Capitolo 16

337 10 0
                                    

NATASHA

Camminai senza fermarmi e lasciare che l'ambiente intorno a me mi opprimesse. Sentivo gli spari, una o due urla della bambine più piccole, i pianti e i respiri affannati, ma non mi fermai.

Sapevo bene che se mi fossi fermata anche solo per un secondo non sarei mai tornata a casa, quindi con la tra testa alta e la postura fiera mi aggirai tra gli addetti e le studentesse.

Entrai nel laboratorio e cercai la chiave, ma non la vidi. Stavo per impazzire tra tutti gli scatoloni degli archivi e le strane invenzioni che stavano venendo perfezionate ma che a me sembravano già preistoriche.

Sentii un'agente entrare nel laboratorio velocemente e parlare attraverso il piccolo auricolare, così mi nascosi dietro ad una colonna e rimasi in ascolto.

«È venuto ancora, signore» disse la donna, camminando nervosamente da una parte all'altra. «Si, cerca sua figlia. Dice di volerla vedere e che si pente di averla lasciata qui e altre cazzate.»

Lei fece un verso nervoso con la voce e alzò gli occhi al cielo.

«La ragazza si chiama Natalia Romanova. La stanno operando in questo momento. Giuro, se quell'uomo mette piede qui dentro ancora una volta lo uccido.»

Detto ciò uscì dalla porta sul retro, creando l'eco dei tacchi a spillo a contatto con il pavimento.

Uscii dal mio nascondiglio e faticai a respirare. Mi appoggiai alla colonna e mi lasciai cadere sul pavimento, con le lacrime agli occhi e l'aria che cercava senza successo di entrare nei miei polmoni.

Mio padre era vivo. Stava bene ed era venuto a prendermi. Voleva portarmi via di lì, si sentiva in colpa per ciò che aveva fatto sedici anni prima.

Rimasi in silenzio per molto tempo, con solo il suo dei singhiozzi intorno a me.

Poi in testa mi passò un pensiero istintivo e decisi di alzarmi e prendere in mano la mia vita.

Mi avvicinai ai miei fascicoli, che contenevano i miei dati personali, le mie missioni datate, le mie vittime e, alla fine del cumulo di fogli, la mia famiglia.

La foto di mio padre era lì: un uomo che sorrideva, con delle rughe sulla fronte e dei capelli grigi. Aveva l'idea di essere un uomo dal passato difficile e con del vissuto sulle spalle, e senza accorgermene sorrisi.

Lessi il suo nome, la sua data di nascita, il nome dei miei nonni, tutto quello che non sapevo della mia infanzia. Mio padre si era sposato di nuovo e aveva un figlio, Fredrick, nato solo qualche anno dopo di me.

Purtroppo non trovai alcuna informazione riguardo mia madre: sembrava essere sparita nel nulla, come se la sua morte fosse completamente avvolta nel mistero.

Sentii delle voci fuori dal laboratorio, quindi mi nascosi nuovamente e ascoltai Ivan parlare con un uomo in giacca e cravatta.

«La preserveremo con cura, signore» affermò il mio maestro, prendendo una scatolina nera.

La appoggiò su una mensola e attivò l'allarme. Se avessi anche solo provato ad avvicinarmi alla scatola sarebbe partita e mi sarei ritrovata tutte le Vedove Nere addosso.

D'altra parte, però, quella era la mia scappatoia. Avevo la possibilità di scomparire ancora, ma lo volevo fare con stile e classe.

Presi il cellulare dalla tasca e chiamai Steve per fargli sapere il mio nuovo piano, una missione suicida che mi avrebbe aiutata a scappare.

«Steve, c'è un problema. Esci di lì e vai da Clint, prendi il tuo scudo ed entrate quando cominciate a sentire un l'allarme» sussurrai, alzandomi dal pavimento.
«Cosa? Perché?»
«C'è un problema con la chiave e questo è l'unico modo per prenderla, ok? Ci vediamo fuori e torniamo a casa subito, te lo prometto» chiusi la chiamata, avvicinandomi lentamente alla scatolina.

Presi la pistola nella mano sinistra e mi preparai per far saltare l'allarme.

«Tre, due, uno...» mormorai.

Con uno scatto fulmineo presi il contenitore e rubai la chiave, che riposi al sicuro nella tasca dei pantaloni.

Corsi fuori dal laboratorio prima che degli agenti mi vedessero e inserii il codice che bloccò le porte, poi mi allontanai il più possibile.

Steve mi aspettava al piano di sopra, ma proprio quando ero sul punto attraversare la porta di sbarre sentii uno sparo e l'uscita si chiuse.

Ero preoccupata di dover combattere contro me stessa, ma dall'angolo dall'altra parte delle sbarre c'era Ivan.

«Sapevo che c'era qualcosa che mi nascondevi...» sussurrò, avvicinandosi.
«Ivan, questa è una questione di vita o di morte. Ti prego, lasciami andare.»

Lui non sembrava interessato alle mie richieste e nemmeno alla ragione di quella incursione, così sospirai e riposi la pistola nel fodero.

Corsi contro il muro e mi arrampicai fino ad arrivare ad una tubatura, mentre Ivan cercava di colpirmi sparandomi. Ero abbastanza veloce per schivare i proiettili e abbastanza agile da riuscire ad infilarmi nel piccolo spazio tra il soffitto e il ferro, per ritrovarmi dalla parte opposta della gabbia.

Cominciai un combattimento contro Ivan, che nonostante fosse un insegnante molto rispettato e uno degli agenti più importanti dei suoi tempi, cedette in qualche secondo.

Salii le scale e sentii spari e urla, dunque accelerai il passo per permettere a Steve e a Clint di tornare a casa.

«Steve!» urlai, abbassandomi e coprendomi dietro ad un muro.
«Hai la chiave?»

Annuii e la presi dalla tasca. Presi la mano di Steve e la aprii con delicatezza prima di posare il manufatto sul suo palmo, insieme ad un foglio scritto velocemente quella notte, mentre dormiva.

«È più al sicuro con te, non con me. Adesso andiamo da Clint» sorrisi, alzandomi.

Percepii la presenza di Steve dietro di me, quindi cominciai a correre e, al posto di recarmi all'ascensore, corsi verso la fine del corridoio. Lì c'era una scala a pioli, così Steve mi diede una spinta e salì con un salto qualche secondo dopo.

«Odio doverlo fare» mormorai, prendendo una granata dalla mia cintura.
«Nat, li dentro ci sei anche tu.»
«Non importa.»

La attivai e la buttai all'interno, poi chiusi la botola che nascondeva la base e mi allontanai.

Clint ci aspettava dove ci aveva lasciati, e vidi dei segni di lividi e graffi anche sul suo corpo.

«Andiamo?» chiese, attivando il suo bracciale.

Annuii senza dire una parola e li imitai. Clint fu il primo a scomparire, seguito da Steve.

Erano tornati a casa, e in quel momento tutto quello che volevo fare era trovare la mia.

Mistakes || Natasha Romanoff  & Steve RogersDove le storie prendono vita. Scoprilo ora