Capitolo 19

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Tony non era entusiasta di farmi tornare nel passato, ma sapeva che non avrei cambiato idea e mi concesse un solo viaggio per cercare Natasha.

«Buona fortuna, Cap» sorrise Wanda, abbracciandomi. «Ti prego, trovala.»

La salutai a mia volta e mi preparai per il viaggio.

«Tre, due, uno...»

Mi ritrovai dove ero stato abbandonato dalla mia collega e immediatamente cercai degli indizi che mi avrebbero potuto ricollegare a lei.

Dopo aver camminato per delle ore tra gli alberi vidi una strada davanti a me e delle voci ben distinte, dunque mi avvicinai cercando di non dare troppo nell'occhio.

«Salve...» dissi in inglese ad un passante, credendo che parlasse la mia lingua.

Il poveretto scosse la testa e se ne andò borbottando qualcosa, così ripresi a camminare. Nessuno sembrava conoscere una parola in inglese e dovevo inventarmi qualcosa al più presto.

Camminando vidi un'insegna russa e il viso di Natasha stampato sopra, e mi fermai a leggere. O almeno ci provai, in quando il russo era una lingua che non avevo mai letto prima.

«Povera ragazza...» scosse la testa un uomo, che si era avvicinato a sua volta.
«Finalmente qualcuno che parla inglese! Cosa dice?» chiesi, euforico.
«La base del KGB è esplosa e si dice che sia stata questa ragazza, ma è morta nell'esplosione. Il governo vuole chiudere tutto. Come ha fatto un americano ad arrivare qui?»
«Ferie. Mi può indicare un luogo provvisto di computer? Ho veramente bisogno di cercare delle informazioni.»
«Sicuro. Vada avanti e giri a sinistra, poi sulla destra dovrebbe vedere un bar con dei computer. Stia attento, spesso degli ubriachi cominciano delle risse e la polizia giunge sul posto.»

Ringraziai il buon uomo e mi diressi nel luogo indicato. Appena entrai nel bar un forte odore di vodka mi avvolse a cercai di non farci caso, poi cominciai a cercare delle informazioni su Natasha.

Tony mi aveva insegnato ad hackerare i siti web inaccessibili e in quel modo riuscii ad entrare nel sito del KGB.

«Natalia Romanova...» mormorai, immerso nella ricerca.

Finalmente trovai quello che cercavo. Il padre di Natasha era vivo e l'aveva cercata per molto tempo, nonostante il KGB le avesse detto che fosse morto tempo prima.

Subito vidi un indirizzo, ma notai che la città in cui viveva il padre di Natasha era Stalingrado e sarebbe presto scesa la notte, dunque decisi di cercare un posto per dormire e andare alla ricerca della spia la mattina seguente.

«Mi scusi, saprebbe indicarmi un luogo in cui possa dormire?» chiesi ad un passante.

Egli scosse la testa e proseguì la sua camminata parlottando tra se e se, quando un uomo si avvicinò e mi sorrise.

«Conosco un posticino, se vuole.»

Dopo avermi dato le indicazioni per trovare la locanda mi incamminai, felice di intraprendere quell'avventura ma allo stesso tempo nervoso riguardo la sua riuscita.

///

Mi rilassavo nella mia stanza, pronto per ripartire, quando sentii degli spari e delle grida provenire dal piano di sotto. Subito mi alzai e maledissi la scelta audace di non portare con me il mio scudo, così presi un coltellino e mi preparai a difendermi.

Vidi dei capelli neri sotto le scale e una voce femminile urlare.

Senza pensarci due volte mi buttai sulla figura femminile per proteggerla da colpi di proiettili che non arrivarono mai. L'arma si era inceppata ed era arrivato il momento di agire.

Colpii con un pugno la ragazza armata e la buttai a terra, ma lei non demorse e si rialzò. Era molto agile e il suo modo di colpire mi ricordava quello di Natasha, così pensai si trattasse proprio di lei.

Lei aveva però capelli castani abbastanza scuri da poter passare per mori e occhi grigi, ma riconobbi lo stemma del KGB sulla sua giacca.

Mentre riflettevo mi distrassi un secondo, abbastanza per farmi colpire ripetutamente da lei. Mi diede due calci sullo stomaco e mi fece cadere contro il muro, approfittandone per continuare con il suo attacco.

Riuscii a prenderle il piede mentre cercava di colpirmi ancora, e a scaraventarla contro il bancone di legno.

Era molto brava negli scontri corpo a corpo, non mi lasciava un secondo di tempo per prendere il coltello che avevo nascosto nella tasca.

Ormai il sangue era ovunque e i corpi delle povere vittime erano ammassati vicino alla porta, serrata.

Non c'era una via di fuga, dovevo prima sconfiggere la ragazza che avevo di fronte e scappare.

Afferrai un vaso da una delle mensole più in alto, che stranamente era uscito illeso dal combattimento e dalla sparatoria, e lo lanciai alla ragazza, che riuscì a schivarlo come mi aspettavo.

Estrassi il coltello dalla mia tasca e lo affondai nella sua coscia, guardando esterrefatto il sangue uscire dalla ferita. Lei si accasciò sul pavimento per il dolore e le chiesi di Natasha.

«Non conosco nessuna Natasha...» rispose lei, in inglese.
«Non mentire o non ti risparmierò» esclamai, cercando di sembrare convincente.

Non avrei mai ucciso quella ragazza, però dovevo farla parlare. Non me ne sarei andato senza sapere di Natasha e di dove si trovasse.

«È morta.»
«Cosa!?»
«Nell'esplosione di qualche giorno fa. Lei era nella parte più profonda del bunker ed è morta. E questo è tutto quello che posso dirti.»

Sfondai la porta e uscii dalla locanda, distrutta e ridotta ad un cimitero, in cerca della mia Natasha.

Mistakes || Natasha Romanoff  & Steve RogersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora