrime scorrerle lungo le guance.

«Abbiamo sbagliato, io prima di tutti. Non avrei mai dovuto lasciarti, Nat. Non me ne sono reso conto fino a qualche giorno fa, quando tu hai deciso di abbandonarmi e di rimanere qui da sola. Ma ora sono qui per riprenderti, torna con me.»

Non rispose e si asciugò le guance con la manica della maglietta; poi alzò lo sguardo e mi saltò in braccio, stringendomi il collo con le braccia.

«Ti amo, Steve» mormorò tra i singhiozzi.
«Ti amo molto anche io» sorrisi al settimo cielo. «Ora torniamo a casa.»

Lei scosse la testa e credetti di perderla ancora, ma le parole che le uscirono di bocca mi rassicurarono.

«Prima devo parlare con mio padre. È importante per me.»

Le presi la mano e ci avvicinammo camminando alla casetta di legno, dove potevamo vedere all'interno un uomo seduto sul divano.

«Cosa gli dirai?» chiesi, incredulo.
«La verità. Non posso mentirgli, ho finito di dire bugie.»

Natasha bussò alla porta e attese di avere una risposta, che non tardò ad arrivare.

«Salve, potrei aiutarla?» chiese l'uomo, che si era avvicinato alla porta.
«Buongiorno, signore» s'imbarazzò la rossa, sorridendo. «Il mio nome è Natasha e sto cercando di scoprire il mio passato. Vorrei farle due domande, se non è un problema.»

Con un sorriso fin troppo benevolo il padre di Natasha ci fece entrare nella sua dimora e ci fece accomodare sul suo divano di pelle.

«Volete un po' di vodka?» chiese con la bottiglia già in mano.

Natasha annuì e io feci lo stesso nonostante non fossi un grande amante del drink.

«Volevo sapere se sa qualcosa del KGB, sto cercando delle informazioni al riguardo.»
«Si, purtroppo so qualcosa al riguardo. Perché vuole sapere qualcosa?»
«Sappiamo che ha una figlia che ne fa parte, una certa Natalia.»
«Come fate a conoscere mia figlia? Siete suoi amici? Potete farmi arrivare a lei?»

Natasha prese un lungo respiro e, con le lacrime agli occhi, decise di rivelare la sua vera identità al padre.

«Sua figlia si trova davanti a lei.»

///

Il padre e la figlia parlarono tutto il pomeriggio e si accettarono a vicenda, amandosi come non erano riusciti a fare prima.

Lev, il padre di Natasha, aveva incontrato sua madre, ironicamente una ballerina, dopo un suo spettacolo una sera d'inverno.

Come in un film romantico i due si erano subito innamorati l'uno dell'altra, e pochi mesi dopo avevano deciso di sposarsi. Poco tempo dopo nacque Natasha, che a detta dell'uomo era sempre in pericolo a causa della sua curiosità verso tutto.

Tre anni dopo la sua nascita era nato un bambino, Fredrick, che però era morto qualche mese dopo essere venuto al mondo. Anche la madre di Natasha, che aveva insistito con il partorire in casa, era morta, e fu velocemente dimenticata da tutti.

Natasha e suo padre erano rimasti da soli e le scarse condizioni economiche del tempo causarono il suo arrivo nel KGB.

Mentre Natasha veniva allenata a diventare una spia, il padre incontrò una nuova donna, con cui si sposò ed ebbe un'altra figlia, la donna che avevamo visto prima di entrare.

La nuova moglie viaggiava molto per lavoro e non era quasi mai a casa, e il loro matrimonio si concluse presto con una separazione, durante la quale la bambina decise di stare con il padre, con cui aveva una relazione ben più forte.

Lev cominciava a sentire la mancanza della piccola Natasha, l'unica cosa che lo teneva attaccato all'unico amore della sua vita, e aveva provato a convincere il KGB per riportarla a casa. Tentativi ovviamente andati al vento, che però non l'avevano scoraggiato a riprovare.

Alla fine della giornata Natasha capì che era giunto il momento di tornare a casa, quindi di salutare per sempre suo padre.

«Papà, è stato meraviglioso poter parlare con te, anche se solo per un pomeriggio» sorrise emozionata, stringendolo in un abbraccio.
«Ho sempre sperato di poter incontrarti.»

Dopo un ultimo sguardo di puro amore Natasha si diresse verso la porta, e ne approfittai per chiedere un favore a suo padre.

«Mi scusi, vorrei avere il suo permesso per chiedere a Natasha di sposarmi.»
«Sembri un bravo ragazzo, e ho visto il modo in cui la guardi. Spero in un matrimonio come quello tra me e sua madre, ragazzo.»

Seguii Natasha fuori di casa e, sotto lo sguardo commosso di suo padre, tornammo a casa.

Mistakes || Natasha Romanoff  & Steve RogersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora