Capitolo 12

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NATASHA

La settimana era passata, e non ne potevo più di rimanere in ospedale. Mi trattavano come un'anziana: mi facevano mangiare dei pasti disgustosi alle sei di sera, mi facevano controlli anche quando dicevo di stare bene e insistevano a farmi rimanere a letto.

Uno dei pregi che mi erano stati indotti nella Stanza Rossa era la capacità di riprendermi velocemente degli infortuni, così il giorno dopo l'operazione ero già in piedi, pronta per tornare al lavoro.

«Non dovresti farlo» esclamò Wanda, provando a rimettermi a letto. «Non costringermi ad usare i miei poteri, ti prego.»

Mi ero ormai alzata dal letto e mi stavo rivestendo per firmare i documenti ed uscire da quel manicomio.

«Stai almeno un'altra settimana! Il dottore ha detto che-»
«Non me ne frega niente di quello che ha detto il dottore, ok? Voglio solo tornare a casa e dimenticare tutto questo. Dimenticare Steve.»
«Oddio, cos'è successo?»
«Lui e Sharon... non posso smettere di pensarci.»
«E se tu credi che lavorando le cose si sistemeranno ti sbagli. Se vuoi tornare a casa va bene, ma non tornerai al lavoro fino alla prossima settimana. Va bene così?»

Annuii e sistemai la spallina del reggiseno.

«Andiamo...»

///

Odiavo gli ospedali, mi ricordavano brutte esperienze del passato, ma rimanere a casa senza poter fare alcuno sforzo non era meno noioso.

Wanda era sempre a casa, non mi lasciava nemmeno un secondo, e come se non bastasse non mi aggiornava sulla missione.

Non sapevo cosa stesse succedendo al lavoro, non sapevo nulla di quello strano ciondolo e nemmeno dei miei colleghi.

«Wanda, accidenti, sto bene!» esclamai dopo il secondo richiamo per aver fatto un leggero work out.
«La cicatrice che ti ritrovi sul fianco destro non mi dice lo stesso.»
«È tutto nel passato, ok? Torna al lavoro, ti prego.»
«Va bene» sospirò, seppur non convinta.

La osservai uscire di casa e la fissai scendere le scale. Finalmente ero libera di allenarmi come volevo, di lanciare coltelli per casa senza che lei mi dicesse di stare attenta e deprimermi sul divano ripensando a quanto la mia vita fosse ridicola in quel momento.

STEVE

Dovevamo capire cosa fosse quello strano ciondolo, ma nessuno sembrava riconoscerlo. Pareva provenisse da un altro pianeta, in quanto il diadema era riempito di scritte runiche, ma non avevamo idea di cosa si trattasse.

«Hey...» sussurrò qualcuno, entrando nel laboratorio.
«Ciao» sorrisi a Wanda, che si stava avvicinando alla collana. «Come sta?»
«Sta bene. Vorrebbe già tornare ma non le do nemmeno il permesso di uscire di casa e andare a prendere la posta nell'atrio.»
«Credi che...» provai a dire, senza finire la frase.
«No. Meglio di no.»

Tony e Bruce erano ancora chinati sul ciondolo, che racchiudeva una toppa per una chiave, che non avevamo idea dove fosse o a cosa servisse.

«Cap, abbiamo finalmente capito cos'è questa cosa... o meglio, cosa dovrebbe essere» esclamò Bruce, alzando lo sguardo dal computer.
«Di cosa si tratta?»

Il ciondolo era stato costruito intorno al 1500, ma era stato utilizzato come un gioiello fino al 1878. Alcuni dei più grandi Maestri di Arte Mistiche erano riusciti a fermare un titano e l'avevano intrappolato nella prigione che secondo loro sarebbe stata quella più sicura: il gioiello.

Una strana combinazione liberava il titano, ma dal momento in cui si inserisce il codice all'effettivo rilascio della creatura passavano circa due settimane. Era un programma vecchio, non modernizzato, che Tony e Bruce avrebbero potuto disinnescare in pochissimo tempo, ma ciò avrebbe contribuito alla liberazione del titano.

«Al momento nessuno ha inserito il codice, giusto?»
«Non sappiamo quale sia... quindi speriamo che HYDRA non fosse così avanti con le ricerche» rispose Bruce, chiudendo una scatolina in cui era contenuto il prezioso oggetto. «Questo rimarrà qui, sorvegliato e ben conservato. Non possiamo permetterci errori.»

///

Ero tornato nella mia stanza, e quella volta Sharon mi stava aspettando sul letto. Non era ancora successo nulla, ero comunque un uomo con dei principi, e fino a quando non avessi capito cosa fare con la situazione con Natasha avrei preferito aspettare.

«Hey...» sorrise lei, seducente.

Ricambiai il sorriso e mi sedetti accanto a lei, ma non reagii come lei si sarebbe aspettata.

«Tutto bene?»
«Si... solo il lavoro, ma non è nulla. E poi, vorrei veramente parlarne con Natasha. Vorrei sapere il suo parere, credo che la raggiungerò.»

Stavo per alzarmi quando Sharon mi bloccò il polso e mi fece fermare.

«Steve, provi ancora qualcosa per lei? Se la risposta è sì non importa, ho sempre pensato che voi foste carini insieme nonostante tutto. Per favore, sii onesto con me.»

Sospirai e ripensai alle due scelte che avevo davanti a me. Natasha era una mia amica prima di tutto, avevamo una storia che durava da più di un decennio. Avrei mentito se non avessi ammesso che in passato, anche prima di mettermi con lei, non avevo provato dei sentimenti forti per lei.

Dall'altra parte avevo Sharon, una ragazza fantastica che mi poteva regalare un sacco di momento bellissimi. Era la mia possibilità di avere il futuro che avevo sempre sognato e dimenticare il passato.

«No, Shar» risposi, non convinto delle mie stesse parole.
«Perché vuoi andare da lei?»
«Quella donna mi ha salvato la vita e ora è ferita per colpa mia. È un mio dovere, da amico.»

///

Ci misi cinque minuti per decidere se bussare alla porta o andare via, ma alla fine decisi di affrontare la ragazza.

Natasha arrivò immediatamente alla porta e sorrise quando vide il mazzo di fiori che le avevo portato, poi mi fece entrare nella sua dimora.

«Come va?» chiese, sembrando sinceramente felice di vedermi.
«Sto bene. Tu piuttosto, stai bene a casa?»
«Credo che tu mi conosca abbastanza da sapere la risposta a questa domanda, Rogers.»

Annuii e le porsi i fiori, che mise in un vaso riempito velocemente di acqua fresca.

La aggiornai del ciondolo e del titano intrappolato in esso, e la sentii borbottare qualcosa di incomprensibile.

«Nat, cosa stai dicendo?»
«So dov'è la chiave! È stata distrutta qualche anno fa dall'HYDRA, ma sono sicura di averla vista almeno una volta nella Stanza Rossa nel 2003... intorno al 21 giugno.»

Fortunatamente la Stanza Rossa non era solo una tortura; mi era stato permesso di imparare a fare molte cose che mi piacevano e che mi servivano, come ad esempio avere una memoria di ferro anche dopo così tanto tempo.

«Non importa, non ci serve» la rassicurai. «Tony ci presta la sua spiaggia privata la settimana prossima, torniamo tutti a casa per un paio di giorni. Sei dei nostri?»

Lei annuì e sorrise, poi fece un gesto che non mi sarei mai aspettato.

Mi abbracciò di istinto e appoggiò la sua testa sul mio petto.

«In situazioni di massima priorità darei la mia vita per ognuno di voi, ma per te la darei anche ora.»

Appoggiai il mento sulla sua testa e rimanemmo così per dei minuti, avvinghiati l'uno all'altro come se nulla fosse cambiato.

Mistakes || Natasha Romanoff  & Steve RogersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora