XIX

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Riportatemi a quando il mio più grande problema era la matematica.

Avrei tanto voluto fare una chiacchierata con Ipno. Perché Plume o era una vampiro o funzionava come le piante, tipo assorbiva la luce o qualcosa del genere. Il che era ironico dato che nell'effettivo eravamo sotto terra; il che -tecnicamente- impediva che ci fosse luce in ogni caso. Un campanello suonò da qualche parte del mio cervello. Un ricordo forse? Non ci riflettei abbastanza a lungo. Di ciò, vi anticipo, ebbi modo di pentirmi in seguito.
Forse ci provò anche a dormire. Però il fatto che cercasse di tergiversare mi faceva credere che non volesse farlo. Non che dormire nel Tartaro fosse una passeggiata: i sogni erano parecchio più vividi che nel soprassuolo, e molto più spaventosi. Anche quando non erano invasi da dee, semidei e compagnia bella. Ma ormai avrebbe dovuto se non essersi abituato, quantomeno farlo per sfinimento. E aveva l'aspetto di qualcuno dopo essere stato ripetutamente investito da un camion, colpito da un caccia da guerra. Io al posto suo avrei ringraziato gli dèi per i primi minuti di sonno che mi sarebbero stati concessi. È anche vero che comunque si trattava di Sherlock Plume, che se prima di tutta questa mistica situazione dell'essere progenie per metà ereditaria di sangue olimpico delle divinità greche non lo capivo, adesso di lui ci capivo anche meno. E dire che avevo scoperto sfaccettature di lui che non pensavo di vedere nemmeno tra sette secoli e mezzo. Il che, invece di aiutarmi, magari non a risolverlo come un cubo di Rubik, ma quantomeno a non farlo sembrare un equazione di sedicesimo grado -aspetta esiste?-, ebbe solo la capacità di mandarmi ancora più in pappa il cervello. C'era qualcosa che sbagliavo forse, ma non ci diedi troppo peso. Non mi importava giusto? Era pure sempre Sherlock Plume, no? E allora perché? Perché, dopo che Coco si fu risvegliata e ci fummo rimessi in marcia, mentre guardavo la sua andatura strascicata, le spalle tenute a fatica dritte e una mano appoggiata con finta noncuranza sul fianco; perché avevo come il presentimento di aver sbagliato tutto? O di aver ignorato/trascurato qualcosa di veramente essenziale?

La pelle mi formicolava. Stavamo continuando a percorrere il fiume e man mano che andavamo avanti le pareti mi sembravano restringersi e l'aria farsi statica. I miei nervi sembravano vibrare come le corde di una chitarra elettrica. La sensazione non mi era nuova: nell'antro di mia madre avevo percepito le stesse cose e -anche se con reverenziale timore- dopo essere entrato nel cerchio magico per il viaggio-ombra. Traduzione: la magia era ovunque e mi sovraccarica tanto da rimettermi vagamente in sesto. Il che era una nota positiva, insieme al fatto che riparava le mie "fibre" magiche compromesse dagli incantesimi praticati in condizioni pietose e senza adeguato allenamento. Quella negativa invece? La magia doveva pur venire da qualche parte. E chiunque fosse, era così potente da avere un aura tanto estesa da impregnarsi nell'ambiente e rispecchiarsi su di noi. Altro problema era infatti, che a me arrivava forza metapsichica, per i miei compagni di viaggio invece era qualcosa di molto simile a dell'ansia spry. Coco si muoveva inquieta, tanto da compiere mezzi scatti improvvisi oppure roteare inutilmente la spada. Plume invece giocherellava con entrambi i kunai ricominciando a far scattare la testa in tutte le direzioni, alla ricerca di un nemico impalpabile. «Questa situazione non mi piace.» digrignò i denti la mia migliore amica, strisciando contro la parete per seguire una curva stretta del Flegetonte, evitando di finire in flambè. Plume mi invitò con lo sguardo a passargli davanti. Lo superai senza obbiettare, ma non mi entusiasmava l'idea di non averlo sott'occhio. Avevo ancora il presentimento che avrebbe potuto rivoltarcisi contro in qualsiasi momento mischiato alla sensazione che non ci stesse dicendo tutto. In parole povere, non era la prima persona a cui pensavo per coprirmi le spalle. Il fatto che sembrasse un mezzo cadavere avvalorava solo le cose. «Concordo in pieno.» lo sentii affermare. Sbuffai e rabbrividii completamente a caso. «Questa che sentite è forza magica.» Coco si girò così in fretta che per poco non mi mozzò la testa con la sua lama. «Scusa! -indietreggiò appena- Wow, sembri stare quasi bene.» rivelò. Flettei leggermente le dita e i nervi si tesero tanto da farmi male. «Per Zea. Sono così pompato che credo di poter sfondare una porta blindata con un un pugno metapsichico.» gongolai euforico. Poi il ricordo della mia mano invisibile schiacciare Plume alla parete prosciugò tutto il mio entusiasmo. Era un trauma che mi avrebbe perseguitato per tempo. Il senso di colpa mi chiuse la gola spingendomi a ricercare la figura di Plume. Forse fu peggio di quanto pensassi vederlo sfiorarsi con la punta delle dita la giugulare. Smise solo quando notò il mio sguardo, offrendomi un sorriso tiepido e di scuse. Di cosa si stesse scusando, poi, non mi era chiaro. Di averci pensato forse? Mi sentii anche peggio. Richiusi le mani a pugno e il soffitto si crepò. «Caspita quest'energia deve essere parecchio potente.» mormorò Coco rimirando la frattura. «Un mostro?» continuò squadrandoci. Mi strinsi nelle spalle. «Un Dio?» Candyman sospirò e aprì leggermente le braccia con un mezzo sorriso. «Andare incontro alla morte è divertente dopotutto.»
Riprendemmo la nostra marcia. Se prima l'energia era stata capace di rigenerarmi, adesso ero tanto sovraccaricato che i nervi si sforzavano anche solo di farmi camminare. Tremavo e avevo gli spasmi. Nemmeno l'acqua del fiume era di alcun aiuto. La pressione era tanta che avrei potuto finire schiacciato al suolo da un momento all'altro. Come monito per non lasciarmi cadere c'era la magia di zero-gravity: non ci tenevo a diventare una sottiletta sul fondo del Tartaro. Non potevo nemmeno contare sull'aiuto di nessuno perché, tra le altre cose, se si provava a toccarmi si veniva sbalzati per onde d'urto. Ero inavvicinabile. «Ragazzi...non vi sembrerà vero, però mi sa che siamo all'uscita.» Ko indicò quello che sembrava un arco di pietra alla fine del tunnel, in discesa come uno scivolo a tubo. Rabbrividii sgranando gli occhi. «STATE GIÙ!» urlai. Coco si voltò confusa e se Candyman, già a terra non l'avesse tirata giù per le caviglie sarebbe stata tranciata a metà da uno spuntone di nebbia nera, solida, che si dissolse come se non ci fosse mai stato. Da quella che avrebbe dovuto essere l'uscita iniziò ad emergere la stessa nebbia densa. Non fu questa la cosa più preoccupante però.
Dal centro della vorticosa coltre emersa dapprima come un ombra, e man mano sempre più definita, la figura ringhiante di Ecuba. Sembrava più grossa, malata, con la stessa bava inchiostrea colante dalla bocca e gli occhi che ricordavo caldi e scuri, brillanti di un verde veleno, screziati di un indefinito colore tra il nero e il bordeaux. Mi portai una mano al petto stringendo il tessuto stracciato della maglietta. Era lei la fonte di tutta quella magia. Non parlava limitandosi a masticare termini antichi come il mondo sulla disperazione degli innocenti. Una risata proruppe dal buio. Ancor più dietro di Ecuba si dispiegarono due ali nere quanto la notte che dissiparono appena il fumo; dietro di lei una luce segnalava il corso del fiume che continuava imperterrito. A questa immagine si sovrappose l'immagine di uno dei primi sogni fatti al campo. «Eris...» sussurrai.
Vidi il volto cesellato, dai lineamenti duri. L'iride dorata e calda. I capelli mossi e selvaggi, in un onda alta che cadeva poi scompostamente sulle spalle lasciate quasi interamente scoperte dalla veste nera, lunga e traslucida, dalla profonda scollatura che attraversava il seno fin poco sopra l'ombelico e trattenuta con delle catenelle di ferro dello Stige. Sulle gambe due altrettanto profondi spacchi mostravano la presenza di alti sandali alla schiava, dorati. Anche sulle gambe poggiavano alcune catene passanti nel tessuto attraverso anellini di metallo. Distese le labbra mostrando i canini acuminati e forse uno Snake eyes alla lingua. «Bhu.» l'ondata di panico che mi investì, unito alla nebbia che si andava ad avviluppare agli arti impedendomi i movimenti, mi presero completamente alla sprovvista. Coco da qualche parte al mio fianco urlò terrorizzata, contemporaneamente un tentacolo di fumo mi strinse tanto forte il petto da togliermi il fiato. I miei nervi impazziti andarono in corto circuito. Svenni e pensai che forse la morte non era tanto male.

Non seppi quando o come ripresi conoscenza. Non sapevo nemmeno se effettivamente ero cosciente. Vedevo sfocato e a macchie, almeno da quello che riuscivo a vedere da per terra, con gli occhi socchiusi. Coco era svenuta, forse morta, cosa alla quale non volevo pensare. Non sapevo come era possibile che fossi vivo o quantomeno cosciente. Era come se qualcosa esterno al mio corpo mi stesse mantenendo nel mondo terreno. Non ebbi modo di rifletterci perché una luce folgorante e bianca mi accecò per davvero, per un paio di secondi, preceduta da un urlo battagliero.
Poi il suono di passi strascicati e un verso di stupore.
Un ringhio cupo e gutturale coperto poi da risa. «Buona Ecuba. -immaginai un ghigno sul volto della dea della discordia- Lo stavo aspettando.» riuscii a strisciare la guancia per terra. Ancora non abbastanza però per poter vedere qualcosa. Mi veniva da piangere per la frustrazione.
«Ti prego- prendi la mia-» non riuscii a sentire altro, l'udito non mi funzionava bene, così come la vista. Provai di nuovo a muovermi ma ottenni solo una fitta alla spina dorsale che mi fece urlare internamente per il dolore. Eris nel frattempo rise ancora. «Perchè dovrei. Sai già a cosa vai incontro.» sentii un tonfo. Questa volta quando voltai lo sguardo notai la figura sfocata di Plume inginocchiata davanti alla dea. La guardava dritta in faccia- oppure stava guardando a terra? Le macchie davanti alla mia visuale diventarono il buio totale. «...lo giuro sullo Stige.»

Questa volta quando mi risvegliai fu come essersi destati dal tipico sogno del Tartaro: una vera schifezza, ma solo un sogno. Guardandomi intorno notai di essere nuovamente sul luogo della nostra ultima sosta. Coco dormiva ancora e Plume pure. «Mew.» scattai in piedi e crollai sulle ginocchia con una mano sul cuore. Pixie mi guardò in modo strano. Poi inclinò la testa. «Mew?» mi passai stancamente una mano sulla faccia. «Dii immortales. Mi sono davvero immaginato tutto?» scossi Coco per una spalla. Distrattamente mi resi conto che normalmente non avrei svegliato Coco McQueen nemmeno sotto tortura. La ragazza si alzò di scatto e mi diede una craniata che, se non mi avesse successivamente afferrato per un polso, mi avrebbe fatto finire a gambe all'aria nel fiume di fuoco. «Ma che- Cole!» gracchiò tirandomi a se per un abbraccio. «Ho fatto un sogno orribile. Più stiamo qui, più peggiorano.» mi allontanò per spostare lo sguardo su Plume. «Mi sento come se avessi perso contro qualcuno.» dichiarò sovrappensiero gattonando fino al figlio di Iride e scrollandolo dalle spalle. Questo aprì subito gli occhi sbattendoli un paio di volte prima di tirarsi a sedere scrocchiando appena il collo. Prima guardò Coco, le sorrise e poi guardò me. Guardai le sue labbra piegate in un mezzo sorriso, la fossetta sulla guancia, le lentiggini ormai sbiadite come un ricordo lontano e quasi invisibili. Poi gli occhi. Vi lessi dentro la consapevolezza di sempre, solo che c'era qualcosa di più concreto. Un equazione di sedicesimo grado con un risultato uguale a -0.

Mentre ripercorrevamo, oppure lo stavamo realmente percorrendo per la prima volta -non ci stavo capendo nulla ormai- la grotta, sentivo un'ansia e un'angoscia di una vividezza tale che quasi quasi preferivo farmi il tratto finale della caverna a nuoto nel Flegetonte. Se ci aggiungiamo poi che ero pungolato da fitte più o meno forti un po' ovunque -neanche fossi appena stato centrifugato in un'enorme lavatrice- come il dolore di qualcuno che perde un arto e sente male anche se la parte non c'è più. Un dolore fantasma che non mi spiegavo. Rabbrividii al pensiero di quel principe degli incubi dove i miei nervi praticamente esplodevano. Will magari avrebbe dovuto friggermi nel nettare per guarirmi. Quel pensiero in qualche modo riuscì a farmi sorridere. «Ragazzi... Mi sa che ci siamo.» il senso di deja-vu che mi diede la frase pronunciata da Coco ebbe la capacità di prosciugarmi tutta la leggerezza che era riuscita ad avvolgermi. La figlia di Nike strinse più forte la spada guardando la discesa che si andava concludendo con quella che era la fine del tunnel e probabilmente l'inizio della fine. Almeno, sono sicuro che lo speravamo tutti. Il primo a muoversi fu Pixie che trotterellò di un paio di passi voltandosi per guardarci perplesso. «Mi mancherà questo buco dimenticato dagli dèi.» buttò lì Plume raggiungendo il suo gatto. Guardò il soffitto. «Nahhh. Forse no.» Coco si riscosse e ridacchiò cautamente. Quando fu abbastanza vicina gli diede una pacca sulla spalla e lo superò. Poi guardò me. «Che fai tu, resti lì?» contrassi la mascella e guardai indietro, dal soffitto una crepa si allungava per metri verso di noi. «Non ci penso nemmeno per idea.» scrollai le spalle e lo oltrepassai velocemente anche se non resistetti a dargli un'occhiata da sopra la spalla. Per qualche motivo percepii montarmi dentro la voglia di dargli un pugno dritto sul plesso solare, anche se per una volta non stava aprendo la bocca e in generale non avevo fatto nulla che avrebbe potuto irritarmi. Strinsi i pugni e tornando a guardare avanti scossi la testa. «Muoviamoci. Non voglio restare in questo postaccio un momento in più del necessario.»

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