Capitolo 14

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Arrivammo immediatamente in una parte della città che non avevo mai visto. Anche se ero cresciuta a Mosca e nata a Stalingrado non avevo mai visitato la Russia come turista, solo come assassina.

«Dove dobbiamo andare?» chiese Steve, guardandosi attorno.

Le persone ci guardavano in modo strano, forse per il modo in cui ci eravamo vestiti o per aver rivisto la mia faccia così conosciuta, così presi una strada panoramica per non farci notare dai passanti.

«Dove l'hai vista con precisione?»
«Uh... nella base del KGB, qualcuno ne stava parlando in un laboratorio. Non sono riuscita ad avvicinarmi per vederle da vicino, ma sono più che sicura che si trattasse di quella chiave» risposi, camminando sul marciapiede.
«Perfetto. Andiamo al KGB, prendiamo la chiave e scappiamo prima che Baby Natasha ci uccida» scherzò Clint, guadagnandosi un pugnetto sul braccio.
«La chiave non è li. Il laboratorio di cui stiamo parlando è lontano da qui, fuori dalla città, in mezzo ai boschi.»
«Perché non eri lì con le altre ragazze?»
«Una missione» mentii, accelerando il passo per evitare conversazioni scomode.

Camminammo per delle ore, fermandoci ogni tanto per prendere delle scorte di cibo e acqua, fino a quando arrivammo in mezzo a degli alberi.

Ricordavo tutto, ormai. Tutto quello che ero riuscita a dimenticare era tornato come un uragano, ed ero pronta a riviverlo.

Ormai era anche sceso il sole, e decisi di non entrare nella base nelle ore serali, quando tutte le ragazze o quasi tornavano dopo le missioni, più arrabbiate e incattivite.

Spiegai il mio piano ai ragazzi, che mi ascoltarono con più attenzione del solito: Clint non sarebbe dovuto entrare, non volevo che si mettesse in pericolo per niente, quindi sarebbe rimasto all'entrata della spaccatura per fermare le spie che tornavano dalle missioni. Steve ed io saremmo entrati dallo stesso ingresso, avremmo preso l'ascensore e ci saremmo divisi una volta arrivati nel corridoio delle sale d'allenamento. Da quel punto in poi avrei proceduto da sola.

Steve non era d'accordo con me, voleva accompagnarmi fino alla fine, ma non glielo permisi. Due sarebbe stato troppo, avremmo dato nell'occhio più del dovuto e avrebbe compromesso l'intera operazione.

Avrei mandato un segnale ad entrambi una volta trovata la chiave, poi saremmo tornati tutti nel futuro.

Quella notte Clint dormì beatamente appoggiato ad un albero, mentre sia io che Steve eravamo svegli.

«Come vanno le cose tra te e Sharon?» chiesi cordialmente, a bassa voce.
«Uh... vanno bene, almeno credo.»
«Ti avevo detto che era una brava ragazza, Steve» sorrisi dolcemente, alzando gli occhi da un bastone che avevo limato con il mio coltellino.

Anche Steve mi sorrise, così riabbassi lo sguardo per non far trasparire i miei sentimenti.

«Nat, dovremmo parlare» ammise lui. «Io-»
«No. Non lo fare. Non è il momento di discutere. Domani sarà una giornata difficile da sopportare, non ho mai amato il 21 giugno» lo fermai.

Lui non provò nemmeno a discutere, si distese con la testa sullo scudo e chiuse gli occhi.

«Buonanotte, Nat.»
«Sogni d'oro, Steve.»

///

Non chiusi occhio quella notte. Sapevo che le Vedove Nere migliori avevano anche missioni notturne, perché io ero stata una di loro, e volevo evitare di farmi sorprendere da una di loro.

Una piccola versione di Natasha era nel bunker vicino a me, e nemmeno lei stava dormendo. Stava limando i suoi coltelli, magari lavando la canna della sua pistola, forse si stava mettendo delle bende attorno ai pugni chiusi e sporchi di sangue che non apparteneva a lei ma alle ragazze addormentate nei lettini a fianco.

La mattina arrivò lentamente, ma non svegliai immediatamente i miei colleghi. Li lasciai riposare per qualche ora, fino a quando anche Steve aprì gli occhi e mi sorrise rassicurante.

«Buongiorno» dissi, alzandomi dal terreno secco.
«Mattiniera?»
«Non ho dormito e sono già le undici. Andiamo?»

Svegliai Clint e gli diedi una bottiglia d'acqua e una mela. Steve si era già servito e io non avevo fame, così in cinque minuti ci avvicinammo alla maestosa parete rocciosa.

«Come faremo ad entrare senza fare rumore?» si informò Clint, cercando una maniglia o un pomello sulla porta di ferro.
«Oh, devo insegnarvi proprio tutto?»

Mi avvicinai ad un piccolo buco scavato nella pietra e uno scanner rilevò la mia pupilla.

«Andiamo» dissi, una volta che le porte si furono aperte.

Clint ci augurò buona fortuna e lo vidi discutere con Steve prima che lui mi seguisse nel buio.

Camminammo fino ad un'ascensore ma notai che Ivan stava aspettando nel piccolo atrio.

«Non abbiamo tempo, Steve, dobbiamo andare adesso» mormorai, uscendo dal nascondiglio.

Mi avvicinai all'uomo e sorrisi cordialmente, mentre Steve continuò a guardare fiero davanti a se.

«Vi posso dare una mano?» chiese cordialmente, scrutandoci con cura.
«No, grazie. Abbiamo il permesso di vedere le nuove reclute dal responsabile del KGB» risposi, cercando di sembrare credibile.
«Uh. Sa, mi ricorda molto una delle mie bambine. Beh, più che una bambina ormai è una donna. È il mio orgoglio più grande, è qui da quando aveva circa tre anni» sorrise lui, colpito dai miei capelli rossi.

Entrammo nell'ascensore e non parlammo fino a quando le porte si aprirono di nuovo.

Ivan ci salutò con un cenno e uscì, mentre sul mio volto comparve un sorriso soddisfatto.

«Ti prego, dimmi che non sorridi per quello che ti ha detto questo uomo» mormorò Steve.
«So che è sbagliato e non dovrei, ma è bello sentirsi dire di essere stato un orgoglio, almeno per qualcuno.»
«Cosa intendi?»
«Ora sono un avenger e non prendertela se dico questo ma non mi sento più di essere la più brava della classe. Nella Stanza Rossa mi hanno resa competitiva, e un po' di quella ragazzina maturata così presto è rimasto in me. Quindi sentirsi dire da qualcuno di essere orgoglioso di me è bello, anche se è da Ivan» risposi, mentre le porte si chiudevano ancora.

Steve non disse più nulla, e così nemmeno io. Rimanemmo in silenzio fino a quando il rumore di spari mi perforò le orecchie.

«Siamo arrivati. Passeggia qui nel corridoio, di' di essere un segretario del KGB e non farti scoprire» ordinai, allontanandomi velocemente.

Steve non mi lasciò andare, mi prese il polso e mi abbracciò.

«Fai attenzione, ti prego» sussurrò con le sue braccia intorno alla mia vita.
«Buona fortuna» sorrisi io, prima di lasciarlo da solo.

Controllai di avere le pistole al posto giusto, così come il mio coltellino e un paio di altri gadget, poi scomparii tra le studentesse.

Mistakes || Natasha Romanoff  & Steve RogersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora